Delle corde vecchie possono dare l'idea di un tono spento, ovattato e meno vivo in generale, ma come cambia davvero il suono quando le corde cominciano a usurarsi? Un'analisi allo spettrogramma svela le differenze tra una corda vecchia e una appena montata.
Non si parla di carole natalizie né di aneddoti nostalgici con protagoniste le "corde di una volta che così non ne fanno più". Lo spettro citato nel titolo è quello grafico, analisi di un suono che offre una fotografia istantanea e inequivocabile delle sue caratteristiche principali. Nello specifico, parliamo delle differenze misurabili tra il suono ottenuto con una corda usata contro quello di una corda nuova di zecca.
È buona abitudine, quando si suona uno strumento a corda, tenere costantemente d'occhio lo stato d'usura delle corde. Una corda vecchia può causare problemi di stabilità, di intonazione e può rischiare di rompersi nel momento meno opportuno, ma porta con sé anche delle importanti variazioni nel tono generale dello strumento. Alcuni chitarristi apprezzano il suono meno brillante di una corda "a mezza vita", quando l'attacco deciso della corda appena montata si affievolisce e lascia il posto a un'impressione generale di maggior corpo e calore. Tuttavia, queste sensazioni portano con sé una serie di cambiamenti meno piacevoli, ma spesso ignorati. L'orecchio, si sa, non è uno strumento di misura oggettivo, ma un buon software di analisi audio non lascia spazio a dubbi. Siccome il sottoscritto di dubbi e curiosità ne aveva non pochi riguardo il comportamento di una corda vecchia rispetto a quello di una nuova, il cambio corde si è trasformato nell'occasione ideale per sperimentare sul campo.
La raccolta dei campioni Era un po' di tempo, ormai, che la chitarra necessitava di un cambio. Complice la calura estiva e conseguente umidità, la povera Rozzocaster era a rischio tetano. Registratore alla mano, sono andato a registrare il suono delle sei corde vecchie e ossidate, pizzicandole individualmente. Dopodiché ho sostituito le corde con una muta nuova fiammante, stesso modello. Non c'è stato bisogno di rifare il setup, quindi giusto il tempo di stirare per bene le corde nuove, accordare, e la chitarra era pronta per registrare lo stesso clip: sei corde plettrate una dopo l'altra, cercando di imprimere la stessa forza. Stesse condizioni di registrazione, stesso pickup (single coil al manico), stesso punto in cui plettrare (sopra i poli del pickup centrale).
Corda nuova, volume nuovo Registrati i due clip, ho proceduto a confrontarne le rispettive analisi dei transitori. Il primo fattore emerso dal confronto, e già riscontrato a orecchio, riguarda un incremento sensibile del volume a parità di forza impressa alle corde. Nell'immagine che segue è possibile vedere in blu il segnale generato dalle corde vecchie, in rosa quello delle corde nuove. Nel terzo schema, i due transitori vengono sovrapposti in trasparenza e si può notare come il segnale rosa sia sempre più ampio di quello blu. Anche dove l'ampiezza iniziale (il momento della plettrata) è identica, il sustain risulta visibilmente superiore. Fa eccezione la corda di Si (B), dove lo transitorio blu è predominante, ma basta guardare l'ampiezza all'attacco della nota per rendersi conto che lì c'è stato un errore di esecuzione: con le corde nuove la plettrata è stata leggermente più debole, quindi il segnale delle corde vecchie risulta più forte. Tuttavia, se si guarda la coda della nota, è possibile vedere che il segnale blu, sebbene sia più ampio, muore prima, mentre quello rosa dura più a lungo, ovvero ha più sustain (durata) e un decay (decadenza o calo del volume nel tempo) più uniforme.
