Federico Malaman è con grande probabilità uno dei musicisti italiani che sta raccogliendo maggior interesse e consenso a livello internazionale. Merito di tanta attenzione va al fatto di essersi imposto come strumentista di riferimento nei confronti di uno strumento, il basso, che in questo momento sta attraversando un periodo magico. Dagli Snarky Puppy ai Dirty Loops, passando per Thundercat o le prodezze di Mohini Dey o Hadrien Feraud, un nuovo approccio bassistico esplora insieme virtuosimo e sensazionali soluzioni di groove, suono, arrangiamento e scrittura, inserendo in un impianto tradizionalmente fusion i colori sempre più moderni e contaminati del jazz e dell’ elettronica ma anche dell’pop o del progressive.
Ed è proprio in questa capacità di coltivare assieme virtuosismo e pulsioni soliste con cura negli arrangiamenti, attenzione alla produzione musicale e alla scrittura che Federico Malaman trova il punto più vivace della sua modernità: Federico è una delle fotografie più efficaci di una figura di musicista nuovo, capace di essere credibile ed ugualmente stupefacente tanto nella veste pirotecnica di solista che in quella più compita di musicista da band, ora session man, ora responsabile ed equilibrato curatore della sua musica. E suo secondo disco solista è la proiezione più veritiera e gradevole di questo suo sconfinato e versatile mondo musicale. Nelle dieci tracce di Malaman celebra più di tutto il suo amore per la musica, giocando e mescolando tra loro ritmi, idiomi e colori di funk, afro, tango, jazz con tanto di impennate quasi progressive, in una miscela elettrizzante nella quale, il suo proverbiale virtuosismo, non è che uno dei tanti ingredienti in gioco.
In “Life” ci sono ottime composizioni, esecuzioni sopraffine - merito di una rosa di musicisti scelti con passione e precisione - cura dei suoni e attenzione alla leggerezza e l’eleganza del tutto. Perché se a Malaman qualcuno rimprovera di aver spesso utilizzato il suo virtuosismo, smodato e futuristico, per catturare attenzione e visibilità, stupirà piacevolmente scoprire come in “Life” non ci sia, mai, spazio per prodezze circensi o autocelebrative: tutto è dosato e asservito alla musica e, anche quando le linee di basso di Federico si fanno straripanti ed esagerate, assecondano arrangiamenti e scritture che, nella loro deliziosa complessità, non potrebbero necessitare di soluzioni migliori.
Per questo, ammirati e insiemi incuriositi da questo lavoro, abbiamo invitato Federico Malaman tra le pagine di Accordo in una rubrica esclusiva nella quale, nei prossimi mesi, ci racconterà “Life” e parlerà della sua storia musicale e del suo approccio al solismo con riferimenti allo studio e alla pratica tra utilizzo di scale, arpeggi, repertorio e cura del suono. Il tutto condito da tanti aneddoti legati alla sua carriera e una spettacolare digressione sullo slap.
INTERVISTA A PINO LAUDADIO (Fonico e Produttore di "Life")
una realtà curiosa e audace che si è distinta per aver selezionato e prodotto artisti e materiale di altissima qualità, diventando, negli anni, editrice e produttrice dei più grandi nomi internazionali del jazz e della fusion. Pino ha spalleggiato Federico nella realizzazione di "Life" seguendo anche i lavori come fonico e produttore.
Un apporto importante nel lavoro di produttore artistico è dare omogeneità al suono dei brani di un disco. E' il caso di "Life" dove il sound di tutti i brani è omogeneo (anche se gli stili in gioco sono molti) e c’è un colore che attraversa in maniera uniforme tutte le tracce...
E' vero, l’ispirazione arriva proprio dai colori. Mi piace pensare a una visione d’insieme di un disco simile a quella di un quadro dove strumenti musicali diversi sono i colori che tratteggiano, riempiono e compongono tratti, forme e rappresentazioni. Ma sono poi le sfumature, le gradazioni e le intensità differenti con cui sono dosati e bilanciati questi singoli colori – e quindi strumenti – ad affinare l’estetica finale del quadro, la spazialità. Proprio in questo vedo il mio apporto come fonico, produttore.
E come crei e gestisci queste sfumature di suono?
E’ il lavoro che si fa con i processori di segnale, con gli effetti, plug-in o outboard. Si tratta di ricreare delle sfumature e una spazialità che ti permetta di incastonare gli strumenti nello spazio sonoro d’ascolto di un disco, con la stessa sensibilità con cui, in un quadro, dai più o meno presenza alle immagini attraverso il peso dei colori.
Quando si dipinge, per esempio, la vicinanza o meno delle montagne che si stagliano nel panorama si ottiene mescolando il loro colore diretto con quello azzurro del cielo. Più azzurro si aggiunge, più la montagna sembra lontana…
Esatto. Questa è proprio la vicinanza tra il quadro e l’uso dei colori e un mix! In un disco, una cosa affine avviene con l’utilizzo dei riverberi: le cose (parti, esecuzioni, strumenti…) che l’arrangiamento richiede siano lasciate più indietro, sono più bagnate, immerse, nel riverbero; così come, quelle più protagoniste in un dato momento, sono lasciate più asciutte.
In questo disco, gli strumenti a seconda delle sfumature, più chiare o più dense che gli sono state attribuite, trovano una loro collocazione nel mix. In qualche maniera, riesci a ritagliare nel panorama sonoro una terza dimensione che ti consente di spostare e disporre, avanti e indietro gli strumenti…
Parli di profondità…
Esatto. Quella componente che oggi forse manca in molti dischi... Invece, questa profondità, questa gestione delle sfumature, ritengo debba essere una caratteristica decisiva in un disco. Perché consente di identificarlo, far riconoscere l’artista dalle prime note. Ed è quello che cerco di offrire io, come fonico e come produttore. E’ la maniera peculiare per supportare un artista quando lo si produce. Per esempio, quando senti un grande album, per esempio un lavoro di Pat Metheny, dalla prima nota ti accorgi che c’è un’idea forte di suono dietro, una coerenza di idee, una visione chiara...
