"Behold Electric Guitar", il nuovo disco di Paul Gilbert
di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 01 aprile 2019 ore 15:00
Paul Gilbert confeziona uno dei dischi migliori della sua carriera. "Behold Electric Guitar" è un album riuscito per due ragioni: perché c’è dell’ottima musica, con un sound delizioso, scritta bene, registrata meglio e suonata da brividi; e perché è la fotografia riuscita e perfettamente a fuoco di un artista che continua a evolvere, esplorare, studiare. L'uscità dell'album, prevista per il 17 maggio, è stata anticipata dalla pubblicazione del primo singolo, "Havin'It". Abbiamo ascoltato in anteprima "Behold Electric Guitar" e ve lo raccontiamo.
In quasi quarant’anni di carriera Paul Gilbert non si è mai ripetuto: il suo amore e la sua passione per la musica si sono sempre palesati in una ricerca virtuosa e ostinata di evoluzione. Negli anni ’80 è stato un pioniere, inventore visionario dello shred neoclassico; negli anni ’90 ha tolto la sua chitarra dalla nicchia dell’autocelebrazione tecnica e l’ha messa al servizio del songwriting dei Mr. Big, smussando nel blues spigolature ed estremismi del suo solismo neoclassico; ed è diventato una rock star scalando le classifiche di tutto il mondo. Tra la fine degli anni ’90 e i ‘2000 – non si capisce se con più coraggio o più sconsideratezza - si lasciava alle spalle tutto per reinventarsi cantante, confezionando una manciata di dischi a metà tra pop e punk, gustosi per energia, esplosioni chitarristiche ma abbastanza esili dal punto di vista del contenuto musicale. Forse il momento più confuso della sua storia musicale.
Quindi, con la scelta di iniziare a produrre dischi strumentali, è arrivata la svolta: forse motivato dal successo avuto dalla reunion dei Racer X e dai riusciti dischi di metal shred pubblicati di conseguenza, Gilbert decide di rimettere il suo prodigioso chitarrismo al centro della sua musica. “Get Out Of My Yard” il suo primo disco strumentale è un album travolgente e chitarristicamente esaltante. Siamo a metà degli anni 2000 e, complice l’esplosione di Youtube, Paul Gilbert inizia a spopolare sul web, dove impazza tra filmati live e lezioni facendosi scoprire da una nuova generazione di chitarristi (troppo giovani per ricordarsi di Mr. Big e Racer X) che lo individuano – un'altra volta - come riferimento per il solismo shred. Ma, di nuovo, Paul Gilbert mette tutto in discussione; non rinuncia alla centralità della chitarra nella sua produzione musicale, non abbandona lo strumentale ma anziché cristallizzarsi nel confortevole piedistallo di icona vivente dello shred decide di iniziare a studiare blues, jazz e di indirizzare in tal senso il suo chitarrismo e il suo songwriting. Gilbert non vuole limitarsi alla contaminazione con il blues ma cerca un’adesione piena, decisa e coerente con questo genere. Ovviamente non è un percorso facile perché il chitarrismo di Gilbert vive di virtuosismo cristallino: tutto è chiaro, scandito in maniera chirurgica dalla divisione ritmica alla pronuncia inappuntabile, anche dell’ultimo trentaduesimo. E questo imprigionava il suo blues in un formalismo e rigore che non sono propri del genere. Album come il poco felice Vibrato sono una testimonianza di questa ricerca caparbia e sofferta.
Invece con Behold Electric GuitarPaul Gilbert fa centro trovando, finalmente, la maniera per lui perfetta di fare blues che non è quella di accanirsi nello scrivere e suonare qualcosa che non fa parte della sua storia. Gilbert ha metabolizzato il blues, lo ha vissuto e probabilmente patito e ha capito che il modo più autentico per celebrarlo sia lasciare che il blues diventi un approccio, un’intenzione, una sensibilità, una maniera di toccare e pensare le note, scrivere canzoni che però restano veracemente sue. In questo disco le canzoni richiamano il songwriting più autentico di Paul, quello dei Mr. Big dei suoi primi dischi solisti e, addirittura, a sprazzi quello dei Racer X; persino il fraseggio non rinuncia a una sola virgola del suo vocabolario iperbolico. Ma è blues il suono che cerca il calore prima dell’intelligibilità delle note, il tocco che ora vibra di una dolcezza e solarità che non trovavano spazio nel vigore del rock; è blues la naturalezza di sedersi sul tempo dei fraseggi, come la scelta di registrare tutto live, la gioiosa spontaneità delle improvvisazioni e persino il rumore dei pedalini fuzz, overdrive, delay e modulazioni che – nella naturalezza della registrazione – si sente quando Paul accende e spegne colorando riff e assolo.
