Bruce Springsteen - High Hopes ascoltato in anteprima
di LaPudva [user #33493] - pubblicato il 02 gennaio 2014 ore 14:30
Che si sia trattato di un errore o di una strategia volta a fare di questa uscita un "caso", il nuovo disco di Bruce Springsteen atteso per il 14 gennaio prossimo è stato messo in vendita in mp3 per qualche ora da Amazon e sta già facendo parlare di sé in tutto il globo. Ne abbiamo approfittato per un'anteprima traccia-per-traccia.
Che si sia trattato di un errore o di una strategia volta a fare di questa uscita un "caso", il nuovo disco di Bruce Springsteen atteso per il 14 gennaio prossimo è stato messo in vendita in mp3 per qualche ora da Amazon e sta già facendo parlare di sé in tutto il globo. Ne abbiamo approfittato per un'anteprima traccia-per-traccia.
High Hopes è un disco che vede Springsteen immerso in diversi setting musicali, come lui stesso ha anticipato sul suo sito internet: brani incisi molti anni fa ma scartati dai dischi ai quali erano destinati, come pure incisioni di brani già eseguiti dal vivo, cover di brani altrui e proprie, ciò che è confluito in questo lavoro è stato realizzato in anni diversi a Los Angeles, Atlanta, New York, Sydney e nel New Jersey, insieme alla E Street Band (inclusi gli scomparsi Clarence Clemons e Danny Federici) e altri musicisti, tra cui Tom Morello, chitarrista dei Rage Against The Machine che, in seguito a una collaborazione live in Australia col Boss nel 2013 in sostituzione di Steve Van Zandt, è diventato il vero animatore di questo progetto.
Un disco che nella sostanza non aggiunge nulla alla discografia springsteeniana, il cui culmine sembra ormai essere lontano, presenta tracce interessanti e altre decisamente trascurabili e non risulta possibile farne un’analisi di insieme, perché l’insieme è proprio ciò che manca. Sondiamo, dunque, il disco traccia per traccia.
La titletrack, "High Hopes", è una cover dei californiani Havalinas. Già incisa durante le sessioni per il Greatest Hits del 1995 e pubblicata l’anno successivo nell’EP Blood Brothers, è stata pubblicata come singolo del nuovo disco (il diciottesimo in studio per il Boss) lo scorso novembre, con un video che ne mette in evidenza alcune parole, a sottolineare la chiave di lettura dell’intero disco. Reincarnazione rock di un brano originariamente folk, è forse il pezzo più energico e trainante tra tutti, e conta sulla presenza corposa di fiati la cui assenza pesa in alcuni dei brani successivi, più scarni ed essenziali.
<<Stavo lavorando a un disco del nostro miglior materiale inedito degli ultimi dieci anni quando Tom Morello (che ha sostituito Steve nelle date australiane del nostro tour) ha suggerito di aggiungere "High Hopes" al live. [...] Ci abbiamo lavorato durante le prove e Tom ha fatto davvero paura! Verso metà del tour l’abbiamo reincisa agli Studios 301 di Sidney>>.
"Harry’s Place" è uno dei diciassette brani incisi nel 2002 per The Rising. Cupo e voluttuoso, venne escluso perché il testo, che narrava di loschi figuri intenti in loschi affari, dei “gangster” come li definisce lo stesso Springsteen, non si integrava troppo bene nel disco. Scopo di questa nuova uscita è proprio quello di dare un tetto ai tanti personaggi creati da Springsteen e lasciati senza dimora per anni. Tom Morello ha aggiunto le sue tracce di chitarra alla registrazione originale e fa un certo effetto sentirlo duettare col sax di Clarence Clemons, morto nel 2011.
"American Skin (41 Shots)" venne ispirato al Boss dall’uccisione di Amadou Diallo, studente liberiano residente a New York per motivi di studio, ucciso con 41 colpi di pistola da quattro agenti della Crimini Stradali nel febbraio del 1999 mentre tirava fuori dalla tasca il portafogli, scambiato per un’arma. Suonato dal vivo in diverse occasioni, è circolato in una versione in studio non ufficiale per anni. In brani come questo, l’intervento di Morello sembra davvero aggiungere qualcosa e contribuire alla resa globale. Una delle tracce più ispirate del disco, è anche una delle più emozionanti.
"Just like fire would" è la cover di un brano del 1986 dei Saints - una delle punk band australiane preferite da Springsteen - e incisa l’anno scorso a Sydney insieme a "High Hopes". Non sorprende che il Boss l’abbia gradita, perché potrebbe tranquillamente essere una sua ballata (e sicuramente richiama alla memoria molte altre ballad anni ‘80). Pur nel massimo rispetto dell’originale, questa versione risulta notevolmente più dinamica e raccoglie notevoli consensi quando viene eseguita dal vivo.
"Down in the hole" è un altro brano originariamente destinato al disco The Rising. Il nucleo del brano, dunque, è stato registrato nel 2002, con aggiunte per l’uscita di quest’anno. Brano insolito, che si apre con campionamenti di esplosioni (tuoni o spari?), voci di bambini e suggestivi cori di Patti Scialfa, per lasciare, poi, che la voce filtrata parli del ricordo di un amore. Strana compresenza di strumenti elettronici e acustici, con un solo di violino che, assieme al banjo che emerge sporadicamente, riporta il brano alle radici folk del Boss.
