di LaPudva [user #33493] - pubblicato il 23 novembre 2012 ore 08:00
Dire che ha personalità è un eufemismo. Potente, eclettico, inarrestabile, Mike Terrana non è solo un grande batterista, ma un artista con una conoscenza profonda e una visione disincantata del music business. Con estrema coerenza, in trent’anni di professionismo ha saputo evolvere costantemente senza perdere il proprio carattere. Lo abbiamo incontrato in occasione della sua masterclass alla MMI di Sarzana dove, col carisma irresistibile di un vero intrattenitore, ci ha spiegato perché è un tipo che ama correre da solo.
Dire che ha personalità è un eufemismo. Potente, eclettico, inarrestabile, Mike Terrana non è solo un grande batterista, ma un artista con una conoscenza profonda e una visione disincantata del music business. Con estrema coerenza, in trent’anni di professionismo ha saputo evolvere costantemente senza perdere il proprio carattere. Lo abbiamo incontrato in occasione della sua masterclass alla MMI di Sarzana dove, col carisma irresistibile di un vero intrattenitore, ci ha spiegato perché è un tipo che ama correre da solo.
Quando hai cominciato a suonare e quando hai capito che avresti voluto diventare un professionista? Ho cominciato a suonare la batteria quando avevo 8 anni. Mio zio mi ha regalato una Slingerland “Radio King”. Sono andato in cantina, l’ho montata e ho cominciato subito a suonare. Nessuno mi ha insegnato come fare e, soprattutto, nessuno voleva che io la suonassi perché era rumorosa. Mio padre era farmacista e voleva che io studiassi per diventare dottore, così ha smesso di parlarmi! È siciliano, aveva ragione anche quando aveva torto e non mi parla da trentacinque anni.
Essere un musicista non è stato una scelta. Io a 8 anni sapevo di voler suonare la batteria e quando ne avevo 16 sapevo di voler diventare un batterista professionista, ma non potevo dirlo a nessuno. Era un po’ come le ragazze che rimangono incinte e non posso farne parola con anima viva: “diventare un batterista”?! Era una parola sporca! Non mi era concesso di suonare a casa e mio padre non voleva che frequentassi una scuola di musica. Era contrario alla faccenda, ma in realtà è responsabile del mio successo per diversi motivi, anche se non lo sa. Ero in cantina a suonare sui dischi e facevo un sacco di casino, probabilmente anche degli errori, lui veniva giù e mi diceva “Cosa fai quaggiù?! Perdi del tempo! Un vero batterista può suonare da solo!” Ci pensai su…
Non ero capace di suonare e tenere dei ritmi da solo, avevo bisogno della musica. Allora cominciai ad accordare la mia batteria, a sistemarla per farla suonare meglio e mi esercitavo. Quando avevo 18 o 19 anni, suonando nei bar facevo dei soli, li ho sempre fatti! Ero influenzato da Beatles, Stones, Creedence Clearwater, Led Zeppelin, Hendrix, Cream, Guess Who, tutta quella musica. Suonavo anche roba di Barbra Streisand. La suonavo molto heavy, ma suonavo qualsiasi cosa! Amavo e amo qualsiasi tipo di musica! Sinatra. Sento anche un sacco di musica senza batteria.
Per riassumere, a 16 anni sapevo che sarei diventato un batterista professionista, ma non immaginavo che ci sarebbero voluti 30 anni per riuscire a viverci. Che lotta! A volte guardo questi ragazzi che vogliono diventare batteristi in mezzo al pubblico. Quando mi trovo all’aeroporto o alla stazione e vedo migliaia di persone, mi spaventa pensare che tra tanti batteristi al mondo in qualche modo io ce l’ho fatta. Non so se sono stato fortunato o se è perché ho creato uno stile mio. Credo di avere uno stile e di averlo creato quando era ancora possibile. Non credo si possa più farlo. Durante la masterclass di oggi ho detto che l’avvento del computer ha cambiato la musica, il feeling e il rapporto tra le persone e gli strumenti, perché l’accordatura e tutto il resto non sono più così importanti. Mi è capitato di registrare dischi e di chiedere “Devo cambiare le pelli? Non suonano bene!” e sentirmi rispondere “Naaa, metteremo campioni su tutto”. Funziona così, ma adesso io sto cercando di rovesciare tutto, voglio rimanere negli anni ’70! Quel che ho fatto oggi alla masterclass era molto anni ’70, era vero. Si fanno errori!