Concretamente, come hai costruito questa profondità per “Life”.
Da subito, sin da quando i musicisti sono arrivati in studio e hanno montato i loro strumenti: camminavo tra di loro, ascoltavo il timbro di ciascuno, come si sposavano l’uno con l’altro, iniziando a immaginare come si sarebbero spalmati sulla tavolozza dei colori della produzione.
Trattandosi poi di musicisti molto preparati, mi sono concentrato sul suono, il bilanciamento che naturalmente hanno iniziato a creare suonando tra loro, che era già ottimo. Lavorare con musicisti straordinari, come quelli coinvolti su “Life”, facilità il lavoro di una produzione, perché tutto suona già sensato, già dalle prime note abbozzate; quando hanno iniziato a suonare tutto aveva già un suo equilibrio, una gradevolezza che, stando con loro nella stanza, ho cercato di assimilare per ricreare e riproporre poi in un mix fedele e naturale.
Hai seguito anche la pre produzione del disco?
Federico mi ha portato una preproduzione che già suonava in maniera egregia. Idee, arrangiamenti, tracce: era tutto strutturato e disposto in maniera lampante. Federico aveva una visione chiarissima; ogni dettaglio del disco era finalizzato, si capiva già la natura, il carattere del lavoro.
Il mio apporto come produttore e fonico, da subito, mi è stato chiaro fosse quello di arricchire quei brani già finiti a livello di scrittura e arrangiamento con il suono, il colore e la spazialità di cui abbiamo parlato prima.
Nella registrazione e produzione c’è stato un elemento che secondo te ha contribuito in maniera decisiva alla riuscita di “Life”?
Di sicuro, molto interessante e determinante nella natura del lavoro è stato il fatto che Federico abbia inciso tutti i brani suonando dal vivo con il batterista Nicolas Viccaro sopra le sequenze. Questo, di sicuro, ha dato forte vivacità e carattere al disco e un sapore, comunque, live.
Anzi, nell’album ci sono due canzoni incise totalmente live in studio, con tutto la band al completo e secondo me, sono i brani di "Life" con con maggiore groove ed energia. Queste due esecuzioni live sono - a mio parere - un valore aggiunto nell’economia del lavoro.
Hai lavorato in maniera differente sul suono di questi due brani ripresi live?
Ti dirò, no. Ed è stata una bella sorpresa perché quando registri un ensemble live, inevitabilmente , di volta in volta, c’è qualcuno che suona più avanti, con più energia, maggiormente ispirato…e il tuo compito è bilanciare queste esecuzioni, rendendole uniformi, appianando le piccole incongruenze. Invece, in questo caso, Federico e la band hanno suonato con un vigore, un’intenzione e un’energia uniforme che ha reso anche il mio lavoro molto più semplice.
Raccontaci la tabella di marcia dellla registrazione e produzione di “Life”…
Il primo passo è stato montare su Protools la preproduzione completa che Federico mi ha inviato.
Questa sarebbe diventata la fondamenta su cui avremmo edificato il disco. Non solo: Federico aveva inviato a tutti i musicisti la preproduzione facendo sì che poi, arrivati in studio, si trovassere una situazione già nota, familiare, con le stesse tracce che già conoscevano. Quindi basso, batteria e il sax di Marco Scipione hanno subito inciso le loro parti, suonando live e sostituendo le loro esecuzioni a quelle della preproduzione. A questo punto, è stata convocata tutta la band e sono stati incisi i due brani dal vivo.
Quindi, abbiamo iniziato a gestire, raccogliere e montare i contributi e le parti che gli altri musicisti coinvolti nel lavoro ci hanno inviato dai loro studi di riferimento…
Le tracce che i musicisti ti mandavano in autonomia erano comunque già concordate nei suoni e nelle parti?
No, Federico ha lasciato ai pianisti Fabio Valdemarin e Ruslan Sirota, assieme al chitarrista Valerio De Paola massima libertà. Questi musicisti lavorano agli arrangiamenti e sceglievano i suoni mandandoli a Federico che decideva quali sarebbero stati i più indicati per i vari brani. Viceversa la cantante Nicki Gonzalez ha eseguito una melodia che Federico le aveva già inviato in maniera dettagliata
Come hai lavorato sul suono di basso di Federico…
In realtà è stato abbastanza semplice. Una volta iniziato a fare i primi esperimenti di ripresa, ho mandato a Federico diverse opzioni di suono. Nello specifico, di ogni traccia del disco, avevo fornito a Federico una particolare, diversa, lettura sonora del basso. Dopo vari ascolti, Federico ne ha selezionata una che era quella che preferiva. Ed è diventata il riferimento su cui modellare il suo suono.
Davvero, nessun accorgimento particolare?
Ripeto: quando lavori con musicisti così preparati che ti offrono un’idea così chiara, espressa in maniera pulita, collocata in modo puntuale nell’arrangiamento e – non da meno – eseguita con uno strumento allo stato dell’arte, intonato, senza difetti…beh, puoi davvero avere meno bisogno della tecnologia, perché tutto suona naturalmente bene.
Ecco, semmai, un accorgimento particolare è stato necessario per le sovraincisioni di basso: ci sono delle parti in cui ci sono bassi di supporto nei momenti in cui Federico esegue melodie, assolo, temi. Gestire la convivenza di due bassi è stata la parte più delicata.
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