di LaPudva [user #33493] - pubblicato il 05 aprile 2014 ore 16:15
Era il 5 aprile del 1994, esattamente vent'anni fa, quando Kurt Cobain fu trovato morto nella sua casa sul Lago Washington. Finiva così la breve e intensa storia del simbolo di una generazione.
Era il 5 aprile del 1994, esattamente vent'anni fa, quando Kurt Cobain fu trovato morto nella sua casa sul Lago Washington. Finiva così la breve e intensa storia del simbolo di una generazione.
Era un anno importante, il 1994. Avevo la maturità, dovevo scegliere il da farsi per la mia nuova vita dopo l’estate e, soprattutto, dovevo combattere con le piccole grandi angosce dell’ultima fase dei miei teen years. Va da sé, nella musica riuscivo a trovare sollievo dai miei tormenti, ma, in alcuni casi, anche un mezzo per sondarli nei loro più sconcertanti abissi. Benché fossi abbastanza scettica su tutto quello che non fosse uscito più di venti anni prima, su questo versante avevo trovato dei grandi compagni di viaggio in Kurt Cobain e nei Nirvana, che ho sentito per buona parte delle scuole superiori. Mi ricordavo bene quando, al primo passaggio di "Smells Like Teen Spirit" su Video Music nel 1991, avevo preso carta e penna e mi ero segnata il nome del gruppo e il titolo del pezzo per fare ricerche su quel disco, che avrei tanto voluto comprarmi: Nevermind. Wow! Non potevo immaginare quanto lo avrei ascoltato (forse meglio dire "sentito", in questo caso), né che mi sarei ritrovata a parlarne qui con voi più di vent’anni dopo. Fatto sta che quel 1994 si era prospettato un anno veramente pesante fin dalle prime settimane e, neanche a farla apposta, alle fine del ’93 i Nirvana avevano pubblicato un terzo disco particolarmente inquietante intitolato In Utero che pareva la colonna sonora perfetta di quell’età di transizione che stavo vivendo tanto intensamente. Il titolo del lavoro doveva essere I Hate Myself and I Want to Die (Odio me stesso e voglio morire, n.d.r). Insomma, non mi sentivo meglio, però mi sentivo meno sola! Non ero una fanatica del grunge, ma i tre di Seattle mi piacevano e c’era poco da fare.
Che meraviglia quando a scuola si sparse la voce che la sera del 23 febbraio ‘94 i Nirvana sarebbero stati ospiti nella trasmissione Tunnel di Serena Dandini! Io, per sicurezza, mi ero sintonizzata su Rai 3 un’ora e mezza prima (non si sa mai). "Serve the Servants" e "Dumb". Porca miseria, speravo in "Heart-Shaped Box" e "All Apologies", ma chi se ne frega. "Non lo vedo tanto bene, quel ragazzo!" "Mah, è Kurt Cobain. È sempre così!" Purtroppo avevamo ragione entrambe. Quella sarebbe stata l’ultima apparizione televisiva di Kurt Cobain.
I primi di marzo, dopo aver concluso il tour europeo dei Nirvana, tornò in vacanza a Roma con Curtney Love e figlioletta al seguito. "È andato in Vaticano e ha rubato delle candele, di quelle grosse, e poi ha preso un pezzo del Colosseo per me!", ricorda Courtney. La mattina del 4 marzo, alle 6 lo trovò riverso a terra nella loro stanza all’Excelsior. Non era un’overdose di eroina come le tante che aveva visto: aveva cercato di uccidersi con 60 pasticche di Rohypnol e aveva un biglietto d’addio stretto nel pugno: "Il Dr. Baker dice che come Amleto devo scegliere tra la vita e la morte. Sto scegliendo la morte" e altre tristi parole sul rapporto con la compagna. La corsa al pronto soccorso, poi all’Umberto I e infine all’American Hospital. Non ce l’aveva fatta: lo riportarono al suo inferno terreno dopo una ventina di ore di coma farmacologico. E noi ragazzi da casa impazzivamo inseguendo le notizie che lo davano, in sequenza, per morto, per spacciato e, infine, per vivo e vegeto.
Prima dell’era di internet raccogliere informazioni era un disastro. Quello che sapevamo era che era tornato negli USA e si era progressivamente isolato dal mondo. Uso massiccio di droghe, rapporto invivibile con Courtney Love, infine il ricovero in una clinica a Los Angeles per provare a disintossicarsi. Ma poi era scappato e tornato a Seattle. Pazzesco, non riuscì a trovarlo l’investigatore assoldato da Courtney Love ma ci riuscì un elettricista, Gary Smith! La mattina dell’8 vide Kurt riverso a terra nella serra della sua casa sul Lago Washington: si era sparato ma la quantità di eroina che aveva in corpo lo avrebbe ucciso comunque. Era morto presumibilmente il 5, comunque non era importante. Non c’era più. Quando sentii la notizia (ancora su Video Music) pensai "Ce l’ha fatta, finalmente!" e poi piombai in una profonda e muta tristezza. Le facce attonite di tanti a scuola, il giorno dopo, la dicevano lunga su quante persone la notizia - ma ancor di più la musica dei Nirvana - avesse raggiunto solo in quell’angolino di La Spezia.
È strano ripensarci oggi, dopo vent'anni. Chi di noi c’era, oggi è adulto e magari si sta chiedendo, come me, cosa avrebbe potuto darci Kurt Cobain in tutto questo tempo. Io sono tra coloro i quali pensano che non sia diventato leggenda solo per la sua morte precoce e sono ancora persuasa del valore di quei dischi che ho tanto amato da ragazzina. I due decenni trascorsi da quel triste giorno, se mai, mi fanno apprezzare ancora di più la densità e la concentrazione di quella carriera che noi immaginavamo lunga e che invece si è conclusa troppo presto.
Questi pensieri sparsi e un brindisi in questa giornata nostalgica a lui!