Avevo messo in conto il fatto che ci sarebbero voluti alcuni giorni prima di metabolizzare la valanga emotiva di SHG. Una tappa di decompressione è il minimo per poter tornare senza traumi alla quotidianità dopo un tornado di suoni, colori e volti come quello che mi ha travolta domenica scorsa. Ora che l’attesa spasmodica dell’evento ha lasciato il posto ai ricordi, posso finalmente fare un bilancio e darne un resoconto personale.
L’evento è stato colossale. Sabato sera, appena terminato l’allestimento, ho avuto il piacere di girare tra gli stand e sono stata letteralmente rapita dalla seduzione di un numero imponente di strumenti di ogni forma e colore. Poche ore dopo questo intimo e silenzioso incontro, i meravigliosi gioielli si sono lasciati guardare, bramare, toccare, suonare da migliaia di appassionati. La magia che scaturisce dall’incontro tra uno strumento e chi lo ama è qualcosa che sa ancora stupirmi e non permette alle parole di catturarla, ma corre lungo la schiena di chi assiste insieme a un brivido di piacere che si rinnova a ogni occasione. Lo sbalorditivo numero di 43 eventi su sei palchi, poi, non ha bisogno di esser commentato.
Benché le sinuose creature a corde e a percussione siano state le indiscutibili protagoniste della 8 ore di Assago, quelle in carne e ossa non sono state meno abbaglianti. Alcune (la maggior parte) le ho incontrate per la prima volta e ognuna ha lasciato un segno diverso, a partire dagli amici della redazione di Accordo. Il bagaglio con cui sono tornata a casa (fatta eccezione per il mio trolley pieno di gadgets, cataloghi e volantini) è fatto di ricordi di cose come l’estro e l’effervescenza di quel personaggio di Paolo Anessi, la simpatia e il grande (grandissimo) calore umano di Alessio Berlaffa, l’unicità e l’esplosività di quel grande di Gabriele Bianco, il sorriso, l’infinita pazienza e l’abnegazione di Denis Buratto, la classe e la pacatezza (mettiamoci anche la resistenza alle basse temperature) di Pietro Paolo Falco, la presenza, la professionalità e l’instancabilità di Luca Friso e, last but not least, la dolcezza (no, non è un gioco di parole) e la cortesia di quell’Uomo di Gianni Rojatti. Infine Alberto Biraghi, amico ormai da diverso tempo, ma che non avevo mai visto all’opera in situazioni “critiche” come nel contesto di un colosso simile e le cui abilità mi hanno – se possibile, considerato il tipo in questione – sorpresa: non un burattinaio che muove i fili di un megateatrino (come troppo spesso ho visto accadere in manifestazioni di grande entità), ma un alchimista.
E poi la preziosa quanto insostituibile Susi de Pretis e una valanga di nuovi incontri nello staff: Valentina Guidugli, Marta Terrin, Angela Amelia (fantastica, con cui ho passato ore allo stand di Chitarra), Simona Grasso, il meraviglioso Erik Tulissio, Guido Salmaso, Leonardo Ardillica e (per ultima, ma solo perché fa molto “colpo di scena”) la stupenda Monica Moncada, grande fotografa e compagnia meravigliosa.
Ma che dire degli Accordiani che, nel marasma di cose ben più interessanti da vedere, hanno trovato il tempo di venire a salutarmi allo stand di Chitarra e dimostrarmi il loro affetto? Guardarvi negli occhi e rispondervi a voce anziché muovendo le dita sulla tastiera è stato il regalo più bello di questo viaggio e vi sono grata dei minuti passati insieme.
Infine mi porto a casa il ricordo del tempo passato con Steve Lukather in occasione della nostra intervista. L’estrema disponibilità e l’informalità su cui lui stesso ha impostato la nostra conversazione l’hanno resa per tutti i presenti un momento davvero divertente oltre che interessante. Non capita tutti i giorni di poter confessare un’ammirazione trentennale a uno dei propri artisti preferiti e il suo abbraccio ha sigillato una giornata indimenticabile.
Mi rendo conto che tutto questo possa suonare come una sviolinata, ma non si può vivere di schitarrate. (O sì?!)
Long live SHG! |