di paoloanessi [user #32554] - pubblicato il 17 gennaio 2013 ore 07:30
Quella di Gianni Zacchetti non è la solita Stratocaster. Scelte estrose, come un battipenna in legno che in realtà è un top, dimostrano quanto il progetto Strat possa distanziarsi dall'originale. Abbiamo confrontato una Stratocaster di liuteria con una Fender per scoprire quanto si può inventare su un disegno di oltre mezzo secolo fa.
Molto probabilmente il modello più imitato, capostipite di un suono, primogenito parallelamente alle chitarre Gibson di una rivoluzione a livello globale nel mondo della musica. Ma nell'essere il più imitato, quanto ci si riesce ad avvicinare realmente a quel suono dannatamente intrigante e ruffiano? È interessante come un progetto vecchio come il cucco venga ancora oggi manipolato e reinventato, a volte stravolto rendendolo quasi irriconoscibile.
Gianni Zacchetti passa a trovarmi in studio un venerdì pomeriggio, con due custodie alla mano, bussa e sporgendosi in regia mi dice: "ho qui la Strat di Davide e una replica che ho fatto quattro anni fa, ho un'ora di tempo, ti vuoi fare un giro?" Io sto lavorando sul seminario del giorno successivo, rispondo: "ok dai, un break di un'ora mi serve a staccare la spina". In mezz'ora piazzo la camera, attacco lo Shure SM57 e faccio i livelli. Perché sia una prova lampo, cablo solamente il Randal Gt50 con pedaliera e suoni ad hoc, non c'è tempo né motivo di trasportare e ricablare un altro ampli e settarci un suono. Finito di allestire lo studio per la ripresa video e audio, mi rimangono venti minuti quindi decido al volo: uso due pedali, un delay e una distorsione, perché quella dell'ampli mi chiederebbe troppo tempo. Dò una regolata al delay Boss DD5 e decido per il secondo canale clean dell'ampli, abbastanza "spallettato". Vado con il TS9 di gain a tre quarti e toni a ore dodici.
La Zacchetti ha il body ricavato da un unico blocco di tiglio con il top in acero marezzato in due pezzi. Cattura l'occhio istantaneamente: esplorandola, colpisce il battipenna ricavato dal corpo della chitarra in un bellissimo tutt'uno. In pratica la chitarra è un bassorilievo rispetto al battipenna. La tastiera in ebano monta i jumbo splendidamente rifiniti, meccaniche Gotoh registrabili e auto bloccanti, pickup al manico e centrale I-Spira fatti a mano, replica del '63, mentre al ponte un single coil replica del '62. Classico selettore a cinque posizioni, ponte fissato con quattro molle anche queste Gotoh. Bella, appariscente e nello stesso tempo elegante come il vestito per un importante Gran Galà dove puoi permetterti, nell'eleganza, di essere dannatamente "sgargiante".
La Stratocaster bianca di Davide (che ringrazio anche se ancora non sa che ho usato la sua chitarra) è una giapponese del 1991. Imbracciandola, colpisce quanto sia molto più leggera, mi chiedo in quali termini sarà influenzato il suono. Si discosta poi nella tastiera in palissandro, diversa al tatto e nella scorrevolezza ma ugualmente bella e maneggevole.
Una volta suonate entrambe di gusto, mi sono poi divertito a montare il video ottenuto dividendo le due improvvisazioni registrate in momenti sonori.
Nella foga del momento, si pensa poco a cosa si può tirar fuori dalle due chitarre, ma ci si lascia trascinare sperimentando colori e sfumature. Le conclusioni vedono profonde differenze tra i due esemplari, uno più frizzante, l'altro più corposo. Tuttavia, in un giudizio personale, entrambi belli.
Sono da sempre incuriosito nei confronti della sensibilità musicale altrui, così eterogenea e incredibilmente complessa, a chi piacerà la bianca, chi preferirà la Zac. Chi apprezzerà entrambe e chi nessuna.
Farsi fare la replica della chitarra che replica se stessa da oltre cinquant'anni sembra un paradosso, ma avendone la possibilità economica, maturità musicale e chiarezza d'idee, si apre un mondo di personalizzazioni. Per esempio questa chitarra di liuteria, nell'essere molto fedele al sound della corrispettiva americana, trova il suo punto di forza nell'identità visiva. Non da meno il comfort generale dello strumento, perché tutto è stato scelto con cura dal suo possessore, dal tipo di manico in acero occhiolinato alla tastiera in ebano con scelta della curvatura e dei tasti, dal tipo di circuiti al ponte, i controlli, meccaniche simili a legno, i pickup preferiti, la verniciatura e le sfumature totalmente a gusto del suo nuovo padrone. Insomma tutto diventa customizzabile facendosi costruire una chitarra.
Una chitarra deve far suonare bene e goduriosamente, quindi rispettando appieno un range di gusti che va da chi preferisce lo strumento nudo e crudo come esce di fabbrica, perché magari ne ha più bisogno per rimanere concentrato sulla musica e sul suono o semplicemente perché quella si può permettere, fino all'esatto opposto. Non è difficile da immaginare che si possa riuscire a migliorare ciò che si suona alimentandosi attraverso il tatto e la vista, maneggiando strumenti molto appariscenti oppure semplicemente eleganti da indossare. È bello e giusto che nel mondo ci sia così tanta differenza, perché basta saper cogliere e chiunque può arricchirsi da chiunque.
In conclusione si può riassumere la filosofia liuteristica principalmente in due scuole di pensiero. La prima implica l'innamorarsi perdutamente di un determinato modello proposto dal liutaio, su sue specifiche direttive, che collima perfettamente con le nostre esigenze. La seconda vuole che, con grande chiarezza d’idee, ci si faccia costruire uno strumento avendo l’opportunità di entrare nel merito di ogni più piccolo particolare, persino disegnare personalmente la forma del body.
Tre giorni dopo e sto scrivendo quest'articolo, mi fermo e ripenso a quei venti minuti in cui ho provato le due chitarre, poi mi sorge la domanda a cui proprio non saprei rispondere: ma potendo scegliere mi farei fare proprio una Strat? Se potessi veramente scegliere, quale mi piacerebbe? Ovviamente tutte e due!