di LaPudva [user #33493] - pubblicato il 06 marzo 2016 ore 17:30
Chitarra dei Pink Floyd e capostipite di tutta una corrente stilistica e di sound nella chitarra rock, David Gilmour compie oggi settant'anni. Ripercorriamo la storia dell'artista britannico attraverso musica, band, stile, strumenti e traguardi di vita.
Se venissimo da un altro pianeta avendo studiato solo superficialmente l’umanità e lo incontrassimo per la prima volta oggi, nel giorno del suo settantesimo compleanno, sicuramente penseremmo di avere di fronte un lord inglese anziché il leader di una delle band più rivoluzionarie della storia del rock. Chi conosce David Gilmour, però, sa bene che non ama i luoghi comuni e, in fondo, la sua fama è giunta anche nello spazio (una cassetta del live dei Pink Floyd The Delicate Sound of Thunder è stata portata sulla stazione spaziale MIR dagli astronauti della navicella Sojuz TM-7 nel 1989 e lasciata lì dopo la missione, n.d.r.): chitarrista, polistrumentista, cantante, compositore, autore, produttore, Gilmour è davvero una delle facce del genio umano e può guardare con orgoglio ai territori conquistati lungo il suo percorso.
La sua vita è parsa eccezionale da subito: nato il 6 marzo del 1946 a Cambridge, storica città universitaria, figlio di un eminente professore di zoologia e di un’insegnante e montatrice per la BBC, David frequentò un’esclusiva scuola privata prima di passare al Cambridge Tech College per studiare lingue. Lì incontrò il suo destino, in qualche modo: passava le pause pranzo in refettorio con l’amico Syd Barrett (che lì studiava arte) a studiare riff degli Stones e assolo di Chuck Berry. Già a quei tempi la chitarra lo interessava più di ogni cosa, benché non avesse ricevuto alcuna educazione musicale che non fosse lo storico disco "Pete Seeger Teaches Guitar" da cui imparò le basi e i tanti ascolti di Leadbelly, Howlin’ Woolf e altri. Il resto lo costruì, sostanzialmente, da solo e si fece presto un nome nella scena musicale di Cambridge degli anni ‘60 (notoriamente con la band rock-blues Jokers Wild). Il momento di svolta, però, arrivò alla fine del ‘67, quando venne chiamato ad affiancare l’amico Syd nei Pink Floyd: subito dopo l’esordio discografico della band, l’abuso di LSD e le costanti pressioni esercitate su di lui in quanto leader e principale autore, spinsero Barrett nel baratro e lo resero totalmente inaffidabile. Dopo qualche esibizione a cinque elementi in condizioni disperate, la band decise di licenziare Barrett nel ‘68 e di tenere Gilmour. Questa frattura ha portato ai Floyd e a Gilmour una quantità di critiche che perdurano ancora oggi e che non tengono conto dell’effettiva gravità della situazione in cui versava la salute di Barrett (e neanche che non avremmo avuto i successivi, preziosissimi lavori solisti di Barrett senza l’impegno incessante di Gilmour, che li ha prodotti e suonati, lavorando in condizioni estreme a causa delle sempre più precarie condizioni mentali dell’amico, oltre al fatto che Gilmour si è assicurato personalmente che ricevesse i soldi delle royalty delle raccolte dei Floyd fino alla sua morte).
