Suonare con apparecchiatura digitale, multieffetto e simulatori, può essere una necessità ma anche una scelta stilistica. Abbiamo chiesto il loro parere a dei chitarristi che hanno scelto di affidarsi alle nuove tecnologie per puro gusto e non per semplice praticità.
I tempi in cui il digitale era da considerare poco più di un giocattolo per esercitarsi a casa sono ormai lontani. Artisti di livello internazionale, imitati e ammirati per il loro sound, hanno come asso nella manica una serie di 0 e 1 sapientemente modellati da software avanzati, multieffetti versatili e simulatori fantascientifici. Sempre più spesso, processori digitali entrano a far parte del rig preferito di chitarristi di ogni livello e stile musicale. Non sono più un ripiego, bensì una prima scelta per ottenere dei sound precisi, che a volte l'analogico non è neanche in grado di ricreare. Basti pensare a musicisti come Tony MacAlpine, Dweezil Zappa o ancora John Petrucci, che intorno a delle simulazioni a computer hanno elaborato degli interi set, esibendosi sui grandi palchi e incidendo dischi indimenticabili.
A rafforzare la tesi arrivano anche degli illustri nomi del chitarrismo italiano, che hanno saputo sfruttare quanto di buono la tecnologia digitale è capace di offrire, nel pop quanto nel blues, rock fino al metal estremo. Abbiamo intervistato Marco Barusso, Frank Caruso, Chris Migliore e Davide Pannozzo per conoscere le loro esperienze e considerazioni sul il mondo dei bit in musica.
Marco Barusso (Cayne, session man/fonico/produttore): I chitarristi sono una razza strana, perennemente in cerca del "bel suono" e continuano a cambiare chitarre, pedali, amplificatori cercando di ricreare i suoni che sentono sui dischi. In realtà però, conoscendo poco o nulla riguardo alle tecniche di studio, non si rendono conto che tante volte i suoni che vanno cercando, al di là della corretta esecuzione, vengono ottenuti con collegando gli strumenti in diretta e sfruttando saturazioni ricavate dall'outboard, tramite anche cabinet simulator o simulazioni digitali, in grado di fornire maggiore attacco e definizione rispetto a un amplificatore valvolare microfonato, o spesso miscelando le due cose, tecnica che utilizzo spesso, come per esempio sui dischi dei Lacuna Coil o dei Cayne. Per ottenere delle sonorità un po' più interessanti, sarebbe ora che i chitarristi cominciassero a leggere qualche manuale in più. Scoprirebbero che non è certo spendendo migliaia di € in chitarre arrugginite e vecchi amplificatori spompati che otterranno quello che cercano: anche decine di anni fa band come i Led Zeppelin o i Pink Floyd hanno ottenuto sonorità storiche in questo modo.
Frank Caruso (Strings 24, Thunder Rising): Da anni utilizzo sistemi di registrazione quali Line 6 o Guitar Rig per le mie chitarre, e non solo per motivi pratici. Per chi come me e molti colleghi si reca in un nuovo studio per registrare del materiale destinato a pubblicità o TV, venendo a conoscenza del brano da realizzare nel momento stesso in cui arrivi in studio, è quasi fondamentale avere la disponibilità di una moltitudine di sonorità molto diverse fra loro e in poco spazio, e possibilmente con la possibilità di poter memorizzare i preset. Non solo, nelle session spesso si registra il segnale unprocessed per poi applicare nuovi plugin o reamping. Inoltre per suoni molto aggressivi, o con immagini stereofoniche estreme, dove la microfonatura rischierebbe di provocare delle controfasi, il suono di una pedaliera a modeling è molto più gestibile. Per non parlare della quantità di attacco e compressione che riusciamo a dare a questi timbri, sicuramente meno caldi di un amplificatore, ma certamente più violenti. La forma d'onda lo conferma: attacco quasi verticale e dinamica al massimo. E infine a ciascuno il suo suono, nessuno credo possa avere la verità in mano, ma esplorare le verità altrui è sempre divertente e creativo.
