E sempre allegri bisogna stare che il nostro piangere fa male al re fa male al ricco e al cardinale diventan tristi se noi piangiam!
Si sapeva che fosse malato e che lo fosse da tempo. In occasione dello speciale a lui dedicato da Fabio Fazio nel dicembre del 2011 era comparso soltanto alla fine, giusto per cantare un paio di pezzi, ed era parso evidente a tutti che stesse male. Ma lo spirito c’era eccome e così la voglia di far musica col figlio e con alcuni degli amici di sempre: Dario Fo, Ornella Vanoni, Cochi e Renato, Paolo Rossi, Teo Teocoli, Roberto Vecchioni e molti altri. Dopo una lunga malattia, Enzo Jannacci se n’è andato stasera nella sua Milano verso le 20.30, circondato dalla famiglia.
Padre di origine pugliese e madre lombarda, Vincenzo Jannacci è nato a Milano il 3 giugno del 1935. Al liceo Manzoni conosce Gaber (suo “fratello”, come lo aveva definito lui, la persona con cui ha stretto un sodalizio durato quarant’anni e che giusto la morte poteva sciogliere) e si laurea in medicina all'Università degli Studi di Milano, specializzandosi in chirurgia generale. Ha esercitato la professione di medico chirurgo per qualche anno, ma il richiamo della musica è stato più forte: dopo aver frequentato il conservatorio di Milano, ha cominciato la sua avventura nel jazz, che lo ha portato a suonare con artisti del calibro di Stan Getz, Chet Baker, Gerry Mulligan, Bud Powell e il nostro Franco Cerri. Poi la canzone popolare, con quel nuovo linguaggio surreale che lo ha reso una figura senza precedenti nella storia della musica italiana, e da allora un crescendo di popolarità e quasi una trentina di dischi. E ancora il teatro, il cinema, la tv lo hanno reso una figura amatissima e insostituibile.
Amava parlare dei poveri, degli emarginati, di storie ai confini della realtà spesso ambientate nella sua amata Milano (il suo disco di esordio, pubblicato nel ’64, si chiama proprio “La Milano di Enzo Jannacci”), di cui ha immortalato un’epoca ormai lontana, in cui la città era in crescita ma ancora a misura d’uomo, popolata da personaggi eccentricamente romantici e pulsante di poesia.
Estroso e spontaneo come nessuno, rimane uno dei più grandi interpreti della canzone italiana e di quella dialettale: “El portava i scarp del tennis”, "Ho visto un re", “Vincenzina e la fabbrica”, “Mexico e nuvole”, “Quelli che”, "Vengo anch'io/no tu no", "E la vita, la vita" scritta con Cochi e Renato (giusto per pescarne qualcuna a caso nel mucchio) sono ormai imprescindibili pezzi del canzoniere italiano.
Surreale cantautore, folle cabarettista, medico, genio.
Ora su internet non si parla d’altro, perché ci manca già terribilmente.
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