In effetti era da tempo che volevo provare qualcosa di diverso ma, fino a che nella mia testa il tutto non si è concretizzato in un nome, la mia fedeltà non ha vacillato più di tanto. Poi, dopo un po' di letture a caso, alcune qui su Accordo, scopro una possibilità interessante e decido di vedere se si può fare il passo. Una prova in negozio, poi un'altra cercando di dare a me stesso il motivo per cui due americane nella stessa casa non possono vivere, ma alla fine cedo.
Alla mia età mi sorprendo ancora di tornare a casa con il cuore che batte e i gridolini che mi si strozzano in gola per la smania di provare quella che ho scelto per perpetrare il mio tradimento, ormai compiutosi, e che si chiama Fender Stratocaster American Special.
Già da queste parti se n'è parlato più che alla nausea, quindi questa non vuole essere proprio una recensione, piuttosto un racconto delle mie impressioni da più che ventennale Gibsoniano convinto.
La scelta, alla fine, si era ristretta fra i modelli Mexico e American Special, poiché le American Standard e Deluxe erano comunque fuori budget. A parte l'opinabile fattore estetico (per me la Strat È il palettone, che io guarderei per ore come i fianchi di una bella donna) la scelta è arrivata dopo averla presa in mano.

Si è detto spesso che questa serie soffre un po' di incostanza nella qualità produttiva e in effetti mi sembra così. La prima che ho provato, stupendo colore rosso metallizzato, aveva la verniciatura poco accurata, una regolazione approssimativa, non mi calzava. Devo dire che quest'ultima impressione me l'hanno data anche tutte le Mexico che ho provato.
Poi il colpo di fulmine. Un sunburst dall'ambra scuro al nero che non mi sarei mai aspettato di amare, un'action non troppo bassa ma comoda sui tasti jumbo che danno tanta sicurezza davanti al manico cicciotto e arrotondato e una finitura satinata di tastiera e manico lontana anni luce (mi dispiace dirlo) dall'appiccicosità della verniciatura nitro della Les Paul.
E poi il suono. Stratocaster al 100%. Al di là della scritta Texas Special che si legge sull'etichetta, sono le orecchie che giudicano. Grintoso, sporco abbastanza quando si maltrattano le corde, passando dall'acido al dolce, al cristallino, al nasale, allo scuro spostando il selettore da ponte a manico e poi con mille altre sfumature giocando un po' sui controlli del tono e del volume.
Non è da paragonare alla cremosità e pienezza degli humbucker della Les Paul, ma è un suono che, anche con meno volume, spicca facilmente e cesella arpeggi, ritmiche e assolo senza problema alcuno. Leggera e maneggevole come solo chi viene da anni di Les Paul può capire.
Per quanto riguarda gli aspetti minori, posso dire che il setup era già abbastanza preciso, solo qualche piccolo aggiustamento, la verniciatura non è delle migliori (in qualche punto si vede in controluce la tessitura delle venature del legno), ma è probabilmente uno degli aspetti sui quali si consegue il risparmio cercato.
A questo proposito, sapevo che non sarebbe stata fornita di custodia rigida, ma anche questo mi ha sorpreso. La custodia imbottita, che porta il logo Fender solo nelle etichette, è molto ben fatta e dà un buon senso di protezione, molto comoda da portare a spalla, soprattutto quando ci si sposta con altre cose da trasportare.
Se può servire a qualcuno che non è molto convinto di questo modello, il mio giudizio è favorevole al 2000%. Una Fender USA al costo di una Mexico con finiture molto buone, un suono e una suonabilità al top, un colpo di testa del quale non ci si può pentire.
Ora suono, a casa e col gruppo, con tutti e due questi gioielli che hanno fatto almeno il 90% della storia del rock (solo del rock?), con l'amore fedele dovuto alla moglie e la passione coinvolgente che scatena l'amante, senza sentirmi per niente in colpa. Le faccio convivere alla grande con la certezza che ci sono cose che non passano, che non sono mai di moda perché non ne hanno bisogno, perché passerà il tempo e loro saranno sempre lì a guardare, con l'aria sufficiente che solo le leggende possono avere, tutti quelli che si sbattono per ritagliarsi un posticino in quella storia che però è già stata scritta.