Forse questa affermazione di Nick Mason, batterista dei Floyd, riassume meglio di qualsiasi altra l’apporto di Gilmour alla band: «Dopo Syd, Dave è stato la differenza tra la luce e l’oscurità. Lui era totalmente dedito alla forma e l’ha introdotta nei brani più selvaggi che avevamo creato». Se Barrett fu l’ideatore e il fondatore dei Floyd, il diamante pazzo che li portò al successo con i suoi testi visionari, le lunghe improvvisazioni free form e il sound psichedelico, Gilmour, forte dalla sua esperienza in cover band rock blues, li portò a livelli di complessità strutturale infinitamente superiori, che finirono per cambiare radicalmente anche il loro modo di esibirsi: da concerti a base di lunghe jam sperimentali a spettacoli accuratamente orchestrati in ogni dettaglio, dai piccoli club nebbiosi della Swinging London alle più grandi arene di tutto il mondo. Parlando dei suoi primi lavori con la band, Gilmour ha detto: «Suppongo che il mio ruolo fosse quello di rendere il tutto un po’ più musicale, di creare un equilibrio tra assenza di forma e struttura, tra armonia e disarmonia. [...] Mi piace la struttura. Sono un’appassionato di melodia. Sono un fan dei Beatles e tutto quello che mi piace – come il blues – è molto strutturato. Il free form non fa per me. Ma neanche una struttura totalmente rigida». Tra il ‘68 e il ‘94, Gilmour ha realizzato 13 dischi in studio con i Pink Floyd (più un quattordicesimo, The Endless River, uscito nel 2014 in cui sono stati utilizzati materiali risalenti a vent’anni prima, rielaborati e integrati), tra cui alcuni tra i più popolari di tutti i tempi: basti ricordare The Dark Side of the Moon (1973), Wish You Were Here (1975) e The Wall (1979), rispettivamente 15, 6 e 23 dischi multiplatino, per quel che può valere.
Il rapporto estremamente conflittuale con il compagno di band Roger Waters è giunto al culmine a metà anni ‘80, con l’abbandono della band da parte di Waters e la conseguente battaglia legale tra questi e gli altri tre compagni, che hanno chiesto e ottenuto di poter continuare a suonare a nome "Pink Floyd". La coppia Gilmour/Waters rimane nondimeno una delle più prolifiche e geniali di tutti i tempi. Da allora, sono tornati a suonare tutti e quattro insieme in un’unica occasione, per il Live 8 del 2005. Dopo la scomparsa di Richard Wright, tastierista dei Floyd e amico adorato di Gilmour, avvenuta nel 2008, ogni sogno dei fans di una reunion è svanito.
Gilmour ha realizzato anche quattro splendidi dischi solistici. Il primo, David Gilmour (1978) realizzato dopo le estenuanti sessioni di Animals, e il secondo, About Face (1984), realizzato con la collaborazione di ospiti eccezionali, non hanno avuto una promozione adeguata e non hanno ottenuto la risonanza che avrebbero meritato, mentre gli ultimi, On an Island (2006) e Rattle That Lock (2015), hanno avuto un successo planetario e sono stati accompagnati da tour mondiali che hanno registrato dei sold out ovunque. Ha collaborato, inoltre, con numerosi artisti, da Bryan Ferry a Paul McCartney, da Pete Townshend ai Supertramp, solo per citarne alcuni, e ha scoperto e prodotto una talentuossima, diciottenne Kate Bush.
Oggi Gilmour è unanimemente ritenuto un chitarrista leggendario e alla sua statura quasi mitologica hanno contribuito vari fattori, primo fra tutti il suo stile inconfondibile. Fedele al motto “less is more”, a Gilmour bastano soltanto poche note, infuse di un’intensità espressiva senza pari, per costruire cattedrali di suono dall’eloquenza indiscussa. «Le mie dita non sono molto veloci ma penso di essere immediatamente riconoscibile», afferma. E ha ragione: con riff semplici ma originali e un suono potentissimo, ha regalato al pubblico alcuni tra gli assolo più belli della storia del rock, costruiti da poche idee sviluppate con estrema cura, anziché da fiumi di lick nei quali dice di non riconoscersi (non ama molto i virtuosi del rock, fatta eccezione per Van Halen). Alcuni di essi sono stati costruiti con una tecnica di collage tra sezioni di diversi registrazioni che è valsa a Gilmour numerosissime critiche da parte dei puristi dello strumento, nonostante l’estrema naturalezza del risultato (es. il solo di "Comfortably Numb").