IL DISCO
Il team che Paul Gilbert ha coinvolto nella produzione e registrazione di questo disco è assolutamente artefice della riuscita di Behold Electric Guitar. In passato, a rendere forse in qualche modo poco naturali le digressioni blues di Gilbert c’era il fatto che si affidasse sempre e comunque agli stessi musicisti straordinari che lo accompagnavano nel suo tradizionale repertorio rock, hard rock, progressive e metal. Musicisti della stessa pasta di Paul Gilbert, estremamente tecnici, virtuosi, muscolari, potentissimi. Basti pensare ai batteristi prodigiosi che hanno collaborato con Paul nella carriera solista: Marco Minnemann, Thomas Lang, Jeff Bowders, artisti e strumentisti mondiali, versatilissimi ma di certo non squisitamente blues. Benché assolutamente capaci di eseguire in maniera calzante il blues mancavano, a volte, di schiettezza e frugalità nell'esplorare questo genere. E anzi, spesso, anziché enfatizzare i colori e l’approccio più tenue delle intenzioni blues e jazz di Gilbert, erano invece più propensi a enfatizzarne il virtuosismo, trasformando ogni scintilla solista appena più accesa, in una roboante deflagrazione tecnica e virtuosistica più consona al metal.
Per Behold Electric Guitar invece, Paul ha ingaggiato due professionisti di Portland, città dell’Oregon in cui il chitarrista si è trasferito di recente. Brian Foxworth alla batteria e Asher Fulero alle tastiere sono dei professionisti maturi, autenticamente calati nel blues e jazz, capaci di inflessioni pop, credibili nel rock senza mai, nemmeno lontanamente, accennare a impennate più hard o metal che paiono proprio estranee al loro linguaggio. Così, si avverte proprio come quando Paul schiaccia sull’acceleratore negli assolo più irruenti, loro lo accompagniano in maniera pertinente ma senza incentivarlo a spingersi oltre, non facendosi a loro volta più aggressivi. Sembrano assecondarlo, lasciarlo sfogare per ricondurlo in maniera morbide nella zone più gustose e fresche del disco, quelle dell'interplay e dell'esposizione tematica. A chiudere la band, Gilbert ha convocato da New Orleans, la leggenda del basso Roland Guerin. L’autenticità stilistica di questi tre musicisti è stato probabilmente l’elemento decisivo per dare alla musicalità di Gilbert quell’anima blues così lungamente cercata. Altrettanto risolutivo nel suono e nell’economia del disco, è stato l’apporto del produttore John Cuniberti.
Cuniberti è noto per avere lavorato con Joe Satriani e, più ancora, per il suo approccio assolutamente live alla registrazione, affidata a pochissimi microfoni e nella quale è tendenzialmente evitato ogni ricorso a editing o sovra incisioni. Tutto quello che in questo disco si ascolta è l’esecuzione, spudoratamente live di tre musicisti deliziosi che ci danno dentro con gusto e classe, accompagnando le canzoni e i prodigi chitarristici di uno dei più grandi musicisti rock del pianeta.
Un cenno veloce alle canzoni. Il singolo che anticipa l'album, "Havin'It" con il suo assolo infinito, sembra quasi una lunga e appassionata jam e forse non ci è sembrato il brano più efficace per descrire il disco. Behold Electric Guitar invece, vive di composizioni più strutturate, organizzate, autentiche canzoni. " Love Is The Saddest Thing" è il pezzo più potente dell'album, una galoppata rock blues con pennellate di slide e acrobazie chitarristiche; in "Every Snare Drum" Paul fa piangere per come accarezza le corde della sua Ibanez nel tema. Tocco, suono e intenzione sono da brividi.
"Blues For Rabbit" è un blues spassoso che parte rassicurante e, man mano che Gilbert si scalda, svisata dopo svisata, si fa sempre più sfacciato e chiassoso. In "Everywhere That Mary Went" sembra di ascoltare la band di Robben Ford che suona una cover dei Rush. L'apertura melodica del chorus è un vero trademark di Gilbert che, anche, in questo brano, suona in maniera celestiale. in "A Herd of Turtles" Gilbert imita il monologo centrale di Andy Summers in "Be My Girl" dei Police. Mentre, nell'assolo iniziale di "Sir You Need To Calm Down" Gilbert ci tiene a ricordarci che - blues o non blues - resta comunque lui, il più smodato ed insieme elegante degli shredder.