Cosa resta da dire se muore Lou Reed? Si può solo piangere la morte di un artista immenso, un musicista che attraverso i decenni ha dato un contributo determinante a scrivere la storia del rock. Dagli esordi coi Velvet Underground, attraverso una straordinaria carriera solista avviata nel 1972 e segnata nel 1975 dall’inascoltabile e geniale Metal Machie, il vecchio Lou era il vero Rock’n’Roll Animal primordiale, l’autore pazzo con una voce ambigua, sempre al limite della dissonanza, la chitarra cruda e con quel lievissimo out-of-tune che ha sempre fatto la differenza.
Tra i suoi meriti l’aver frequentato personaggi immortali, Da David Bowie a Andy Warhol, attraverso Laurie Anderson e Mick Ronson, sempre con chitarristi immensi, del calibro di Dick Wagner, Steve Hunter e - in tempi più recenti - Robert Quine.
Lou Reed ci lascia tantissimo. Ma soprattutto, ci lascia l’enorme rimpianto per un musicista di cuore, creatività e talento, di quelli che ne nasce uno così ogni tre secoli.
Per chi lo ha amato nel corso dei decenni e continuerà ad amarlo, Lou resta comunque “bigger and stronger than ever”, come proclamò dopo il trapianto di fegato in aprile.
Lou Reed Live forever. Vai in pace fratello rocker. |