sarò lungo, vi avverto. ma cosa non si fa per combattere la gas con armi non convenzionali. uno degli stratagemmi è far partire il gulliver in tutta una serie di tour de force algebrico-economici ed ipotesi complottistiche sugli strumenti che gli USA riservano al mercato straniero. andiamo con ordine. poniamo ad esempio l'ipotesi che io cominci a gingillarmi con l'idea di fare un acquisto di quelli che poi ti lasciano a secco per un bel po' di tempo e impongono di liberarti di almeno un proprio strumento, perlopiù molto amato per fare cassa. allora si attiva un meccanismo automatico della mente che comincia a porre una serie di obiezioni più o meno plausibili, più o meno fantasiose per inibire il malo passo. ecco, la sto prendendo molto alla larga, ma vorrei porre il caso, puramente teorico, che io voglia impossessarmi di uno di quegli strumenti che finora hanno risieduto unicamente nei miei sogni, una martin OM 28v. facciamo un po' di matematica. dovessi risolvermi a comprarla nella mia città ci sarebbe il piccolo dettaglio che costa intorno ai 2880 euro. in america costa sui 2451 dollaroni, che in euro fanno 1712. la differenza tra lo strumento americano e quello italiano è di 1168 euro. secondo quanto ho letto in giro, parrebbe che l'ammontare medio delle tasse doganali + spedizione e altre varie ed eventuali, per uno strumento spedito dagli USA in italia può arrivare a un terzo del prezzo, ovvero circa 570 euro. il che sarebbe comunque meno della metà della differenza di cui è caricato lo strumento italiano. fin qui, la matematica. certo c'è l'azzardo di comprare uno strumento che non si è mai provato, azzardo per me inconcepibile fino a poco tempo fa, e le lunghe e angosciose notti insonni dell'attesa, immaginando aerei che cadono e casse che si schiantano.
ma secondo le ipotesi complottistiche di cui accennavo in testa, c'è chi pensa, anzi giura e spergiura che c'è una differenza sensibile tra la qualità degli strumenti che martin (o altro produttore statunitense) riserva al proprio mercato interno, a svantaggio di quelli destinati all'estero che, pur non potendosi considerare scarti di produzione, non sarebbero all'altezza dei fratelli che restano in patria. al di là dell'attendibilità di queste voci e dell'effettivo scarto di qualità che potrebbe essere molto meno drammatico di quanto si pensi, l'ipotesi di una soglia di 'protezionismo' sul mercato interno USA rischia di non essere poi tanto implausibile, almeno in linea di principio. insomma, sempre restando nell'iperuranio delle idee, comprare dall'america mi sembra un'opzione sempre meno irreale. non so quando e cosa, ma prima o poi la montagna potrebbe cominciare ad avviarsi verso maometto.