Starcaster Modern Player: se negli anni '70 avessero suonato lo-fi
di Pietro Paolo Falco [user #17844] - pubblicato il 08 agosto 2014 ore 16:00
L'universo Fender non è tutto solid body e 6L6. Una curiosa semihollow con cassa offset riporta i musicisti indietro di mezzo secolo a cavallo di una coppia di Wide Range. La Fender Starcaster è una chitarra ignorante, ma in modo schietto e sanguigno che ha meritato un hands-on approfondito.
L'universo Fender non è tutto solid body e 6L6. Una curiosa semihollow con cassa offset riporta i musicisti indietro di mezzo secolo a cavallo di una coppia di Wide Range. La Fender Starcaster è una chitarra ignorante, ma in modo schietto e sanguigno che ha meritato un hands-on approfondito.
Quando si pensa a Fender è impossibile non figurarsi immediatamente le ammiraglie solid body. In realtà, nei decenni, sotto il sole della California sono passati anche diversi modelli a cassa cava e buche a effe. La Starcaster, così poco diffusa che persino Google ti chiede "forse cercavi Stratocaster?", ha segnato la storia Fender in quanto unica semiacustica di casa con body offset. La chitarra avrebbe voluto diventare la risposta della grande F al mondo delle archtop thinline della concorrenza, con la particolarità della cassa asimmetrica in stile Mustang e company. La realtà purtroppo fu diversa e la Starcaster non ha mai goduto di un gran successo, venendo riscoperta solo in tempi recenti dai giovani appassionati di strumenti d'annata a prezzi umani. La Starcaster originale, infatti, può essere reperita a cifre relativamente accessibili, e non poteva essere altrimenti per la riedizione che Fender ha proposto per il nuovo millennio.
La nuova Fender Starcaster entra a far parte della serie Modern Player, strumenti dal prezzo contenuto che si rifanno ai classici di casa con qualche aggiornamento tecnico necessario ad adattarli alle richieste dei chitarristi di oggi. Data la costruzione decisamente particolare della Starcaster, il costo si distacca sensibilmente dalla media della serie. Sebbene sia made in China come il resto delle Modern Player, la semiacustica si allinea alle cifre di una buona messicana.
Sotto la finitura Aged Cherry Burst, la chitarra lascia bene in mostra le tavole di acero laminato che ne compongono la cassa. Un binding bianco a strato singolo percorre bordi di top e fondo e mette in evidenza le linee interne delle buche a effe scavate sulla spessa tavola armonica. All'interno è possibile notare il blocco centrale in ontano, fondamentale per frenare le vibrazioni ad alti volumi. Il manico avvitato e ricavato da un unico pezzo di acero di un bel biondo acceso. Sicuramente il colore piacevolmente vintage è merito del trattamento che, di contro, conferisce una sensazione un po' appiccicosa al tatto. Lo shape è il classico a C, non eccessivo e facile da abbracciare, con un radius da 9,5 pollici e 22 tasti medium jumbo per un approccio decisamente familiare agli amanti del marchio. Il diapason da 25,5 pollici aiuta i Fenderiani più affezionati nella transizione verso il semiacustico. Sicuramente meno convenzionale per Fender è la configurazione ospitata dal body: due humbucker Wide Range si abbinano a un ponte Adjusto-Matic e quattro potenziometri che permettono di regolare volumi e toni di ambo i pickup, mentre un selettore a tre posizioni sulla spalla inferiore ne miscela l'azione. Ormai i riferimenti progettuali sono chiari.
Qualora il body offset non fosse abbastanza per caratterizzare il modello, semmai la presenza di una tastiera in acero con dot neri non incuriosisse ancora gli amanti delle thinline, ci pensa la paletta ad attirare l'attenzione. Questa, voluminosa e con le meccaniche di tipo moderno che sembrano quasi sparire nelle ampie curve scavate nell'acero, offre l'accesso diretto al trussrod e riporta il nome del modello su una linea ricurva che descrive un disegno tridimensionale scavato sul bordo destro. La paletta, in effetti, è sagomata su due livelli, e lo strato smaltato in nero offre riflessi eleganti che rimandano dritto alle chitarre ormai ignote che spesso si vede in vecchie foto risalenti alla beat-generation.
