Quello che state per leggere è qualcosa che mai avrei voluto scrivere. L'estremo saluto a un gigante della chitarra blues italiana come Rudy Rotta è un articolo che, per chi ha avuto un rapporto di sincera amicizia con lui, non sarà mai obiettivo. Ammetto che c’ho pensato tanto prima di sedermi davanti al mio laptop per fare ordine di idee. Il vuoto che mi ha lasciato la sua morte è immenso.
Vorrei tralasciare di soffermarmi sulla sua carriera, tanto oggi, con Wikipedia alla portata di tutti, è veramente facile avere accesso alle informazioni su un personaggio pubblico. Vorrei anche evitare di provare a tradurre in parole le emozioni e le vibrazioni che la sua Stratocaster attaccata a un Super Reverb blackface hanno suscitato in me tutte le volte che ci ho suonato insieme o sono stato in mezzo al pubblico per godermi i suoi show. E allora come provare a descrivere un personaggio così importante come Rudy? Ripensando ai momenti passati insieme e scorrendo i suoi dischi, mi sono imbattuto in un ricordo indelebile che mi ha segnato profondamente. E lo vorrei condividere con voi tutti guitar maniacs, ma anche semplici lavoratori della musica (quello che sono io). La migliore lezione che un professionista mi abbia mai dato.
Svariati anni fa Rudy decise di registrare in un disco alcuni dei pezzi dei Beatles. Io, come tutti gli intransigenti guitar fanatics del tempo, ero molto scettico sulla sua scelta. Ci ritrovammo, in una trattoria in Sicilia, a parlare di questa decisione. Avevo letteralmente consumato e sbranato ogni secondo del suo Live in Kansas City, un disco di blues sanguigno, diretto come un treno lanciato in corsa, scarno al punto giusto. Il miglior album di blues italico, a mio parere sia chiaro. E una scelta così anticonformista, quella appunto di dedicarsi al repertorio dei Fab Four, mi era sembrata scellerata.
Perché un chitarrista così autentico doveva "macchiare" la sua purezza affrontando un repertorio che, a primo acchito, c’entrava così poco con i suoi precedenti lavori? Rudy era un tipo rude (scusate il gioco di parole, ma è la verità), quindi porgli questa domanda non è stato per niente semplice. Ma l’ho fatto! E le sue parole, ancora oggi, a 15 anni di distanza, risuonano forti nella mia mente.
Quello che oggi do per scontato allora era un’assoluta novità per me: una canzone, quando è bella, può essere affrontata in qualsiasi contesto musicale, e donarle dignità, senza tradirne la versione originale, o offendere il genere a cui ci si appoggia. Rudy mi fece mille esempi a sostenere la sua scelta, dalle classiche melodie del jazz anni ’30 che rubavano dalla musica classica, a Django Reinhardt che prendeva le hit del tempo, per tramutarle di cavalcate di musica swing.
Insomma l’arte di riarrangiare un brano è paragonabile all’arte di individuare il "pezzo giusto".
Ovviamente il disco che fece, The Beatles in Blues del 2001, fu una bellissima sorpresa. Oggi, a distanza di tanti anni, ogni volta che accendo la radio e ascolto una hit cerco sempre di focalizzare la mia attenzione sulla melodia e sulla progressione armonica. Tralascio di giudicare una canzone dall’arrangiamento pop-mainstream che a me non piace, ma cerco quella famosa chiave di Volta che rende una canzone speciale. E ogni volta giungo alla stessa conclusione (rimessa in moto dalle parole del compianto Rudy): l’aridità musicale che stiamo osservando è anche generata da questa mancanza quasi assoluta di melodie geniali, belle o semplicemente accattivanti. Di contro la ricerca di belle Canzoni (volutamente con la “C” maiuscola) non è cosa difficile se si scava nel passato. È anche questa un’ossessione per il vintage.
So che quello che mi disse Rudy a suo tempo era la famosa scoperta dell’acqua calda, ma, per un ragazzetto come me, allora, che giudicava un brano dall’incisività di un riff o di un solo, è stata come una sberla in faccia! E scoprire che tutti i miei eroi musicali erano, ognuno a proprio modo, coscienti di questa verità, mi ha fatto sentire più vicino alla quiete che ogni professionista cerca nello sviluppo del suo lavoro.
Grazie Rudy, per tutta la tua musica, per il tuo carattere diretto e per le tue lezioni di vita. Adesso che sono nel pieno dell’estate torno ad ascoltare Dick Dale. Lo sapevate che il suo più grande successo, "Misirlou", è il rifacimento di un tema della musica popolare greca? |