Se non ha avuto una formazione musicale tradizionale, ha una conoscenza profonda benché intuitiva del rapporto accordi/melodia, e la sua ricerca di un sound pieno passa anche attraverso gli accordi: le sue ritmiche sono sempre brillanti e costruiscono un autentico muro di suono, anche grazie a un sapiente uso delle corde libere. Con il tempo, insomma, Gilmour ha sviluppato una tecnica perfettamente funzionale ai suoi scopi, i cui tratti distintivi sono un sapiente uso di bending (e compound bending dall’intonazione impeccabile, come in “Another Brick in the Wall Part II”, per esempio) accompagnato da un vibrato naturale dal sound quasi vocale (non è un caso che talvolta, prima di registrare gli assolo, li abbia cantati), un uso sobrio della leva, una tecnica slide intuitiva ma efficacissima sulla lap steel (non ama la chitarra slide tradizionale) e qualsiasi trucco gli permetta di ottenere un risultato gradevole col minimo sforzo. Ossessionato dal suono, si è sempre servito di una ricca strumentazione e si è avvalso della supporto dei migliori tecnici del suono ma, come sostiene Bob Ezrin (produttore e arrangiatore che collaborò a The Wall) «Con Gilmour la strumentazione è secondaria al tocco».
Benché la sua prima chitarra sia stata una Telecaster ricevuta in dono dai genitori per i suoi 21 anni e poi rubatagli (e diverse altre ne suonerà negli anni, oltre alla Esquire nota come “The workmate Tele”, diverse Gibson e altre chitarre), Gilmour rimane un maestro indiscusso della Stratocaster. Una delle sue, in particolare, è una delle chitarre più famose della storia del rock: la Black Strat comprata nel maggio del ‘70 da Manny’s Music a New York, in seguito al furto della strumentazione dei Floyd a New Orleans. Si tratta di uno strumento ordinario, da battaglia, modificato più volte (manici, pickup, ponti e quant’altro) con cui, però, Gilmour suonò in ogni disco dei Floyd dal ‘70 all’83 e con cui si esibì in innumerevoli occasioni. Come molti sapranno, Gilmour è anche un generosissimo benefattore e accettò di dare la chitarra all’Hard Rock Café in cambio di una sostanziosa donazione alla Nordoff-Robbins Music Therapy Centre Charity, per poi riaverla nel 1997, dopo più di dieci anni. La chitarra è talmente famosa che, benché non esistano biografie di Gilmour, ne esiste una sulla Black Strat uscita dalla penna di Phil Taylor, tecnico di Gilmour dal ‘74 e custode del prezioso strumento.
Gilmour è, però, anche un ottimo cantante e un polistrumentista (ha suonato il basso su molti brani dei Floyd, anche se la cosa non è così nota) e spesso, anche in questi frangenti, dimostra lo stesso tratto distintivo: una sobrietà elegante e una riconoscibilità immediata.
Insomma, Gilmour, una rockstar distintamente inglese, ha di fatto cambiato il mondo della musica divenendone un’icona. Eppure è una figura atipica del music business, quasi un’antirockstar: dal tono pacato e riservato, quando non è in tour conduce una vita tranquilla con la moglie Polly Samson - romanziera e co-autrice dei testi dei Floyd e di Gilmour dal ‘94 - e i figli (ne ha avuti otto, da due matrimoni) nella sua casa in campagna. In passato ha preso parte a qualche rally in auto e ha conseguito il brevetto di pilota d’aereo (ha anche fondato Intrepid Aviation, un museo di aerei d’epoca). Di tanto in tanto si concede del tempo sull’Astoria (una casa galleggiante sul Tamigi costruita nel 1911 e trasformata in una specie di bordello privato, poi acquistata da Gilmour negli anni ‘80 per essere trasformata in studio di registrazione), ma non è un’amante della mondanità. Nel 2003 è stato nominato Commendatore dell’Ordine dell’Impero Britannico (CBE) per i suoi contributi nel campo della musica e per la sua filantropia, mentre nel 2009 ha ricevuto la laurea honoris causa presso la Anglia Ruskin University of Cambridge and Chelmsford (lil Cambdridge Tech da lui frequentato oggi è parte della Anglia Ruskin University) per il suo “eccezionale contributo alla musica come scrittore, esecutore e innovatore”. Gli è stato assegnato anche l’Ordine d’Onore in Armenia, in seguito alla sua partecipazione al progetto Rock Aid Armenia. Ancora impegnato nel tour promozionale per il disco Rattle That Lock che lo ha portato in Italia nel settembre scorso, visto il grande successo registrato, tornerà nel nostro paese il 10 e l’11 luglio per due concerti all’Arena di Verona.
Niente male, per i primi settant'anni. Vedremo cosa ci regalerà in futuro. Happy birthday, Mr Gilmour!