L’Italia sembra essere diventato il paradiso della chitarra. Negli ultimi mesi da Steve Vai a Paul Gilbert, passando per Eric Johnson, Guthrie Govan, Marty Friedman, Kiko Loureiro, Allan Holdsworth non c’è un nome tra i più grandi che non sia già passato o stia per esibirsi nel nostro paese. Tour, concerti, appuntamenti che testimoniano l’ottimo stato di salute della chitarra e il grande interesse che vi gravita attorno. Ma se quelli che abbiamo appena nominato sono virtuosi, punti di riferimento per la chitarra più estrema e strumentale (sia essa shred, fusion, metal) il concerto a cui abbiamo assistito ieri sera al Gran Teatro Geox di Padova ha visto sul palco quello che, da quasi trent’anni a questa parte, è nell’immaginario collettivo, per antonomasia, il chitarrista Rock: Slash. Brutto, sporco e cattivo, pantaloni di pelle e camicione a quadri sbracciata, a mostrare muscoli e tatuaggi, Slash si muove lento e sicuro, incastonato nella sua immagine perfetta tra tuba sinistra, cascata di riccioloni, occhiali da sole e l’immancabile Les Paul alle ginocchia.
Oggi Slash ha tre bypass e ha visto la morte in faccia un paio di volte buone perché una vita di eccessi tra sesso, droga e rock'n' roll gli è passata sopra come un carro armato. E ieri sera, infatti, ha suonato la chitarra come chi è sprofondato all’inferno, ha guardato il diavolo negli occhi ed è comunque tornato a casa sulle sue gambe, con la promessa però di non raccontare mai a nessuno cosa è successo veramente. In “Rocket Queen”, brano tra i più trascinanti e ispirati della serata e cantato a una sola voce da Myles Kennedy e pubblico, Slash si lancia in un lungo, lunghissimo assolo, ipnotico e avvolgente sorretto da una sezione ritmica pulsante e petulante. La sua Les Paul ulula e sciorina sequenze di sedicesimi, languide e sinuose, che strisciano lente e pigre, sempre indietro sul tempo per poi folgorare con accelerazioni fulminee e letali come il morso di un cobra. Con i Guns’n’Roses e quasi esclusivamente con il capolavoro Appetite For Destruction, Slash ha scritto una pagina risolutiva della storia del rock, spazzando via il rock più plastificato, frivolo e buonista degli anni ottanta e tornando a far ruggire Marshall e Les Paul rabbiose e strafatte. Nulla contro la produzione attuale di Slash scritta, prodotta e ieri sera eseguita, in maniera magistrale; ma inevitabilmente il confronto con il repertorio dei Guns è azzerante. Così il concerto si configura come una costante, piacevole, attesa di brani di Appetite che ogni volta che arrivano infiammano il teatro e mandano in delirio la gente. Tutto il resto non sono che egregi interludi di ottimo rock. Slash gestisce il repertorio dei Guns con enorme rispetto e fa felici i fan riproducendo le canzoni con gli stessi arrangiamenti, suonando temi e assolo per gran parte identici.
Quando Slash allarga le gambe, inclina la testa e attacca il riff di “Sweet Child Of Mine” che esplode dalla muraglia di Marshall alle sue spalle, non ci si può che sentire privilegiati a farsi travolgere in prima persona da uno dei migliori riff di chitarra di sempre. Quello a cui abbiamo assistito ieri sera è stato a tutti gli effetti un concerto di Slash. La band, ottima, canzone dopo canzone suona sempre meglio, più coesa ed efficace ma al contempo, si fa sempre più pallida dietro il carisma e la personalità del chitarrista. Myles Kennedy oggi è l’alter ego perfetto per Slash. Canta daddio e tiene il palco meglio e il suo timbro moderno, sensuale e torvo è così lontano da quello di Axl da scongiurare alla base ogni tipo di confronto. Eppure, quando canta i Guns, lo fa con devozione assoluta, omaggiandone sfumature, inflessioni e carattere e permettendo al pubblico di chiudere gli occhi e carambolare nel 1987. La location del teatro Geox è strepitosa. Ampia, accogliente e permette di godersi un concerto del genere in maniera riposante, senza uscire con le orecchie sanguinanti. Però, anche se razionalmente apprezziamo molto questa cosa, visto il tenore e il genere di concerto, a tratti il volume c’è sembrato persino troppo contenuto e per famiglie. La chitarra di Slash ci sarebbe piaciuta più in faccia nel mix. Ma queste non sono considerazioni né da giornalista, né da critico appassionato. Lo dice un semplice chitarrista che l’assolo di "Paradyse City" se lo sarebbe voluto sparare con i cabinet 4x12 di Slash al posto delle cuffie. Per cui, benissimo così. (foto di Valerio Marcelletti) |