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Signature: quando la firma ha anche un senso
Signature: quando la firma ha anche un senso
di [user #910] - pubblicato il

Capita che uno strumento signature sia semplicemente una chitarra con su una firma, ma a volte succede di scovare un vero gioiello che, filtrato dai gusti di un artista di talento, regala esattamente quello che si aveva in mente, ma che ancora non esisteva.
Da quando esistono i guitar hero, la semplice (e pia) illusione che uno strumento che riporti da qualche parte la firma del nostro beniamino ci consenta automaticamente di acquisire il suo suono e le sua attitude è bastata ad accendere in molti di noi la ben nota sindrome di acquisizione.

Gli strumenti signature si possono dividere grossolanamente in due famiglie:
- Quelli che ripropongono in maniera assolutamente fedele (almeno nelle intenzioni) un particolare strumento utilizzato in un preciso momento storico da un musicista “mito”. Per esempio, le riproduzioni di Pearly Gates o Beano, due famose e ambite Les Paul prodotte in serie limitata dal Custom Shop Gibson, con tanto di invecchiamento più o meno pesante e graffi fotocopiati dagli originali (ma ci sono dozzine di altri esempi). Spesso sono strumenti “normali”, cioè di serie, resi iconici dall’associazione con artisti di fama. Ma molto costosi.
- Quelli che replicano uno strumento che un musicista famoso ha personalizzato in maniera tale da renderlo in qualche modo unico, o perlomeno riconoscibile. E costoso.

Siamo onesti, soprattutto nella seconda categoria nella maggior parte dei casi il marketing la fa da padrone. Spesso per definire uno strumento “signature” basta davvero che ci sia semplicemente la firma di qualcuno. O un colore fuori serie, un adesivo, un intarsio, dei pickup o delle meccaniche differenti. Niente che giustifichi i notevoli esborsi richiesti per l’acquisto, secondo me, ma ognuno è libero di spendere i propri soldi come meglio crede.
A volte però le signature sono veramente strumenti particolari.
E qui entra in gioco la nuova arrivata, scelta e cercata con cognizione di causa e un po’ di pazienza.

Signature: quando la firma ha anche un senso

Da sempre sono legato alla Les Paul, per quanto ami e suoni volentieri quasi tutte le chitarre.
Ma con la ‘Paul sono a casa, nonostante i suoi intrinseci difetti - uno su tutti l’accesso alle posizioni più alte della tastiera: soffro un po’, ma ne vale la pena.
A chi sta per commentare con un bel “… e il SOL che si scorda” chiedo cortesemente di lasciar perdere, ed eventualmente dedicare questo tempo a mettere meglio a punto meccaniche, montaggio delle corde, cura e manutenzione del capotasto. A me il sol non si scorda. Non più che sulla Stratocaster o sulla Telecaster, in ogni caso.
Digressioni a parte, nel tempo mi sono fatto un’idea piuttosto precisa di come deve essere fatto il mio strumento ideale.

- Les Paul. E chi sennò?
- manico FAT ’50: una mazza da baseball con tasti medium, ben lavorati.
- ponte wraparound: lo voglio semplice, ignorante e solidissimo.
- meccaniche di qualità.
- P90. Uno. Dinamico. Espressivo.
- Volume e tono: precisi, fluidi e graduali, silenziosi e affidabili.
- magari una tastiera in ebano, perché no?

Unico problema: esiste, ma è disponibile solo in edizioni limitatissime e costose del Custom Shop, o da ordinare su misura. Sì, ciao.

Poi scopro casualmente un artista americano che non avevo mai sentito: Jared James Nichols.
Molto bravo, con una tecnica spettacolare senza plettro e... con la chitarra come la voglio io!

Inizialmente è una Les Paul Custom vintage (vera!), che lui ha pesantemente modificato per i propri scopi. Un crimine per molti, ma basta sentirlo e vederlo suonare per comprendere che sa perfettamente quello che fa.
Si meriterebbe una signature Gibson, ma per ora gli hanno proposto una Epiphone e lui ha accettato volentieri (due volte). Però pare che sia stato capace di imporre veramente le sue convinzioni e il risultato del primo modello, in edizione limitata e rapidamente esaurita, è stata la Old Glory, replica piuttosto fedele della sua storica vintage customizzata, recensita anche qui su Accordo.
Le sue caratteristiche peculiari ci sono tutte, dal manico enorme al P90 Dogear (un ottimo Seymour Duncan). Verniciatura nera “aged” (una sorta di satinatura) e retro della paletta bianco, inconfondibile.
Due soli difetti, se così si può dire: l’orribile (per me) paletta Epiphone e la serie DAVVERO limitata. Le pochissime che si trovano nell’usato spesso costano più del nuovo.
Questo deve avere convinto Epiphone della bontà del progetto, che ha avuto una seconda puntata.
E così è nata la seconda serie, sempre limitata, che questa volta si chiama Gold Glory.
Non serve spiegare perché, basta vedere una foto.

Signature: quando la firma ha anche un senso

Decisamente esagerata, il contrario del sobrio black della prima, che sinceramente avrei preferito. Questa volta però c’è anche la nuova paletta open book della serie Inspired by Gibson: quasi bella (e con il retro nero).

Signature: quando la firma ha anche un senso

Anche di questa si è già parlato.
Andata a ruba anche questa, non si trova quasi più. Ne ho vista una su Reverb, una in un negozio canadese, e poco altro.
Una volta tanto però i pianeti si sono allineati e, proprio in concomitanza con la vendita di un paio di cosine, ne compare una a un prezzo onestissimo sul noto mercatino, e ora è qui con me.

Ammetto di non essere mai stato un fan di Epiphone. Il confronto con “the real thing” non è mai stato equo (e ne ho avute e provate diverse). Anche il prezzo mi è sempre sembrato eccessivo in rapporto alla qualità e ad altri competitor della stessa fascia.
In questo caso invece sono soddisfatto. Anche il prezzo del nuovo, tra i 650 e i 700 euro, mi sembra giustificato per uno strumento del genere. A parte la sua unicità, la costruzione è ottima, le finiture davvero buone, i materiali di qualità (mogano - anche il top - e ebano), elettronica di prim’ordine, hardware basic ma valido (meccaniche Grover) e, ciliegina, una gigbag semirigida davvero robusta e ben fatta.

Signature: quando la firma ha anche un senso

La costruzione si riflette in una risposta armonica equilibrata e robusta, la chitarra risulta solida e stabile grazie all’azione combinata del mogano, del grosso manico, dell’ebano e del ponte wraparound.
La tastiera è comoda e precisa, il pickup è dinamico e articolato e, soprattutto, i potenziometri CTS lavorano alla perfezione, consentendo infinite sfumature che ti fanno dimenticare di avere bisogno di un altro pickup. Passare da una distorsione grossa e piena a un pulito sensibilissimo alla pennata è questione di un semplice ritocco del volume.

In tutto questo ho trovato un unico, piccolo neo: il P90 Dogear, che non può essere regolato (se non minimamente, agendo sui poli) in altezza, è un po’ troppo distante dalle corde.
Ma vi pare che mi faccio fermare da una sciocchezza del genere?
La soluzione c’è, semplice ed economica. Uno spessore sagomato come il pickup e il gioco è fatto.
Ma questa è un’altra storia.
Intanto sentite come canta, in mano a uno bravo.

chitarre elettriche epiphone gli articoli dei lettori gold glory jared james nichols les paul
Link utili
La Old Glory su Accordo
La Gold Glory di Jared James Nichols
Regolare i P90 Dogear
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