Negli ultimi 30 anni hai lavorato con un numero impressionante di musicisti. Ci sono delle collaborazioni che hanno lasciato un segno profondo? C’è qualcosa di cui sei particolarmente fiero e qualcosa che invece non rifaresti mai? Sai, i problemi cominciano quando cerchi di vivere suonando la batteria. A quel punto l’arte scivola via, diventa un prodotto commerciale e ti ritrovi a lottare con questo problema. Ho sempre voluto essere un artista, lo voglio ancora, ma devo anche comprare delle cose coi soldi nel mondo reale. Quando ero più giovane suonavo in un sacco di band e le gestivo. Sono un tipo molto organizzato, ho una personalità forte e me la cavo bene con gli affari, quindi tenevo il libro mastro, mi occupavo delle tasse, eccetera.
In seguito ho fatto il road manager per diverse band. Quando eravamo in tour non me ne stavo sul bus a girarmi i pollici: mi occupavo del merchandising, dell’autista, facevo i conti e tutto il resto. Questo è un business, benché le parole “musica” e “business” siano l’antitesi l’una dell’altra. Quando ho cominciato a vivere di musica, ho cominciato anche a fare cose come suonare in cover band, lavorare per altre persone, ecc. Mi ricordo che a volte eravamo a suonare davanti a due gatti il mercoledì sera e il cantante mi diceva “Mi fa male la gola, fa un solo più lungo!” e io “Ma non voglio fare un solo, non c’è nessuno!” e giù con le litigate nel backstage. Suonavamo quattro set per serata e non c’era un’anima, facevo i soli per i muri e sono andato avanti così per anni, suonando cinque sere a settimana. A volte dopo un solo vedevo arrivare una ragazza con un dente solo che mi piazzava un biglietto sulla batteria con scritto “Puoi suonare Sharp Dressed Man, per favore?”.
Quello era l’aspetto negativo e naturalmente quando ho cominciato a entrare di più nel music business, a fare tour, a lavorare con le case discografiche e artisti più grandi, uno dei peggiori che io abbia mai incontrato è stato senza ombra di dubbio Yngwie Malmsteen. Non è solo uno dei peggiori musicisti, ma anche una delle peggiori persone che io abbia mai incontrato su questo pianeta, davvero un essere orribile! Ho lavorato con lui per due anni ed è stato sfibrante, un’esperienza che mi ha succhiato le energie vitali. Mi ci è voluto un anno per risistemarmi. È strano pensare che certe persone possano farti cose simili. C’è un libro interessante sull’argomento che si intitola “La profezia di Celestino”, tratta di vampiri energetici. Non mi piacciono le vibrazioni di quel ragazzo! Tutto vibra, anche se non si vede, anche le persone e gli animali percepiscono quando qualcuno non è positivo. Ecco, non ho mai visto un cane a cui piacesse Yngwie… Di solito ringhiavano! Ha un che di negativo e lavorare con lui da un certo punto di vista è stato una buona esperienza, perché un sacco di persone ritengono che se riesci a lavorare con lui, puoi lavorare con chiunque ed è vero!
