Diciotto anni fa, a partire dalla primavera nel 2001, gli appassionati di musica rimasero letteralmente destabilizzati dall’esplosione di due autentiche bombe: la prima era l’avvento dei Gorillaz, band virtuale concepita dal geniaccio di Damon Albarn dei Blur; la seconda, vero lampo a sorpresa, i System of a Down che si piazzarono prepotentemente come band di spicco del cosiddetto nu-metal. In controtendenza alle band similari nel genere, i System of a Down si distinguevano nettamente per stile e carattere. Nel loro stile potenza ed estremismi musicali e sonori si legavano a inattese aperture melodiche che rendevano l’ascolto della loro musica un saliscendi emozionale e dinamico unico. Nei loro pezzi c’erano strutture assolutamente originali e soluzioni di arrangiamento quasi schizofreniche per via dei cambi di tempo frenetici, mescolati ad un utilizzo creativo delle pause. Inoltre, a dare spessore alla band c’erano influenze etniche e testi profondi, di protesta, frutto della discendenza superstite al genocidio armeno del 1915.
Toxicity è un disco che contiene tutto quanto appena descritto. È un album che incanta per la lucidità con cui è stato prodotto e per la coesione e il dinamismo con cui elementi musicali così eterogenei convivono in maniera brillante. Nell’abilità di valorizzare le idee esplosive e folli della band, un ruolo decisivo spetta alla cooperazione con un autentico duo delle meraviglio: il fenomenale produttore Rick Rubin (Led Zeppelin, Metallica, Red Hot Chili Peppers, Rage Against The Machine…) e il fonico Andy Wallace (Prince, Nirvana, Guns N’ Roses, Dream Theater…)
Assolutamente unico nell’economia sonora della band, l’apporto vocale camaleontico e stupefacente di Serj Tankian che impazza tra urla tormentose e falsetti melodrammatici riuscendo a ipnotizzare l’ascoltatore senza risultare mai forzato.
Alla batteria in Toxicity siede John Dolmayan: classe 1973, John è profondamente influenzato da John Bonham dei Led Zeppelin a Keith Moon degli Who, quest’ultima sua band preferita.
Lo stile di John Dolmayan è terribilmente difficile da collocare; il suo è un drumming artistico, estroso, molto musicale e al contempo potente. A renderlo unico c’è la combinazione tra le influenze orientali che marcano la natura di tante sue idee ritmiche e la tecnica moderna che genera sonorità aggressive e profonde.
John Dolmayan sviluppa idee metricamente complesse ma è capace di diluirle in tempi digeribili, creando un batterismo dinamico, creativo che valorizza la melodia dei brani. Il peso di John Dolmayan in questo disco è enorme: su alcuni brani, si ha la percezione che la band sia partita nella costruzione della canzone e dell’arrangiamento proprio da un tema di batteria.
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