Roberto Spadoni propone una vasta gamma di progetti originali e di programmi musicali ispirati al repertorio dei grandi compositori jazz e classici. Ha pubblicato per . due volumi: "” e “”. ().
L'armonia può sembrare complicata ma, se adeguatamente schematizzata, può essere facile da capire e ricordare. Qual è stato il suo approccio verso la schematizzazione dei concetti?
L’armonia non è complicata, è una cosa meravigliosa!
Il punto è che non bisogna semplicemente memorizzarne regole e schemi, è necessario “sentirla” interiormente, impossessarsene. È una pratica del tutto artigianale che si acquisisce con costanza, passione e pazienza: la schematizzazione nel mio caso è avvenuta per affrontare, da autodidatta quale sono, per fare un po’ di ordine e darmi delle tappe di studio. È stato come addentrarsi sempre più in un territorio ampio, aperto e intricato allo stesso tempo. Ho imparato tanto studiando i grandi maestri del jazz, improvvisatori e compositori, le loro opere (registrazioni e spartiti) sono state i miei libri di testo.
Fondamentale è stato anche il continuo riscontro che ho cercato sul mio strumento di elezione, la chitarra. E poi da subito mi sono appassionato alla storia del jazz e della musica in generale, perché tutte le arti necessitano di un contesto: quello che oggi può apparire scontato in un brano di Ellington, Parker, Monk, Mingus e di tanti altri, ha apportato delle svolte rivoluzionarie nella storia del jazz. Questo vale per tutta la musica, da Bach a Hendrix, da Ravel a Piazzolla: avere un’idea precisa del contesto in cui si sono sviluppate le loro opere aiuta a penetrarle con più consapevolezza, anche dal punto di vista dell’armonia.
Tante delle conoscenze che ho acquisito sul campo le ho condivise con i miei studenti e successivamente raccolte nei due volumi di Jazz Harmony, pubblicati da Volontè&Co.
So che i due volumi sono nati "sul campo" e raccolgono anni e anni di esperienza di insegnamento. Immagino lei sia per uno studio dell'armonia più pratico che teorico, è corretto?
L’armonia è una scienza inesatta. Non esistono regole scritte che possano essere assolute. E non va intesa come materia teorica: lo è forse per chi affronta studi classici di strumento e spesso non ne ha un riscontro pratico, in quanto l’impegno è tutto incentrato sulla tecnica, l’esecuzione e l’interpretazione di musica scritta, senza doverne necessariamente catturare gli aspetti armonici. Questa è una cosa che mi ha sempre colpito: come si fa a studiare – spesso con grande perizia – Mozart, Chopin o Prokofiev senza cercare di capirne profondamente anche il percorso armonico.
Nel jazz l’armonia è materia pratica e viva: chi pratica questa musica deve sempre essere perfettamente orientato su tanti parametri (ritmo, costruzione melodica, forma etc) tra cui lo sviluppo armonico in corso. Su questo poi il jazzista interviene attivamente producendo sostituzioni e riarmonizzazioni in tempo reale.
Nei miei testi faccio ricorso continuamente alla teoria degli armonici naturali, che rappresentano il modo in cui si dispongono i suoni con naturalezza: sono una legge della fisica e della natura, come i principi della termodinamica o la forza di gravità. Assecondarli o contraddirli vuol dire entrare in contatto profondo con la conoscenza dell’armonia: nei miei corsi presso il Conservatorio di Benevento o Siena Jazz University, è sempre uno dei primi argomenti che approfondisco. Da lì deriva tutto il resto. E cerco di dare un assetto molto pratico ai miei corsi, con continue verifiche sul repertorio e esercitazioni, tutte da suonare oltre che da scrivere.
Come è riuscito a trasformare in scritto, teorizzare quindi, qualcosa che nasce da un punto di vista pratico?
L’insegnamento mi ha “costretto” a rendere chiari tutti i concetti che provengono dalla pratica musicale. Da questo punto di vista, sono molto grato ai tanti studenti che ho avuto la fortuna di formare, perché mi hanno fornito un continuo riscontro ai percorsi di studio che ho proposto loro. Ripeto incessantemente che il cerchio si chiude quando ognuno di loro mette mano agli strumenti e prova in prima persona ciò che trattiamo a lezione: la comprensione profonda dei meccanismi dell’armonia, della composizione o dell’arrangiamento si conquista quando tutti gli elementi entrano a far parte del proprio linguaggio e bagaglio musicale. Anche quando insegno chitarra, cerco di dare un approccio consapevole e conoscitivo agli studi, illustrando quanto ampio può essere l’orizzonte del chitarrista che conosce profondamente l’armonia sul proprio strumento.
Quale consiglio si sente di dare a chi vuole approcciare l'armonia jazz essendo magari completamente a digiuno?
Il jazz nasce come musica non accademica: la scuola per tanti decenni sono stati i colleghi più esperti, i maestri eletti sul campo, i concerti, le registrazioni. Quello che oggi si può fare è affiancare idealmente quei musicisti ascoltando, trascrivendo, suonando insieme a loro, catturandone le idee e farle proprie. Mi capita talvolta di avere studenti che studiano il jazz senza ascoltarlo e conoscerlo: questa è una assurdità che può generare solo insoddisfazione, frustrazione e altri sentimenti negativi. La manualistica è abbondante, c’è l’imbarazzo della scelta: il Jazz Harmony volume 1 e 2 ho cercato di articolare una metodologia che possa guidare il neofita come il professionista, lo studente o il docente o l’appassionato autodidatta, mettendomi nei panni di ognuno di loro. Il successo che questi testi stanno avendo mi suggerisce che l’obiettivo è stato raggiunto, ma non voglio montarmi la testa: con la massima umiltà ho iniziato a lavorare alla stesura del terzo volume che svilupperà ulteriormente questa bellissima area delle discipline musicali.
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