di Gianni Rojatti [user #17404] - pubblicato il 02 aprile 2020 ore 14:00
Ho utilizzato assiduamente il mio piccolo e fidato Zoom G3 dal 2012.
Mi ha supportato in tutta l’attività live con i Dolcetti, anche nei tour più importanti come quelli da spalla agli Aristocrats o, nel 2016, quando fummo l’unico opening act europeo per il “Passion & Warfare Anniversary Tour” di Steve Vai. Salire su quei palchi importanti, e suonare in diretta nell’impianto, con questo aggeggino da poco più di 100€, non solo era maledettamente pratico, ma mi pareva così sfacciato e quasi irriverente da farmi sentire un po’ punk.
Vero è che quel piccolo G3 ha sempre funzionato egregiamente, ho ricevuto ogni volta ottimi feedback sui miei suoni e in tanti anni non mi ha mai lasciato a piedi o minato l’esito di una performance dandomi grattacapi. Tra l’altro, costando così poco me ne ero procurati un paio di backup e – anche nella più catastrofica delle situazioni – mi era salvato tutti i suoni sul Mac, spedendomeli pure via mail. Sarebbe bastato caricarli su un altro G3 e avrei avuto, in meno di un minuto. di nuovo tutto in ordine. E avere la testa sgombra da questo tipo di preoccupazioni non è una cosa da poco.
Il mio G3, piccolo e arrogante, sul palco del "Passion & Warfare Anniversary Tour" di Steve Vai.
Ricordo che nell’ultimo concerto con i Dolcetti prima di iniziare a utilizzare lo Zoom G3, giravo con due casse 4x12, due testate Laney da 100watt e una pedaliera enorme, con un macello di pedali e una giungla di cavi e jack. Era una goduria. Perché anche se il digitale è magnifico, funzionale e decisamente più pratico per lavorare, niente può essere più esaltante che suonare con testate e casse imballate alle spalle! Ma ciononostante, il carico di stress che mi generava - primo di uno show - il fatto che quella mastodontica catena di pedali, casse e testate funzionasse a dovere a volte condizionava la mia performance! Preoccupazioni che ho smesso di avere iniziando a usare il G3. I suoni, in diretta e in cuffia, sarebbe stati identici, sempre. Il tempo da dedicare al mio soundcheck meno che dimezzato. Avesse anche preso fuoco mentre suonavo, sarebbe bastato un lampo per sostituirlo con quello di back up e ripartire.
Una cosa che ci tengo a dire è che credo il mio Zoom G3 abbia funzionato così bene anche per il tipo di musica che proponevo con i Dolcetti. È un contesto zeppo di elettronica e bass synth dove le distorsioni così sintetiche che avevo creato si sposavano alla perfezione. Il transiente del digitale sui riff doppiati dai synth era micidiale; il carattere cristallino e chirurgico dei suoni clean e dei delay a tempo sulle sequenze, era scolpito nel mix. Non credo che in un contesto blues, o rock’n’roll più tradizionale sarei riuscito ad avere la stessa proiezione sonora.
Invece, in questo mondo shred, electro, prog lo Zoom spaccava. Tanto che l’ho utilizzato anche per registrare: gran parte delle chitarre del disco Racer Cafè con Giacomo Castellano le ho registrare con lo Zoom G3. E altrettante nell’ultimo disco dei Dolcetti, “Arriver”. Di questo in particolare, tutte le parti di sette corde e unisoni e temi più veloci e articolati, spesso doppiati dai synth, li ho suonati con il G3. Per questo sono stato felice di accogliere la proposta degli amici di Choptones e confezionare una raccolta di quei suoni che ho spremuto sia in studio che live. Il pacchetto si chiama “Shred & Electro Progressive” ed è disponibile oltre che per Zoom G3 anche per ZoomG5. Comprende 20 suoni, divisi tra ritmiche distorte cattivissime, clean super anni’80, lead che sembrano scappati da un disco della Shrapnel e una manciata di suoni pazzi per giocare con i synth.
I suoni si possono ascoltare in azione in questo video e il pacchetto è acquistabile da oggi.
Per festeggiare questa uscita e ringraziare Accordo che mi ha permesso di promuoverla, ho deciso di affiancarci la trascrizione di una manciata di riff che suono nel video.
Il primo esempio è una parte di chitarra clean. Si tratta dell’arpeggio di chitarra di “Tresex” un brano contenuto nel primo disco dei Dolcetti, “Metallo Beat”. Il suono è spudoratamente anni ’80, tanto che l’ho chiamato Edge & Andy, un omaggio a due dei miei chitarristi preferiti di quella decade.
“Tremors” mi piace pensare sia la canzone più nota dei Dolcetti. Questi è il suo riff di apertura. La chitarra va accordata in Drop D.
Sempre da “Tremors” un frammento dell’assolo. Il suono usato si chiama “Shreddala” ed è in assoluto uno dei lead che ho utilizzato di più del G3. La parte è un tour de force in String Skipping. C’era un chitarrista degli anni novanta che si chiamava Joey Tafolla; forse la sua verve compositiva non era esattamente accostabile a quella dei Beatles. Ma tecnicamente ha esplorato delle soluzioni egregie su pentatoniche e salti di corde. Tanto che alcune sue intuizioni vivono ancora nel chitarrismo di nomi contemporanei come Govan, Sfogli o Loureiro. Io lo studiai molto e questi sono dei passaggi che senz’altra devono qualcosa al suo stile.