di Pietro Paolo Falco [user #17844] - pubblicato il 24 gennaio 2018 ore 07:30
Il digitale è freddo, anonimo, per questo sei tornato alle valvole e ai pedali analogici. E se invece fosse tutto nella tua testa? Facciamo un esperimento.
Ci sono tanti luoghi comuni e assiomi nel mondo degli strumenti musicali. Alcuni hanno dei fondamenti ben chiari, altri sono frutto di leggende metropolitane e convinzioni più o meno realistiche, ma hanno quasi tutti lo scopo di farci districare al meglio nella selva di prodotti che ogni giorno inondano il mercato. Li ripetiamo a noi stessi e agli altri per risparmiare tempo, per fare acquisti più mirati, col rischio di perderci qualcosa di davvero interessante per la strada.
Se vediamo un overdrive con "screamer" nel nome o piazzato dentro uno chassis verde, lo liquidiamo come il solito clone. Se si scopre che una modulazione è digitale la si scarta senza neanche accenderla perché, si sentenzia, non sarà mai in grado di replicare il suono organico e complesso di un circuito analogico.
Che il digitale faccia schifo e non raggiungerà mai un livello accettabile per il fine orecchio del chitarrista da birreria e per il suo attento pubblico è una delle convinzioni più radicate in molti musicisti. Si dimentica troppo spesso che quest'idea è figlia di un preciso momento storico. Passata la febbre per i rack degli anni '80 e parte dei '90, i chitarristi hanno riscoperto le meraviglie delle testate, valvole e stompbox analogici d'annata. Un po' come la mania del vintage, che fa suonare divinamente alle orecchie dell'appassionato qualunque strumento precedente agli anni '70, la fobia del digitale ha convinto tutti che 0 e 1 fossero nemici giurati del Suono.
Questo accadeva circa vent'anni fa, le scrivanie degli uffici erano occupate dai Pentium II a tubo catodico da 200 e rotti MHz e i ragazzi si godevano i 33MHz della prima PlayStation. In pedaliera, avevamo tutti una Zoom 505. Era tutto divertente, stimolante, ma sapevamo che quegli overdrive suonavano fasulli come le tette triangolari di Lara Croft nel primo Tomb Raider.
Oggi i computer arrivano ad avere anche 8 core ognuno dei quali mangia a colazione un intero Pentium II, e la PlayStation 4 - che non è neanche la console più recente in circolazione - ha una potenza di 1,6GHz. Di pari passo, anche Tomb Raider è migliorata. Un sacco.
Perché non considerare alla stessa maniera anche l'avanzamento tecnologico in campo musicale?
I processori digitali di oggi sono infinitamente più potenti dei loro antenati. Un multieffetto moderno per uso casalingo può gestire una quantità di informazioni tempo fa alla portata solo dei grossi studi, e le interfacce utente si sono evolute di conseguenza, diventando sempre più immediate e complete.
Forse quello che ancora oggi ci fa vedere il digitale come la nemesi del buon suono è un velo che ci si è posato sugli occhi ormai due decenni fa, quella stessa barriera che mai ci avrebbe fatto immaginare di avere un giorno in casa occhiali per la realtà virtuale e televisori a 4K.
Così come si rispolvera la vecchia PlayStation trovata in soffitta e la si accende pensando "oddio, ma la grafica era davvero così?", riascoltare oggi un processore digitale dell'epoca può farci rendere conto di quanti passi avanti siano stati fatti finora.
Abbiamo voluto sperimentarlo con un vecchio rack Rocktron Chameleon Online, una macchina largamente apprezzata e ritenuta ottima per la sua epoca ma che, accendendola oggi, fa quasi tenerezza per l'ingenuità di alcune soluzioni progettuali e per certe sfumature sonore demodé.
Cinque minuti con un processore digitale di fine anni '90 possono essere illuminanti. Se ne avete modo, vi consiglio di fare lo stesso esperimento e, subito dopo, di mettere le mani su un multieffetto più recente o anche su una semplice app per smartphone: quel velo non apparirà più così pesante.