di aPhoenix90 [user #22026] - pubblicato il 20 febbraio 2011 ore 16:01
L'argomento "Sanremo" è diventato sempre più un taboo tra gli appassionati e non. Complice l'imbarazzo degli "intenditori" (o di chi ne fa le veci) di fronte alle solite canzonette commerciali, complici gli organizzatori che lasciano molto più spazio alla macchina dello spettacolo piuttosto che alla musica, complici le "losche" azioni commerciali delle case discografiche, complici i presentatori sempre meno preparati a dirigere il grande sistema.
Ci eravamo lasciati nella rabbia e indignazione di fronte ai televoti pilotati e all'ennesima battaglia tra reality show, tanto che quest'anno si sentiva quasi aria di rassegnazione di fronte al sistema («tanto vincerà quella di Amici»). In ogni caso non riusciamo a privarci totalmente dell'evento, non possiamo rinunciare anche solo a una sbirciatina, è più forte di noi. Forse per un antico sentimento di attaccamento all'attività artistica italiana (non tutti i Paesi possono permettersi il lusso di avere un proprio Festival della Canzone). O forse semplicemente perchéSanremo è Sanremo.
Di fronte alla carrellata di canzoni previste da una scaletta traballante (a causa dell'impreparazione di chi era chiamato a tenere le redini), sono rimasto sorpreso dalla canzone di Roberto Vecchioni: non la solita predica che ci si aspetta dagli artisti di un tempo, non il solito testo alla ricerca della provocazione e dello scalpore (perché ultimamente vigeva il principio de "l'importante che se ne parli"). Insomma c'era un qualcosa che mi ha preso. Ho cercato di concentrarmi sulle parole, e per quanto alcune mi siano sfuggite, le ho trovate piacevoli. Una rilettura attenta del testo ha portato alla luce una sorta di poesia tesa all'analisi di questa Italia che zoppica ma che reagisce sempre.
Da La Stampa di oggi:
Il Professore ha vinto. Viva il Professore. L'espressione incredula di Roberto Vecchioni che a notte fonda riceve la statuetta con il leone e la palma per la poesia in musica "Chiamami ancora amore", cancella le troppe chiacchiere dei pochi detrattori.
Quello di Roberto è stato un compito difficile ma svolto egregiamente grazie a una classe unica: «A casa evidentemente hanno apprezzato - ha detto lui - che la mia canzone parlasse delle speranze degli studenti, delle paure del presente, di tutti noi». Un grande risultato che farà, si spera, da apripista. D'ora in poi siamo certi che il Festival accoglierà i testi e le note di altri, bravi, cantautori italiani che vorranno mettersi in gioco. Un gioco che si può perdere (anche se il Professore dice: «non capisco le eliminazioni, se tu inviti uno a pranzo poi non lo puoi cacciare») ma si può anche vincere con grazia e talento, misura e cuore. «La prima sera ero emozionato - ha detto sul palco, dedicando la canzone alla moglie Daria Colombo - ma in quei quattro minuti non mi sono mai sentito solo perché amore c'era quel filo che mi lega a te da 30 anni». Alla fine dell'esibizione di ieri e a trentotto anni esatti dal suo primo Sanremo, Vecchioni è stato lungamente applaudito in sala stampa. Un battimani da addetti ai lavori perfettamente simile a quello «più elegante» della platea. Tutti emozionati. Come si fa a non emozionarsi quando si ascoltano strofe così: «Per l'operaio che non ha più il suo lavoro/per chi a vent'anni se ne sta a morire in un deserto come in un porcile/Perché le idee sono come farfalle che non puoi torgliergli le ali/perché le idee sono come le stelle che non le spengono i temporali». Il pubblico ha televotato una canzone che si è ritagliata un posto importante nella lunga discografia del cantautore attraverso perle come "Luci a San Siro" o "Samarcanda". A questi classici oggi bisogna aggiungere "Chiamami ancora amore".
Infine, la collaborazione con la PFM ha dato vita a un'esibizione meravigliosa.