Probabilmente lavorare con Tony McAlpine è stato, invece, una delle esperienze più liberatorie. Mi lasciava suonare, è un grande musicista, una persona tranquilla e normale, nel senso che ha una vita normale. Ho fatto 5 o 6 dischi con Tony, un sacco di tour ed è un musicista davvero eccezionale, un genio! È un grande pianista classico, un chitarrista fantastico, un ottimo compositore, ma sa anche tanto sulla musica e talvolta mi dava dei piccoli consigli tipo “Mike, magari qui non suonare così veloce” oppure “Forse non dovresti riscaldarti così velocemente. Sai, quando noi suoniamo il piano suoniamo lentamente, facciamo scale lentissime” e a volte lo faccio, suono i rudimenti piano e mi rilasso. Funziona davvero! È una specie di opposto psicologico di ciò che accadrà quando salirai sul palco, il fare attenzione a ogni singolo colpo o ogni nota che suoni. Lui ha una formazione classica, io no.
Poi ho lavorato con Steve Lukather, una delle esperienze più belle in assoluto. È stato davvero piacevole e lui è una persona molto interessante, un grande musicista che ha cose interessanti da dire, ho imparato tanto da lui mentre eravamo in tour. Ora sto lavorando con Tarja Turunen, anche lei con una formazione classica. È bellissima, dolce e intelligente, sa un sacco di cose sulla musica e mi lascia suonare. Adoro lavorare con lei, ci suono da 5 o 6 anni ed è una delle persone più belle con le quali abbia mai lavorato. Non hai idea di quali follie possano aver luogo in una band! Quando ero nei Rage siamo arrivati a un epilogo davvero negativo… Ero nel gruppo da 8 anni ed era una di quelle band di cui ero road manager. Mi occupavo di un sacco di affari perché facevano fatica a raccimolare soldi in tour e ho sistemato tutto. È andata a finire che si sono spaventati perché ero diventato troppo “potente” e sono diventati un po’ invidiosi perché il mio solo di batteria attirava più attenzione di quanta ne attirasse il chitarrista. Non sentirai mai i Rush dire a Neil Pert “Hey Neil, piano!” ma sei mai “Vai Neil! Abbiamo un grande batterista!”.
Lavoravo con Doug Wimbish ed ero un po’ scosso da come era finita coi Rage, anche lui suonava con Tarja e avevamo entrambi la possibilità di fare un solo. Io non sapevo come comportarmi, così gli ho chiesto “Ehi Doug, secondo te quanto dovrebbe esser lungo il mio solo?” e lui mi ha risposto “Ehi, se mi fai questa domanda non dovresti neanche farlo, il solo!” e aveva ragione, ma i Rage mi avevano traumatizzato con questa storia della durata. Penso che se hai qualcosa da dire in un solo, lo devi dire fin quando hai finito. Se sto facendo una jam con Steve Lukather non gli dico “Va bene Steve, ora basta, hai finito!”, gli lascio fare le sue cose, lo lascio esplorare ed esprimersi! Naturalmente altri grandi musicisti hanno lasciato che lo facessi e sono loro grato per questo. Ci sono altre band da cui ho imparato tanto, ma questi sono i tre principali.
C’è qualcuno con cui non hai mai lavorato e con cui vorresti collaborare? Sì, ci sono un paio di persone. C’è il bassista dei King’s X (Doug Pinnick, n.d.r.), che è anche un grande cantante. Non so dirti perché lo vorrei fare, immagino perché mi piace il suo stile. Poi vorrei suonare con gli AC/DC, penso sarebbe una gig meravigliosa.
Gli AC/DC li ho visti sei o sette volte con Bon Scott. Ho visto i Rush in un bar nel 1976, ho visto Neil Pert coi suoi baffoni, “Il professore” e io ero intimoritissimo! Tornato a casa dovevo assolutamente fare quello che avevo sentito, ero devastato! Neil Pert e Terry Bozzio hanno avuto una grande influenza su di me, era come aver visto Dio. Ero totalmente preso dalla batteria e lo sono ancora: mi piace guardare la batteria, passare del tempo da solo alla batteria, mi rende felice! Non ho bisogno di un’altra persona per essere felice e credo che questo sia il problema di molta gente: sono soli e forse inseguono qualcosa che non esiste realmente, forse è un’utopia. Io ho trovato quel qualcosa nel suonare la batteria.
