di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 17 giugno 2015 ore 08:00
"Nero" è il quarto disco solista di Federico Poggipollini e - da chitarristi - ascoltarlo è un vero spasso. Immaginatevi come sarebbero una manciata dei migliori pezzi di Caterina Caselli interpretati a tutto volume da Black Keys o White Strapes e vi farete un’idea di come suona questo lavoro.
Nero è un album di dieci brani che Poggipollini ha scritto, suonato e cantato attingendo a piene mani dal beat italiano: non solo nel songwriting ma anche nelle sonorità che sono ricercate con un maniacale ed esclusivo utilizzo di strumenti di fabbricazione italiana d'epoca (chitarre Galanti, Meazzi ed Eko; amplificatori Davoli, Steelphon e Fbt; tastiere Farfisa e Crumar…)
Il tutto però, è frullato in una produzione modernissima dove suoni e intenzioni marci e sgangherati suonano dritti e diretti come un pugno, acquistando un tiro e una cattiveria inequivocabilmente attuale. Le parti di chitarra e i suoni sono un babà. Per esempio c’è “Nero” title track che parte pestona con un riff alla Queens Of The Stone Age e una cassa in quattro che ti martella in faccia, e poi impazzisce con una strofa tiratissima in ottavi isterici e punkeggianti, sgranati su un single coil pulito che implora pietà.
O, sempre a proposito di single coil spremuti in tutti le salse, c’è “I Mostri”, delizioso campionario di suoni e ritmiche con il tiro più funky rock del disco.
Poggipollini suona le chitarre ritmiche da paura ed è un vero scienziato dei suoni perché fuzz, overdrive e tape echo sono tra i più fichi sentiti ultimamente. E sapete cosa? Persino gli assolo - e ce ne sono – funzionano alla grande. Sono tutti suonati di pancia, con il tiro di chi svisa con la chitarra alle ginocchia, la cicca che pende dal labbro e uno scazzo epocale. Ascoltare quello sul finale di “La vita nelle vene” per credere: con note le pizzicate calde e ciccione che un vecchio delay analogico fa rimbalzare libere e vellutate sul tempo.
Nero è un gran bel disco: che omaggia una pagina importante della musica italiana raccontandocela con suoni e piglio moderno. E Poggipollini è proprio bravo a divertirsi – e farci divertire – giocando con i suoni ruvidi e acidi del Garage anni 60, del blues e del rock moderno senza mai tagliare del tutto i ponti con il pop italiano.