di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 15 maggio 2015 ore 09:45
Di B.B. King adoro le pause continue e nervose del fraseggio che lasciano spazio a note gigantesche di vibrare, allegre e disperate assieme. E amo le sue pentatoniche che non si sono mai fatte troppe menate su chi fosse la maggiore e chi la minore e hanno sempre viaggiato assieme, sulla stessa carrozza. Che dolore.
Di B.B. King adoro le pause continue e nervose del fraseggio che lasciano spazio a note gigantesche di vibrare, allegre e disperate assieme. E amo le sue pentatoniche che non si sono mai fatte troppe menate su chi fosse la maggiore e chi la minore e hanno sempre viaggiato assieme, sulla stessa carrozza. Che dolore.
B.B. King è stato uno dei miei eroi. Probabilmente per una questione generazionale, nella mia formazione ho saltato a piè pari tutto ciò che era precedente a Van Halen e successivo a Cobain, per poi riscoprirlo e apprezzarlo solo più tardi. B.B. King era una delle poche, rarissime, eccezioni. L’avevo scoperto in Rattle And Hum il film documentario degli U2 nel quale duettava con Bono e The Edge in “When the love comes to town” e mi folgorò. Lo ritraevano mentre chiacchierando con Bono prima di provare quel pezzo, gli chiedeva se qualcuno poteva suonare gli accordi perché a lui non piaceva farlo: “Sono terribile con gli accordi!”. La scena dopo, c’erano su palco tutti gli U2 attorno a lui seduto, con Bono che - chitarra al collo - sgranava gli accordi della ritmica. Lui suonava in maniera divina. Non avevo mai sentito una pentatonica così allegra e quando lo vidi per la prima volta snocciolare quel suo vibrato unico, preso con il dito indice agitando tutta la mano, fu la terra intera a tremare sotto i miei piedi non solo quella nota gigantesca e frizzante.
E sempre tramite un film me ne innamorai perdutamente. Era Into The Night di Jhon Landis. Quando vedendolo mi sentì le farfalle in pancia, ero inizialmente certo fossero per la protagonista, una divina Michelle Pfeiffer che si metteva in un mare di pasticci. Bastò poco a capire che era la Gibson di B.B. King a mandarmi al tappeto mentre scolpiva bending lancinanti sul tema del film, una ballad funk zeppa di synth disperatamente anni ’80.
Di B.B. King adoro le pause continue e nervose del fraseggio che lasciano spazio alle sue note enormi di vibrare allegre e disperate assieme. Amo quel suono ciccione e distorto ma sempre elegante e controllato. E mi piacciono le sue pentatoniche che non si sono mai fatte troppe menate su chi fosse la maggiore e chi la minore; e hanno sempre viaggiato assieme sulla stessa carrozza. Che dolore.