Considerato il tipo di musica per il quale sei noto (principalmente l’heavy metal), non si penserebbe mai che tra i tuoi preferiti ci siano, per esempio, Sinatra e i Beatles. Da dove nasce il tuo amore per questi artisti? È nato quando ero un bambino. È buffo, mio padre non voleva che diventassi un musicista, ma ascoltava un sacco di buona musica e aveva un grande stereo a casa. Io mi sdraiavo per terra in mezzo ai due speaker giganti e ascoltavo Harry James e Frank Sinatra, un sacco di big band che facevano swing. Sentivo Tom Jones, a mia madre piaceva Barbra Streisand, The Mamas & The Papas, Creedence Clearwater, ecc. Insomma sono cresciuto con tanta buona musica, ecco perché so suonare un sacco di tipi diversi di musica, perché ho la musica dentro, era in casa.
Se suoni heavy metal, è l’ultima cosa che vuoi sentire quando torni a casa. Se lavori in una pizzeria o fai il cioccolato, sono le ultime cose che vorresti mangiare. Se rimani inscatolato in qualcosa non evolverai mai. Sono stato molto criticato dalla scena metal tedesca: “Suoni dei lick jazz nel metal” e io “Sì, perché lo rende diverso!” Posso offrire qualcos'altro rispetto a quello che si sente di solito e questo è ciò che ha reso i Rage un po’ diversi quando ho fatto “Welcome to the Other Side”. Quello non era un disco come gli altri perché mi hanno lasciato suonare! Se suoni in un gruppo devi stare insieme perché ti piace il feeling che hai con gli altri. Se incontro una donna, mi piace il suo aspetto, bene, la conosco e devo accettare tutte queste cose. Se invece voglio cambiarla a mio piacimento, vado incontro un sacco di problemi ed è lo stesso nei gruppi rock! Ai Rage ho detto “Ma perché sono qui? Non vi piace niente di quello che faccio! Trovate qualcuno, programmate…
Io voglio fare le mie cose e alla gente piacciono. Un giorno il chitarrista mi ha detto “Il tuo solo è troppo lungo” e io ho risposto “Non ho sentito nessuno fischiare. Quando fischieranno e mi tireranno della roba mi fermerò!” Quindi un sacco di musica deriva da quando ero molto piccolo e sono entrato in contatto con essa attraverso i miei genitori e la radio.
Ti ho sentito cantare della roba di Sinatra. La tua voce è incredibile! Prenderesti in considerazione l'ipotesi di cantare in uno dei tuoi prossimi album? Mi piacerebbe fare un disco dedicato a Frank Sinatra! Un disco di cover solo per me, per divertimento. Non so se dovrei anticiparlo, ma quando registreremo “The Beauty and the Beat” canterò con l'orchestra, probabilmente “Fly me to the moon”. Adoro Sinatra, ho tutti i dvd. È un grande comunicatore, se lo guardi cantare dal vivo è incredibile: è divertente, affascinante! Non ci sono più persone cosi… È molto triste. Io cerco di riportarlo indietro e farlo conoscere alla gente giovane, ed è quello che tento di fare anche con la musica classica. Questa roba fa paura, sentitela!
A questo proposito, parliamo del tuo disco uscito l’anno scorso, “SinFonica”. Dove hai preso l'idea di suonare su musica classica e che tipo di approccio hai usato per suonare la batteria su musica orchestrale? Uno dei primi batteristi che ho sentito suonare su musica classica è stato Cozy Powell, quando ha suonato l’ouverture 1812 di Tchaikovsky all’interno del suo solo. Avevo 16 anni e rimasi molto colpito. Anche gli Emerson Lake and Palmer suonavano un sacco di classica e mi piaceva. Comunque, io ero un grande fan di Cozy Powell. E' morto circa 12 anni fa e volevo fargli un tributo, così ho chiesto a un amico di fare la musica per la 1812, l’ho registrata e dedicata a lui. Quando l'ho imparata, ho pensato che fosse divertente e così mi sono deciso a suonare il resto.
