Non è però il caso di unirsi ai brindisi che già si sentono nei negozi tradizionali: alcuni vantaggi per il commercio locale prodotti dal non compenseranno le gravi conseguenze negative, con migliaia di imprese di ogni dimensione (tra cui alcune italiane di eccellenza) che si troveranno senza il principale cliente o addirittura senza il distributore esclusivo, dovendo inoltre far fronte a insoluti tanto importanti da mettere a rischio la sopravvivenza dei più deboli.
La causa più evidente del disastro - ma non l'unica - è la crescita della vendita online: nonostante un mercato tornato a crescere negli ultimi 5 anni (+ 9,1%), la situazione dei venditori al dettaglio resta pesante, con il 20% dei grandi network di negozi nella zona di rating CCC, quella che indica un possibile fallimento. La crescita esponenziale dell'e-commerce è una condizione con cui tutti devono fare i conti: andava prevista e gestita con tempismo, pragmatismo e flessibilità ed è stata invece sottovalutata e affrontata con attitudine e strategie inadeguate, cui hanno fatto seguito le prevedibili, drammatiche conseguenze.
Né è casuale che la crisi dei negozi tradizionali vada di pari passo con quella della chitarra, lo strumento che più di tutti chiede di essere provato e acquistato dal vivo: la chitarra elettrica è assente dalle top 20 internazionali da un lustro, a dimostrare che le nuove generazioni fanno meno musica e la fanno con la console acquistata online (o non la fanno del tutto). Perché?
E' opinione comune che i grandi produttori avrebbero potuto e dovuto fare di più anche per evitare la crisi annunciata dello strumento iconico del rock, la chitarra elettrica, tradizionale protagonista e termometro del mercato. Invece, dopo il "rinascimento chitarristico" di fine secolo scorso, sono stati ripetuti gli errori commessi da CBS e Norlin vent'anni prima, primo tra tutti quello di non voler capire che fuori dagli uffici commerciali esistono persone vere, musicisti con emozioni e passioni, non numeri aggregati da statistiche. Non sì è voluto-saputo usare linguaggi adeguati ai tempi, ripetendo invece il marketing muscolare ed esclusivo (nel senso di "escludere") degli anni '70, orientato alla quantità anziché alla qualità, contribuendo a spingere le nuove generazioni verso altri mondi più attenti e consapevoli dell'importanza di ascoltare e interagire, mondi più accoglienti e inclusivi.
Va anche aggiunto che Guitar Center ci ha messo parecchio del suo, costruendo il network di negozi più odiato nella storia del commercio, con servizi post-vendita e politiche di customertcare inesistenti, porontamente rimbalzate e condivise online, in un che ha contribuito a svuotare gli oltre 300 negozi del network, a vantaggio soprattutto degli e-commerce.
Per quanto riguarda l'Italia, infine, ovviamente spiace per le aziende coinvolte, tra cui alcune eccellenze distribuite in USA da Guitar Center. Eppure questa crisi, che si annuncia epocale nel breve termine (anche per l'effetto domino che potrebbe dare il colpo di grazia ad alcuni grandi produttori pesantemente indebitati, come Fender e Gibson), potrebbe anche sortire anche alcuni effetti positivi nel medio e lungo termine.
L'inevitabile selezione generata dal crack (only the strong survive) sarà utile sia per riequilibrare il rapporto domanda-offerta, sia per smontare dinamiche anacronistiche e rendite di posizione consolidate, ovvero i principali ostacoli alla ripartenza del mercato.
Unico traino possibile è la voglia di fare musica, un grande valore italiano che deve tornare - ma in modo moderno e proattivo - al centro dell'attenzione degli operatori del settore capaci di confrontarsi con le difficoltà e sfruttare le opportunità offerte dal mondo che cambia. |