Per ragioni anagrafiche non ho potuto seguire la carriera dei Queen nel suo sviluppo. Nel ’91, anno della scomparsa di Freddie Mercury avevo ben 3 anni, e i Power Rangers erano molto più importanti della musica nella mia quotidianità.
Ci ho messo un po’ prima di restare fulminato dalla potenza e dalla bellezza dei loro brani, finendo poi per rimanerne schiacciato a tal punto da non ascoltare altro almeno per tutta l’estate del 2003.
Con questo amore a fasi alterne per una delle band che ha rivoluzionato sotto molti aspetti la musica degli ultimi 30 anni mi sono approcciato al film di Brian Singer.
L’arrivo in sala della pellicola è stato travagliato tanto quanto la storia di Farrokh Bulsara, tra attori che hanno rinunciato alle parti, registi spariti per settimane e problemi con la sceneggiatura.
Raccontare una storia già fatta potrebbe sembrare più facile che inventarla da zero, ma forse è proprio il contrario. Ci son voluti anni, ma il risultato è di una bellezza disarmante.
Partiamo proprio dal cast. Rami Malek, noto per aver interpretato il Faraone Ahkmenrah in Notte Al Museo, si è preso sulle spalle il compito più difficile di tutta la sua carriera: interpretare un personaggio impossibile, insostituibile. Con un lavoro straordinario sulle movenze e le espressioni, Malek non fa rimpiangere per nulla l’essersi seduti sulla poltrona del cinema per quasi due ore e mezza (volate, tra l’altro). Nel ruolo di Freddie è credibile, ovviamente per quanto riguarda la vita pubblica. Per quella privata, ci fidiamo degli sceneggiatori.
Il resto della band non è da meno. Nella scena che racconta il Live Aid del 1985, un vero capolavoro a conclusione del film, ogni dettaglio ricorda alla perfezione quanto visto, purtroppo da me, solo in video.
Sulla trama non sto a soffermarmi più di tanto. La storia è abbastanza nota a tutti. Le tappe dell’esistenza dei Queen non hanno praticamente più nulla di nascosto. L’aspetto più toccante, però, quello davvero strappalacrime, non è la caduta nella malattia del frontman, ma l’estrema solitudine che ha caratterizzato tutta la sua breve vita.
L’emozione smossa dal vedere un giovane Farrokh crescere e distaccarsi da un padre che non approva le sue scelte di vita, l’abbandono del suo grande amore Mary, impossibile da portare avanti per entrambi per finire con gli attriti all’interno della band arrivano quasi a oscurare la grande storia musicale che resta, a tratti, quasi un contorno.
Sia chiaro, tutta la vicenda è ben più romanzata di quanto ci si aspetterebbe: raccontati nel film, che però non ne sminuiscono granché la bellezza.
Per finire la musica. Trovare attori non solo dotati dello stesso aspetto fisico, ma anche delle stesse doti artistiche sarebbe stata una vera missione impossibile. Per ovviare al problema sono state prese delle registrazioni originali con l’aggiunta di alcune parti vocali cantate da Marc Martel con un risultato davvero quasi perfetto.
In conclusione: il film è bello? Sì. È accurato e preciso? Nì, ma chissene. Ve lo consiglio? Ovviamente sì! Commuove? Non ho pianto per Mufasa, qui sapevo già il finale, fai tu! |