Avevo fatto altri dischi di classica in precedenza; ho suonato 5 pezzi in un disco di musica di Bach e anche quello mi è piaciuto. Stavo cercando pezzi che si prestassero a essere suonati con la batteria heavy metal. Non molti sono adatti, perché ci sono un sacco di parti lente, ma in Dvořák, Rossini e altri ho trovato musica su cui suonare rock. Per suonarla, ho immaginato di tornare indietro di 300 anni con la macchina del tempo e dire “Hey man, come va? Voglio fare una jam!” e questo e quello che è venuto fuori. Ho scritto le parti cercando di farle tornare con la musica senza stravolgere tutto. Puoi distruggerla davvero e spero di non averlo fatto, ma so che ci sono dei puristi nel mondo della classica che penseranno che io sia un idiota e che questa sia spazzatura, ma è il mio meglio e ho cercato di rispettare la musica.
Com’è stata la reazione del pubblico quando hai suonato questi brani dal vivo? Buona, un sacco di gente era davvero scioccata! A volte aprivo i concerti di band metal e tutti dicevano “ma cosa farà questo tipo?!” Io suonavo musica classica che usciva molto clean, tutto in digitale sull’impianto ed era qualcosa di nuovo, che suonavo con potenza ed emozione. Poi arrivavano le band e avevano un sound totalmente diverso. Insomma, è andata bene! Tre anni fa sono entrato nel Guinness dei Primati perché ho suonato con 4 band nello stesso giorno al Masters of Rock nella Repubblica Ceca e ho suonato questa musica davanti a 30 o 40.000 persone. Penso di averla suonata per la primissima volta alla Musikmesse di Francoforte e dopo aver finito il secondo brano la gente era in delirio… Mi è venuta la pelle d’oca al pensiero che quell’idea che avevo da tanto tempo era finalmente stata realizzata e stava funzionando! Questa cosa è andata avanti per due anni e mezzo e ora mi sto dedicando ad altro. Bisogna andare avanti, l’evoluzione è importante.
Suoni da tanti anni e oggi sei un musicista popolarissimo in tutto il mondo. Cosa pensi che ti renda unico? Credo di aver sempre avuto una personalità forte e ho sempre amato fare scherzi e battute. Mia madre mi diceva “Mike, tu non hai bisogno di qualcuno che ti faccia divertire perché ci pensi da solo!” e infatti da piccolo passavo un sacco di tempo da solo, esercitandomi o facendo cose per conto mio. A scuola mi piaceva tantissimo far divertire gli altri e vederli ridere. Mi piace combinare le due cose e ora che sono più vecchio, quando la gente viene a sentirmi suonare, adoro fare battute e suonare, intrattenerla con entrambe le cose. Credo sia importante, perché molti batteristi pensano “Sono un bravo batterista, quindi mi siedo lì, suono e basta!” ma io non credo sia sufficiente.