Col suo coro di voci black su percussioni molto funky, l’apertura di "Heaven’s Wall" ricorda più una puntata del '75 di Soul Train che un disco di Springsteen, ma dopo una ventina scarsa di secondi arriva Springsteen a riportare tutto nella dimensione della ballata. Qui è tutto un po’ bizzarro: oltre alla summenzionata apertura, il messaggio gospel sulla bocca di Springsteen, il violino che sembra un commensale non invitato e le chitarre di Morello che non trovano una collocazione in questo tourbillon. Idea originata tra il 2002 e il 2008, tutto sommato poteva rimanere sepolta.
"Frankie fell in love" è una ballatona rock country che riecheggia – forse anche troppo – molti brani del passato. Al massimo gradevole nella sua leggerezza e assai breve (2:45), presenta un testo altrettanto banale ma divertente (Romeo e Gulietta, l’innamoramento, l’essere impreparati alla vita insieme ecc.).
Il testo di "This is your sword", come "Heaven’s Wall", è una delle tracce che avrebbero dovuto confluire nel disco di gospel che Springsteen aveva in cantiere qualche anno fa, progetto poi naufragato. Testo forse un po’ troppo forzatamente didascalico, si accompagna a musica folk rock che non si priva di cornamuse.
In apertura, gli archi del nono brano del disco ricordano certe colonne sonore hollywoodiane degli anni 50, trasportandoci in una direzione ancora diversa, anche se solo transitoriamente. "Hunter of invisible game" è un lento con echi dylaniani e un testo evocativo. Niente di nuovo, neanche, invero, la capacità di creare una densa atmosfera rilassata e meditativa con un arrangiamento scarno.
La versione di "The Ghost of Tom Joad" presentata in questo disco è un autentico delitto. Il capolavoro del 1995 viene qui devastato dal nuovo arrangiamento elettrico e in particolare dall’invadenza delle chitarre di Morello (che duetta anche vocalmente col Boss), che lo privano del delicato equilibrio e anche dell’incredibile potere evocativo dell’originale versione acustica.
"The Wall" è un brano particolarmente caro a Springsteen, che lo ha proposto diverse volte dal vivo. Nato in seguito a una visita fatta con Patti Scialfa al Vietnam Veterans Memorial di Washington, il testo è stato ispirato da Walter Cichon, rocker storico del New Jersey che col fratello Ray fondò i Motifs, tra i primi idoli di Springsteen. "Ruvidi, sexy e ribelli, erano gli eroi che volevamo diventare. Ma questi eroi potevi toccarli e sottoporli ai tuoi quesiti musicali. Fighissimi ma sempre disponibili, erano un’ispirazione per me e molti giovani musicisti del New Jersey centrale negli anni ’60. […] Il personaggio in "The Wall" è un marinaio, mentre Walter era nell’esercito. […] È stato la prima persona al cui cospetto io mi sia trovato a essere imbevuta del mistero della vera rockstar. Walter è finito disperso in azione in Vietnam nel marzo del 1968. Si esibisce ancora abbastanza regolarmente nella mia mente. […] La sua è stata una perdita terribile per tutti noi, i suoi cari e la scena musicale locale. Mi manca ancora". Il resto è da scoltare.
Chiude il disco "Dream baby dream", cover dei Suicide, duo newyorkese nato nei primi anni '70 e conosciuti da Springsteen mentre frequentavano lo stesso studio della Grande Mela. Con questo brano, che ripete poche frasi essenziali ma cariche di significato, Springsteen chiudeva i concerti del Devils & Dust Solo Acoustic Tour, cantandolo come un mantra per salutare il suo pubblico con un messaggio di amore, proprio come fa in questo disco. Incisa nel 2013, è molto simile alla versione live del 2005, ma con l’aggiunta di strumenti e cori nella sezione finale.
Il disco manca sicuramente di coesione tematica e formale - aspetto che invece solitamente caratterizza i dischi del Boss - ma non potrebbe essere altrimenti, raccogliendo scarti di vecchi dischi e reincisioni di brani che hanno assunto diverse forme dal vivo. Se la presenza di Morello, elemento di novità che come si è detto ha animato l’intero progetto, in alcune tracce risulta funzionale e fresca, a tratti cozza notevolmente col sound genuino e caldo della E Street Band, risultando un corpo estraneo in seno a un omogeneo muro di suono.
Non è un disco esaltante, ma è un disco che si ascolta volentieri. Le critiche di chi vuole Springsteen costantemente alle prese con uscite discografiche per giustificare dei tour tutto sommato in questo caso potrebbero avere un fondamento. Sicuramente non lascerà solchi nella memoria dei musicofili, ma troverà una più soddisfacente controparte live, come sempre, nel caso di Springsteen.
Il disco uscirà ufficialmente il 14 gennaio - anche in un’edizione limitata che comprende un DVD con l’intero "Born in the USA" suonato dal vivo a Londra.
Tracklist
1. High Hopes (Tim Scott McConnell) – con Tom Morello 2. Harry’s Place – con Tom Morello 3. American Skin (41 Shots) – con Tom Morello 4. Just Like Fire Would (Chris J. Bailey) – con Tom Morello 5. Down In The Hole 6. Heaven’s Wall – con Tom Morello 7. Frankie Fell In Love 8. This Is Your Sword 9. Hunter Of Invisible Game – con Tom Morello 10. The Ghost of Tom Joad – duetto con Tom Morello 11. The Wall 12. Dream Baby Dream (Martin Rev and Alan Vega) – con Tom Morello