Chris Migliore (Lacuna Coil): Credo che, a meno di essere un feticista del sound analogico, difficilmente - soprattutto oggi - una persona normale può accorgersi della differenza di suono. La tecnologia ha raggiunto vette tali da poter riprodurre, e migliorare in alcuni casi, il sound analogico in tutti i suoi aspetti. È incredibile cosa si possa fare con un semplice e neanche troppo costoso POD HD 500! […] Sono ormai anni che utilizziamo prodotti Line6 e la semplicità d’uso e i risultati sono eccezionali. Non c’è più bisogno di portarsi dietro i famigerati "frigoriferi" e mille pedalini per avere il suono che desideri: è tutto lì, salvato nel suo banco, pronto all’uso! […] Sfido chiunque ad accorgersi della differenza. Soprattutto a volumi orrendi! Non hai idea di quanta gente ci avvicini alla fine dello show per chiederci quale ampli usiamo e come otteniamo quel wall of sound ed è fantastico vedere la reazione di assoluta sorpresa quando gli spieghiamo che il tutto proviene da una piccola pedaliera digitale…
Davide Pannozzo: Seguo da molto tempo l'evoluzione delle macchine digitali e lo sviluppo dei software di emulazione per ampli ed effetti. Come tanti, il mio primo studio di registrazione è stata la mia cameretta, con un PC e un piccolo mixer. Per ovvie ragioni di spazio ho sentito l'esigenza di sperimentare delle soluzioni all-in-one per la registrazione di provini e pre-produzioni. Ho sperimentato i suoni sul mitico Fender Twin Reverb '65, il mio primo ampli, per questo motivo ho sempre saputo quale fosse il suono "vero" da ricercare, sopratutto sul pulito. Per quanto mi riguarda, che si parli di effetti analogici o di processori digitali, ho sempre seguito la filosofia secondo cui il suono sta nelle nostre mani, dovevo quindi farmi bastare ciò che avevo a disposizione per tirare fuori il suono che volevo, ma senza compromessi.
Il mio primo approccio con il digitale è stato invece con il Pod 2.0 (il famoso "fagiolone" Line6), per poi passare sull'XT Live fino ad arrivare al Multiamp DV Mark. Quando Marco de Virgiliis (general manager di DV Mark) mi ha proposto il Multiamp, ho subito compreso che stavamo parlando di una macchina totalmente differente, per qualità di suono e per dinamica. Tant'è che posso usarlo anche con la mia pedaliera analogica con risultati eccellenti (cosa impensabile, qualche anno fa, con le altre macchine!).
In questo momento il mio approccio nella creazione del suono sul Multiamp cambia a seconda dell'utilizzo che ne faccio, in studio o dal vivo. Dal vivo lavoro principalmente sulla mia musica, tendo quindi ad avere semplicemente un buon suono pulito di partenza. Generalmente uso una simulazione Twin blackface, oppure Bassman, e regolo l'eq in base al posto in cui sto suonando. Uso un po' di riverbero del Multiamp e per il resto utilizzo i miei pedali Costalab e Kor, completamente analogici. Con i pedali accesi regolo il PAD del Multiamp, in modo da lasciare invariata l'escursione dinamica del mio suono. Con il Multiamp ho inoltre la possibilità di andare in Stereo, soluzione che, per i riverberi e i delay, mi offre una spazialità molto interessante. Durante il mio lavoro in studio, per il quale può capitare di mettere le chitarre sui dischi di altri artisti, posso usare diverse simulazioni di ampli e anche gli effetti interni al Multiamp, dalla qualità eccelsa.
Molti pensano che il blues, e dintorni, si possa suonare solo con ampli valvolari e cabinet pesantissimi. Quel che penso io invece è che se una macchina suona bene non mi interessa se sia digitale o analogica. Se poi il suono (che ovviamente è sempre al primo posto nelle mie prerogative) si coniuga con leggerezza, affidabilità e flessibilità non si può che cedere alla tentazione del digitale.
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