Il business dell’intrattenimento è un enorme ombrello: quando ti ci ritrovi sotto, dovresti esser capace di cantare un pochino, parlare un pochino, fare qualche battuta, avere un certo carisma. Non so di cosa si tratti esattamente, ma quando mi siedo alla batteria cambio e viene fuori un’energia di qualche tipo. Penso che la gente percepisca che amo tutto ciò e non lo faccio solo per soldi. Se lo avessi fatto per soldi mi sarei fermato 30 anni fa! Lo faccio perché mi piace e penso al fatto che tra 15 anni forse non potrò più farlo e sarò triste, ma del resto tutte le cose belle giungono al termine a un certo punto. Inoltre penso di essermi distinto “fisicamente”, mi sono differenziato da tutti gli altri batteristi heavy metal. Quando ero agli inizi coi Rage, una sera sono andato in mezzo al pubblico e nessuno mi ha detto nulla… Avevo appena suonato, ma nessuno mi aveva notato, perché avevo i capelli lunghi e somigliavo a tutti gli altri! Così un bel giorno capii che non funzionava per me, dovevo far venir fuori qualcosa e fu così che scelsi il look alla moicana, che è poi diventato il mio logo, l’immagine che tutti riconoscono. C’è solo un tipo con quel cavolo di taglio! In realtà ci sono altri ragazzi che lo hanno, ma sembra diverso… Credo che quel taglio sia proprio perfetto per me. Penso si debba esser pazzi per fare una cosa del genere, ma in effetti io non sono una persona normale (e non voglio esserlo!).
Ho avuto una piccola querelle coi ragazzi della band di Tarja nell’ultimo tour; sono tutti sposati con figli e connessioni via Skype con la famiglia, e dopo sei mesi hanno cominciato a trovarmi un po’ bizzarro. Ho detto loro che li rispettavo per quello che erano, ma che rappresentavano ciò da cui sono scappato per tutta la vita: la società. Erano entrati a far parte della società, erano in tour e non potevano fare quel che facevo io. Io sono solo e vivo la musica, non c’è nessuno che mi aspetta a casa, dove non ho bambini che si chiedono “chi è papà?!”. Loro invece sì ed è per questo che si sentono in conflitto con se stessi, perché non funziona. Molte rockstar sono arrivate a 27 anni; io ne ho 52, avrei dovuto fare il check out molto tempo fa! L’altro giorno guardavo un concerto dei Doors e c’era Jim Morrison che si muoveva davanti al batterista scomposto e totalmente libero: quel ragazzo era una stella cadente, non ce ne sono più così oggi! Non ha vissuto a lungo, ma ha lasciato qualcosa o no? Pensa a Jimi Hendrix! John Bonham è morto a 32 anni, il che significa che ha fatto i primi dischi degli Zeppelin – vale a dire cose monumentali per la batteria – a 20 anni! C’è solo una parola che riassuma il tutto: genio.
Quando sei forte, hai un’opinione e uno stile definiti, altre persone che non li hanno fanno gruppo nel non apprezzarti. Non sto dicendo di essere un genio, sto dicendo di essere una persona indipendente. Se pensi a uno come Nikola Tesla (il tipo che ha inventato la corrente alternata e molte altre cose), nessuno gli voleva più parlare, avevano paura di lui perché era troppo intelligente, come Leonardo Da Vinci!
Spaventi le persone, Mike? Sì, spavento le persone con la verità perché sono uno specchio e sono una persona troppo libera e caparbia per la maggior parte della gente. Da un certo punto di vista sono potente, in quanto sono arrivato a un punto della mia carriera in cui se non mi va di fare qualcosa non devo necessariamente farla, ma non sono meschino e non uso tutto ciò come un’arma. Dopo aver mangiato merda per trent’anni, però, è bello poter prendere una decisione ogni tanto! Credo che la gente abbia paura di pensare autonomamente e che non abbia il senso dello stile. Vedo gente in giro che sembra fighissima e sofisticata, ma è semplicemente la spazzatura che la tv dice loro di mettersi addosso.