Non si sbaglia se si pensa alla Starcaster come "la meno Fender delle Fender". L'approccio è atipico e, seppur curiosamente comodo grazie alla forma della cassa, si discosta da quello di una solita Fender per mezzo di un body abbondante che si trova agli antipodi rispetto agli standard del marchio. La piccola porzione di cassa sottostante al ponte e la spalla superiore particolarmente avanzata verso il manico fanno sì che la chitarra, suonata in piedi, aderisca piuttosto bene al fianco della mano plettrante, senza risultare troppo ingombrante come potrebbe accadere con certe archtop.
A una prima strimpellata unplugged, la sensazione è quella di imbracciare un giocattolo. Il legno non vibra come ci si aspetterebbe da una semiacustica, è povero di frequenze acute e fa sentire tutta la ferraglia che vibra sotto il plettro. Soffermandosi un attimo ancora, pare di avere a che fare con un "vintage dei poveri", una di quelle chitarre d'epoca mediamente riuscite che non risuonano al meglio ma che sanno offrire certe sonorità che neanche la più ricercata Telecaster degli anni '50 saprebbe restituire. Niente di sopraffino, piuttosto tanto carattere. Jack White apprezzerebbe, insomma. Acceso l'amplificatore, la sensazione persiste.
Il twang fenderiano è lontano anni luce. I pickup sembrano morbidi, piuttosto chiusi. I medi sono in evidenza sempre e sparano la chitarra facilmente in un crunch ignorante, non particolarmente sfaccettato ma con un sapore che rimanda a un certo blues elettrico d'annata o ai classici della musica soul. L'attacco delle note, il classico scoppiettio californiano, è sostituito dalla "zappata" sulle corde che gli amanti degli humbucker e delle casse vuote conoscono bene. La chitarra è intubata, quasi sempre. Al ponte, il tono non si apre più di tanto, e al manico non spicca per brillantezza ma neanche ingolfa. Per la prova, la Starcaster è stata collegata a un DV Mark Multiamp con preset SRV (simulazione Fender e Tubescreamer per i distorti), ma dopo un po' verrebbe voglia di collegarla a un vecchio Pignose e farla urlare senza badare allo spettro dei pickup (ristretto in favore delle medie), alla dinamica (scarsa) o alla reattività acustica (scadente), lasciando che il sustain di una distorsione senza troppi fronzoli venga alimentato dalle vibrazioni stesse della cassa, saltellando da un BB King dei tempi che furono a un riff immerso nel fuzz del peggior lo-fi moderno.
Non è per tutti, la Starcaster. Forse è per questo che il suo tempo non l'ha compresa, e forse è per lo stesso motivo che le nuove generazioni di sperimentatori e indie-rocker la stanno riscoprendo. Il suo suono scarno non compete con gli standard della liuteria moderna e di sicuro esistono manici più scorrevoli, ma il target della offset Fender va in tutt'altra direzione. Se siete alla ricerca di un'alternativa fedele alle solite thinline, continuate pure a cercare. Se invece avete fame dei suoni propri di quel "vintage rinnegato", tanto bistrattato dai puristi quanto esaltato dagli artisti più folli del momento, fateci un giro.
Per il test è stato utilizzato un DV Mark Multiamp. L'amplificatore ci ha colpito per la qualità dell'audio e la risposta dinamica, e abbiamo scelto di adottarlo come banco di prova per le future recensioni insieme a Ciro Manna. Ciò garantirà una maggiore uniformità tra i test e permetterà agli Accordiani di confrontare strumenti diversi su un suono di base simile, eliminando le variabili introdotte dall'utilizzo di amplificatori, casse o microfoni differenti. Clicca qui per la recensione del Multiamp.