Abbiamo incontrato Filippo Graziani a Francavilla d'Ete (FM), nelle Marche, in occasione dell'ultima data del suo lunghissimo tour acustico "Pigro" che lo ha portato in giro per tutta la Penisola insieme ai fidi compagni Bip Gismondi (chitarra, flauto e cori) e Carlo Simonari (tastiere, chitarra e cori). Una bella chiacchierata in cui l'artista, figlio del mai dimenticato Ivan, ci ha raccontato un po' la sua vita artistica, dagli esordi con i Carnera alla carriera solista, passando per gli States e il ricordo del padre Ivan.
Jimmypioli: Partiamo dagli inizi. Quando e come ti sei avvicinato alla musica?
Filippo Graziani: Diciamo che mi sono avvicinato alla musica non prestissimo nonostante in famiglia si respirasse musica quotidianamente. Il mio primo strumento è stato la batteria ma poi, visto che già mio fratello Tommy la suonava, ho cominciato ad avvicinarmi alla chitarra. Poi è stato un processo del tutto naturale come per tutti, mi sono lasciato andare e ho cominciato a scrivere le mie cose.
J: Com’era quel periodo dal punto di vista della scena musicale?
FG: Un periodo particolare, considerando che in Italia per un giovane o un gruppo a quei tempi era molto difficile sia farsi notare che trovare posti in cui potersi esibire. D’altra parte è stato formativo perché sin dall’inizio l’esperienza la facevi direttamente sul palco, non c’erano i talent...
J: Inizialmente, comunque, non nasci come cantautore o sbaglio?
FG: No infatti. Inizialmente le mie influenze musicali erano lo stoner rock, il grunge, il post punk . Poi ovviamente anche tutto il classic rock, dai Beatles agli Zeppelin.
J: Poi sei partito per gli States. Com’è stata l’esperienza in America? Che ambiente hai trovato?
FG: È stata un'esperienza molto formativa sia dal punto di vista artistico sia umano. In USA ci sono locali che fanno suonare gruppi ogni sera e in ogni parte e anche il pubblico è molto diverso, la gente va in un locale con la voglia di divertirsi e ascoltare buona musica senza badare troppo alle apparenze.
J: Parliamo del ritorno in Italia e dell’avvicinamento al repertorio di Ivan. Come è stato l'approccio e soprattutto quali sono state le paure o le sensazioni che hai provato?
FG: L'ho approcciato in maniera molto naturale, nel senso che ho respirato la musica e le canzoni di mio padre da sempre. Ovviamente le sensazioni che ho provato inizialmente sono state forti più che altro per il fatto che il pubblico che viene ai concerti vuole sentire quei pezzi e quelle melodie, sebbene con il tempo sia riuscito a liberarmi da quello schema "tributo a" e le ho fatte anche più mie, nuotando tra le armonie dei brani e giocando con le melodie.
J: Dopo la partecipazione a Sanremo 2014 con "Le cose belle" e i vari riconoscimenti, cosa hai pensato?
FG: Sono stato molto orgoglioso, tuttavia ho pensato che fosse soltanto l’inizio e che evidentemente le cose che avevo da dire e da esprimere erano comunque arrivate.
J: Nel tour "Viaggi e intemperie" affrontavi i brani con una veste elettrica, nel tour acustico invece, in trio, come ti trovi in questa veste più intima?
FG: È una situazione totalmente diversa. Con tutta la band ovviamente sia il repertorio sia la veste dei brani assumono un carattere più rock, tuttavia la situazione in acustico credo abbia un fascino e una magia che con la band al completo non si riesce a provare. E poi suonare solo con poche cose ti mette veramente a nudo a contatto con il pubblico, specialmente in piccoli teatri come questo di Francavilla d’Ete, una vera bomboniera.
J: Parliamo un po' di Ivan. Che ricordi hai di lui e del suo rapporto con la musica, con le chitarre, con le sue canzoni. Qual è quella a cui sei più legato?
FG: Come dicevo prima sono nato e cresciuto respirando la sua musica, e anche le chitarre e gli strumenti li ho sempre avuti a portata di mano sebbene abbia cominciato abbastanza tardi. Papà aveva un rapporto diretto con la musica e la chitarra era lo strumento con cui esprimersi. Era un musicista curioso, gli piaceva esplorare sia i suoni che gli strumenti, era un artista molto aperto.
J: Ivan era un grande strumentista. Quante chitarre conservi di lui? Ne usi ancora qualcuna o preferisci tenerle al calduccio?
FG: Papà era uno a cui piaceva provare gli strumenti. Ultimamente utilizzava le Blade, ma durante la sua vita ne ha avute diverse, dalla Epiphone Casino del ’67 con cui ho cominciato a strimpellare, a Stratocaster, Telecaster, la sua storica Gibson ES-345. Ogni tanto ne utilizzo qualcuna, ma preferisco usare strumenti più affidabili in quanto sono chitarre che necessitano molta manutenzione e lavoro per poter essere al 100%, e quindi preferisco tenerle a casa e farle uscire per qualche occasione particolare.
J: Sicuramente nell’approcciarti ai brani di tuo padre hai dovuto studiare sulla chitarra da un punto di vista tecnico ma anche di suoni. Da appassionato e cultore di chitarre ho notato diversi cambiamenti nei suoni durante la sua carriera o sbaglio? Che strumentazione utilizzava?
FG: Come ti dicevo prima, ha utilizzato diverse cose nel corso della carriera. Agli inizi usava come chitarre quelle che citavo prima, quindi i marchi storici, con ampli Roland Jazz Chorus che a lui piacevano tantissimo. Poi nel corso degli anni ha anche adottato prodotti nuovi come le chitarre Blade e una di liuteria, e come ampli ha usato anche Marshall JCM 900 e ultimamente anche Peavey.
J: Torniamo a parlare di te. Progetti nuovi in vista? Stai scrivendo nuovo materiale? Che musica ascolti ultimamente?
FG: Quella di questa sera qui a Francavilla d’Ete è l’ultima data di questo lunghissimo tour acustico. Adesso ho bisogno di un po’ di tempo per "disintossicarmi" e per lavorare sul mio nuovo album. Ultimamente sto ascoltando molta musica diversa, se vedessi la mia playlist nell'iPod spalancheresti gli occhi (risate).
J: Come vedi il futuro della musica italiana, in particolare del cantautorato italiano?
FG: Non sono uno che vede tutto nero perché ci sono delle realtà e degli artisti molto interessanti e che hanno molto da dire. Quello che mi preoccupa è l’invasione che ormai è inevitabile dei talent televisivi che sfornano e sfruttano ragazzi magari anche talentuosi ma destinati a bruciarsi dopo il primo singolo o al massimo dopo il primo album. Quello che mi interessa in un artista è la verità, al di là del genere musicale o delle cose che vuole esprimere. La verità potrà anche non farti sfondare, ma sicuramente non ti farà perdere te stesso.