Jim Morrison non prendeva merda dalla tv e neanche Jimi Hendrix, un ragazzo nero che suonava quella roba nel 1967 e sembrava un alieno. Io sono cresciuto con questa gente! Adesso i musicisti hanno degli stylist che li consigliano sul da farsi… È noioso. Guarda Keith Moon: era totalmente fuori e lo era per davvero (aveva problemi mentali)! Non molti lo sanno, ma era molto intelligente e apparteneva a una categoria a parte: la sua. Non era un grande solista, non era un batterista tecnico, era una rockstar. Ho appena visto un documentario su Michael Jackson ed era un uomo molto solo, ha avuto una vita terribile, ma era un genio e guarda cosa si è lasciato dietro. Queste persone che creano grande arte sono spesso anime in pena. Io ho vissuto troppo a lungo, non sono un’anima in pena, sono solo una persona che ama suonare e a cui piace stare da sola. Non sto reinventando la batteria, ci sono batteristi che l’hanno fatto, come John Bonham e Terry Bozzio. Non sono uno di loro, ma è bello essere nella stessa minestra! Mi vedo così: uno che sta un po’ fuori dal gruppo, oppure che fa parte del gruppo ma che è riconoscibile come individuo. Non mi piacciono i club, li trovo stronzate pericolose.
Il tuo ultimo dvd, Rhythm Beast, è uscito nel 2007. Hai in progetto un altro video? Ho in progetto di fare qualcosa, ma questa volta non lo venderò. Penso sia impossibile vendere qualsiasi cosa ormai e questo a causa di internet e delle stupide case discografiche. La mafia del music business ha munto la vacca del tutto, ha violato i musicisti e non c’è più nulla da prendere.
La prossima cosa che farò, dunque, sarà un mix di intrattenimento, promozione, qualcosa di artistico e gratuito, anche perché credo sia arrivato il momento di dare qualcosa indietro. Ho endorsement, mi danno roba e penso sia bello dare qualcosa a gente più giovane che possa ispirarla. Molto spesso sono io che pago per questi miei progetti (dvd o altro), io sono la mia casa discografica ed è bello! Frank Zappa lo faceva 25 anni fa, ha finanziato tutto! Era un uomo interessantissimo, ha detto “ok, voglio fare questa musica, cosa devo fare? Le case discografiche (che non sono altro che banche disoneste) non la vogliono? Me li faccio io i miei dischi!” Questo è il modo in cui i musicisti faranno musica in futuro: la regaleranno e poi faranno concerti.
È una vita dura, perché devi essere in giro sempre ma non si può più vivere delle vendite dei dischi. Credo che nei prossimi 2/5 anni vedremo scomparire molta gente. Quelli che non amano il mestiere e vogliono solo essere famosi scompariranno. Ho avuto una manager per 4 anni ed è finita malissimo, non era più motivata. Se vuoi fare qualcosa, te lo devi fare da solo. Tutta questa gente antiquata, i manager, i tipi delle case discografiche, non sono necessari. Non hanno idee, non hanno un background musicale, non capiscono neanche la musica, si siedono dietro a una scrivania e vanno su internet, forse su Facebook e quella è la promozione… Posso farlo anche da solo! Quando ero nei Masterplan sono entrato in una casa discografica (la AFM Records di Amburgo) e ci ho trovato un gruppo di ragazzi che avrebbero potuto essere miei figli. Siamo entrati e nessuno ha alzato la testa dal computer per dire “ciao” (quando vivevo a Los Angeles e suonavo nei Beau Nasty, invece, sono andato alla CBS Records e tutti hanno alzato la testa e sono venuti a salutarci). Sono andato in un’altra stanza con Roland Grapow, mio caro amico e chitarrista degli Helloween, e gli ho detto “Ti rendi conto che tu dipendi da queste persone per vendere la tua arte?!” Non c’è passione, non c’è marketing, non ci sono idee, è finita! Un tempo gruppi come i Genesis o i Beatles avevano un marketing pazzesco e un sacco di potere alle spalle, promozione radiofonica, ecc.
(Mike Terrana gestisce in prima persona ogni fase della realizzazione dei propri progetti e la loro distribuzione. È possibile acquistare i suoi lavori sul sito www.terrana.com, oppure alle masterclass. L’ultimo progetto, SinFonica, può infatti essere scaricato online o acquistato in formato pendrive in occasione dei seminari. Oltre alle tracce audio con le cover e i credits, troverete i video di alcuni dei brani, del making off e dei filmati promozionali degli endorsement di Mike (le batterie Drumcraft e i piatti Meinl), il tutto a un prezzo irrisorio che solo l’assenza di intermediari può consentire.)