Un'occhiata ravvicinata A questo punto ho deciso di isolare la corda con l'ampiezza all'attacco più simile. L'idea era quella di analizzare una singola corda plettrata con la stessa forza sia con le corde vecchie sia con quelle nuove, e il Re (D) è quella che ci si avvicina maggiormente. Nello schema è subito visibile come il secondo segnale, quello delle corde nuove, sia più pieno in senso orizzontale, ovvero con un volume più costante nel tempo. Per i non bilingue: più sustain. È possibile notare anche come, mentre nel primo transitorio l'ultimo residuo di segnale si spegne intorno ai due terzi del percorso, il secondo transitorio resta "vivo" fino a fine schema, anche se debole.
Spettrogramma: suono a tre dimensioni Un altro aspetto che viene subito notato dopo il cambio corde è la presenza di tante frequenze acute. Queste sono udibili con facilità, ma non sono visibili in un'analisi al transitorio. Qui ci serve qualcosa che mostri l'ampiezza del segnale, il suo andamento nel tempo e anche il suo contenuto armonico, ovvero quelle frequenze più alte che ogni suono in natura contiene in maniera differente e che, aspetto da non sottovalutare, ne determinano il timbro. Qui bisogna fermarsi un attimo per capire come va letto uno spettrogramma. Sull'asse orizzontale c'è il tempo, quindi fin qui nulla di diverso dal classico transitorio. Sull'asse verticale però non c'è l'ampiezza, bensì la frequenza. Le "linee orizzontali", quindi, sono le frequenze contenute nel suono: i famosi armonici. L'ampiezza di queste singole frequenze, invece, è rappresentata dal loro colore: un colore più caldo vuol dire un segnale più forte, quindi si va da un segnale debole colorato di blu a uno medio in rosso/rosa fino a uno forte in giallo.
Nello schema che segue sono mostrati i due segnali a confronto. Anche qui è evidente che il secondo, relativo alla corda nuova, ha un sustain molto superiore nella frequenza più bassa (nota fondamentale) tanto da sforare dal riquadro. Si nota, però, che anche le frequenze superiori hanno una certa vita extra. Quanto alla corda vecchia, è possibile notare che il segnale si spegne piuttosto in fretta, e con le sole due frequenze più basse (fondamentale e secondo armonico) appena più durature rispetto al resto del contenuto armonico.
Più sustain vuol dire più armonici L'affermazione è azzardata. In effetti l'esperimento non fornisce alcuna prova per affermare che un suono con più sustain ha anche più armonici. Anzi, ci vorrebbe poco a smentire questa ipotesi. Ciò che posso dire con sicurezza è che, con le nuove corde, buona parte del segnale nella sua durata conserva una parte sostanziosa di armonici naturali, in una quantità che le corde ossidate si sognano. Per questa prova ho dovuto dilatare il tempo mostrato nello schema, quindi non è possibile vedere i segnali fino al loro "spegnimento", ma è possibile vedere più da vicino come si comportano nella prima parte del loro ciclo vitale, quello appena successivo alla plettrata che è anche il momento di maggior volume e vigore della nota. Insomma, è quello che ci interessa per interpretare il timbro della chitarra. Qui la differenza è evidente: nei primi attimi la corda vecchia sembra addirittura in vantaggio, e non è da escludere che in realtà sia stata plettrata con un pizzico di forza in più rispetto alla corda nuova. Appena più tardi, però, tutti gli armonici più acuti si spengono lasciando appena cinque frequenze in gioco. La corda nuova invece ha frequenze da vendere, tutte vigorose e durature nel tempo.
È interessante notare come l'ampiezza/volume delle varie frequenze non sia perfettamente discendente man mano che la frequenza sale, bensì alcune frequenze emergano sulle altre. Per esempio, intorno agli 800, 2300 e 2700Hz, si possono notare delle frequenze più verso il rosa, quindi con un volume maggiore. Sono proprio quelle piccole differenze a determinare il timbro dello strumento. Alla luce di ciò, ci si può rendere conto che una corda vecchia, per quanto ci possa sembrare più calda, più rotonda o tutto quello che ci pare, è in realtà semplicemente meno vibrante e timbricamente povera. Certo, poi de gustibus.
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