di Pietro Paolo Falco [user #17844] - pubblicato il 16 aprile 2015 ore 20:30
Per buona parte del mese di aprile, Paul Gilbert è impegnato in un tour attraverso l'Italia, a metà tra il concerto e la clinic. Gli abbiamo fatto visita alla data di Caserta scoprendo un virtuoso dedito al blues e al rock, patito del bending e pentito delle corse folli a base di pattern geometrici.
Per buona parte del mese di aprile, Paul Gilbert è impegnato in un tour attraverso l'Italia, a metà tra il concerto e la clinic. Gli abbiamo fatto visita alla data di Caserta scoprendo un virtuoso dedito al blues e al rock, patito del bending e pentito delle corse folli a base di pattern geometrici.
Fin dai suoi primi funambolici passi, Paul Gilbert ha nutrito orde di chitarristi a pane e plettrata alternata a velocità folli. Da qualche anno, però, ha riscoperto il piacere del rock, del blues e della canzone in senso più tradizionale. Alcuni puristi non hanno apprezzato il cambio di stile, c'è chi parla addirittura di "tradimento", altri chitarristi invece hanno imparato a conoscere un risvolto inedito di un artista un tempo snobbato da un certo tipo di pubblico proprio per il suo ipertecnicismo. Lo si ami o lo si odi, la metamorfosi di Paul negli ultimi album non può lasciare impassibili. Anche noi abbiamo ceduto al suo fascino e ieri sera, in occasione della sua clinic al Softly Live di San Prisco (Caserta) offerta da Centro Chitarre e Culture Factory, siamo andati a piazzargli una telecamera sotto il naso. Abbiamo avuto modo di trascorrere alcuni minuti in tranquillità con lui per una chiacchierata, tutta documentata in video, che sarà prossimamente sulle pagine virtuali di Accordo.
Quando si programma un'intervista, la giornata comincia presto. Ci si incontra nel pomeriggio, di solito si lascia spazio al sound check e dopo i convenevoli del caso si va al sodo. Durante il check è possibile capire molto di un artista. Ognuno ha il suo modo: c'è chi trascorre interminabili minuti a regolare i propri pedali, chi interroga in continuazione il fonico per accertarsi che l'ascolto in sala sia come lo vuole lui, c'è chi approfitta per ripetere i passaggi più complicati e poi ci sono quelli come Paul Gilbert. Accompagnato dagli ottimi Antonio Muto alla batteria e Marco Galiero al basso, Paul ha impiegato relativamente poco per regolare i propri suoni, il fonico Marco Musco (sempre una garanzia) ha fatto il resto. Quello che è seguito è stato un vero e proprio concerto pre-serata. La formazione ha passato in rassegna buona parte dei brani in scaletta in uno spirito quasi da jam session, lasciandosi andare a lunghe improvvisazioni, scambi e confronti divertiti. Unici spettatori: il fortunato sottoscritto e Riccardo Cappelli, che accompagna Gilbert in questo tour italiano.
Quello che segue è poco più che un diario della masterclass, più che altro un pretesto per condividere con voi alcuni scatti e impressioni a caldo in attesa che l'intervista sia impacchettata a dovere per la pubblicazione.
Quando poco dopo le 22 si sono abbassate le luci, il pubblico ha ottenuto esattamente ciò che si aspettava. Paul è un ex shredder redento, con tutto l'entusiasmo e la genuinità che ha contraddistinto i virtuosi della sua generazione. Ora suona rock, blues, si appassiona alle mille alterazioni che possono caratterizzare in un modo o in un altro le dodici misure e condivide con gli altri ogni piccola scoperta musicale, ogni spunto, con alla base una preparazione meccanica da far spavento. Prima in scaletta è "Born To Be Wild", e già è chiara la direzione che prenderà l'incontro. Paul è su di giri, racconta e diverte, spiega le sue considerazioni su aspetti anche apparentemente banali, ma che visti con gli occhi di un professionista del suo calibro riescono a dare il via a riflessioni importanti. Ciò che fa di più, però, è suonare. Gilbert ha un classico del rock da suonare per ogni tecnica che intende dimostrare. Ecco quindi che si parte dal bending e la "faccia da chitarrista" che ti fa fare inevitabilmente quando ne tiri uno per bene, si passa poi per la gestione dell'espressività tramite i legati, la forza della pennata o la durata stessa delle note. Per darne un esempio suona un brano dal sapore jazzy, cupo, con quegli accordi alterati che lui spiega essere "accordi da adulti", ben diversi da quelli che apprezzava da ragazzo. Paul sa come tenere vivo l'interesse degli studenti e, nello spiegare la tecnica necessaria a plettrare su tutto il set di corde facendone risuonare una sola e aumentarne così l'impatto, fa notare quanto spesso si vedano foto dei grandi chitarristi con una mano sul manico e l'altra per aria. "Quello" spiega "vuol dire che hanno appena beccato una gran nota!" e, per dimostrare quelle che chiama "arm-in-the-air notes", eccolo che parte con "While My Guitar Gently Weeps". Il suo playing è gustoso, il suono definito e grosso il necessario. Anche se aveva promesso di aver chiuso coi tecnicismi, non mancano i fuochi d'artificio e la clinic è tutto un montare fino alla divertente jam session insieme ad alcuni dei presenti, che conclude l'incontro.
Mentre leggete queste righe, probabilmente Paul si sta scaldando prima di entrare in scena a Martirano Lombardo (Catanzaro). Se vi siete persi le prime tappe del clinic tour non disperate: ne seguiranno ancora altre nei prossimi giorni, tutte elencate in questo articolo.