A cosa ti stai dedicando in questo periodo? Sto facendo un sacco di cose, come sempre. Non mi piace stare a casa per più di due settimane, divento pazzo. Mi piace partire e suonare, perché non so quanto tempo mi rimane per farlo! Ho fondato una band che si chiama Terrana e questa cosa partirà nelle prossime settimane qui in Italia. È un power trio che ho messo su con due musicisti italiani, molto anni ’70 (li riporto indietro perché qualcuno deve farlo). L’ho chiamato così perché ho il mio seguito. Non so se è stata una buona idea mettere su una band, perché, come dicevamo, entrano in gioco le personalità e la cosa mi rende sempre un po’ nervoso, ma lo farò.
Poi farò The Beauty and the Beat con Tarja: lei canterà l’opera e io verrò fuori e distruggerò la musica classica! Mi divertirò col mio costume da Mozart di Antonio Pignatelli, afferrerò il direttore e farò cose strambe di questo tipo. Poi farò il tour del nuovo disco di Tarja, che partirà a ottobre 2013. Farò clinic e sto inventando delle cose per la batteria (dei piatti) e suonerò la Mark Drum (la Mark di Pescara che fa anche amplificatori). Sono stato da loro, è bella gente, molto ben organizzata e mi faranno un set speciale, per cui probabilmente farò un clinic tour per quello. Fanno batterie elettroniche per batteristi che non amano le batterie elettroniche (io le odio). È bello lavorare con un marchio italiano, scorre sangue italiano nelle mie vene, mio padre è nato ad Agrigento e mia madre viene dall’Abruzzo. Ci sono molti batteristi incredibili che hanno origini italiane e sono cresciuti negli Stati Uniti! Oh sì, Terry Bozzio, Bobby Rondanelli, Vinnie Colaiuta (probabilmente uno dei migliori batteristi del mondo) e moltissimi altri. Gli italiani fanno cose ottime, hanno un buon occhio per ciò che è bello. Quando ho registrato il mio album solista, l’ho registrato tutto in Italia. Il progetto è stato fatto interamente in Italia (il logo, ecc), l’ho registrato a Pisa e quando andavo allo studio toccavo gli antichi acquedotti, vedevo la torre, ero circondato da tutto questo. La musica che è nel cd ha 300 anni e la gente ancora la ascolta… Mi piacciono la cultura e la storia, mi piace riportarle indietro.
Un’ultima domanda sulla tua forma fisica. Hai un fisico imponente ma mantieni un’estrema agilità. Come ci riesci? Ci sono molte cose che faccio quando non suono. Innanzitutto non fumo, non bevo granché (solo un po’ di vino, ma niente whisky o superalcolici). Vado in palestra e mi alleno molto. Tempo fa ho avuto seri problemi alla schiena, per cui ho dovuto fare bicicletta. Ora per fortuna posso correre di nuovo! Dunque mi alleno molto e naturalmente mi esercito molto alla batteria. Ora lo faccio meno perché sono spesso in viaggio, ma circa 7 anni fa mi esercitavo circa 6 ore al giorno. Quando ho fatto il dvd di cui sopra (tutto registrato live) mi esercitavo 10 ore al giorno! Ho fatto anche boxe, molto utile per le braccia e la respirazione.
Un ringraziamento al prezioso Gianluca Cagnoli, Direttore della sede di Sarzana del Modern Music Institute, per la grande disponibilità e l’entusiamo dimostrati. L'evento è stato presentato da Giuseppe D'Aleo (che ha curato anche la traduzione della masterclass) e Marco "Peso" Pesenti. Foto di Davide Umberto Zappa (DUZ Image).