Allora saltano fuori Muddy Waters, Fenton Robinson, Johnny "Guitar" Watson, un sacco di altri padri nobili...
In mezzo a tutto questo mi ritorna in mano l'album di Mayall ed Clapton, Blues Breakers; forse è difficile piazzarlo nella giusta prospettiva storica ma ascoltandolo, pian piano, mi appare evidente il suo valore di opera "seminale" e di come ci si trovi di fronte alla nascita (e ri-nascita) di un genere agli occhi di un pubblico nuovo e diverso dal precedente.
Non è il primo album "blues" britannico (probabilmente questa palma spetta ad Alexis Korner) ma ha qualcosa di diverso.
Proseguendo comincio a fare due calcoli e realizzo che Clapton aveva all'epoca 21 anni e mi colpisce la maturità espressiva, i fraseggi e la ricerca di quel tono di chitarra, di quell'attacco. In più di una intervista ha affermato che al momento era alla ricerca di una sintesi dei toni dei bluesmen che più lo influenzavano, (sopra tutti Freddie King e Buddy Guy) e si sente; al contempo però ha creato un punto di riferimento personale che probabilmente troverà il suo punto più alto con il Woman Tone nei Cream.
Il tutto è stato ottenuto usando un Les Paul Standard del 60 (o 59), comprata da Clapton di seconda mano dopo aver visto una foto di King che ne imbracciava una, un combo Marshall modello 1962 ed un treble booster, il Dallas Rangemaster. Il risultato è un tono ricco di medie, saturato naturalmente sia dal volume dell'ampli sia grazie al treble booster, nelle sue parole "thick and creamy".
Grazie al sustain e all'impronta quasi "live" della chitarra l'album risalta per la sua immediatezza e riesce a riproporre quell'atmosfera per cui slowhand era diventato famoso durante i concerti, caratterizzati da improvvisazioni e lunghe jam.
"The Beano" non suona datato alle mie orecchie nemmeno ora che quelle premesse sono state riprese e sviluppate da innumerevoli artisti. Diciamo che rimane un punto di riferimento (personalmente) essenziale.