Nelle logiche di paese di qualche anno fa, quando ancora non c’erano i social, era solito conoscere le persone solo per soprannome, alcuni conoscevano anche i cognomi ma solo i compagni di scuola, i vicini di casa o quelli fermati insieme dai carabinieri. E così al bar c’erano Friz, Sba, Zio Franz, Joe tempest, Pax, Bonbon diversi Max, Tonino e tanti tanti altri. Spesso insieme al soprannome era comune aggiungere anche la provenienza o una caratteristica per distinguerli degli omonimi. Max del centro storico, Friz quello con la punto, Franz lo zio di qualcuno. Il massimo era poi quando insieme al soprannome e alla zona di residenza aggiungevi anche un evento importante, o un fatto misto a leggenda che identificava qualcuno in modo univoco. Tonino per esempio era quello che abitava “su in paese” quello che fin da bambino era in giro con la chitarra e che all’età di 14 anni circa, si dice, abbia ficcato la mano sinistra dentro la catena del motorino, mentre questo era accesso, staccando di netto o quasi tre dita della mano.
A questo punto la storia potrebbe finire qui, invece in un piccolo paese, fra la strettissima comunità di chitarristi e affini, nasce la stima. Tonino se ne frega, gira la chitarra e ricomincia a suonare da mancino. Un grande. Io l’ho conosciuto quando facevo i primi accordi e lui aveva 15 anni più di me, quando le jam non si chiamavano jam ma si diceva andiamo a suonare insieme. Quando invece della sala prove c’era il salone del cral e insieme a noi suonava pure l’amministratore delegato dell’azienda. La musica unisce. Non l’ho mai frequentato se non per suonare e per bere birra al parco castello del paese. E si parlava sempre e solo di musica. Musica, dischi e chitarre. Lui girava con una panda 750 bianca. Vestiva classico, mai un jeans. Una volta mi ha fatto provare la sua stratocaster degli anni 70 ma di solito suonava una semiacustica ibanez natural dentro ad un amplificatore fender valvolare che pesava come un armadio. So che era valvolare perché ricordo che quando l’accendeva ci voleva un po’ prima che suonasse e so che pesava come un armadio perché l’ho aiutato un sacco di volte a portarlo su e giù. Immancabile si portava dietro un sedia girevole. Non l’ho mai visto suonare in piedi. Non l’ho mai visto prendere un accordo o rifare due volte lo stesso solo di chitarra,. Non credo ne fosse capace. Non credo abbia mai preso lezioni o altro. Quando suonavamo faceva la melodia del solo molto simile all’originale dopodiché si perdeva via in un miliardo di note. Il jazz, la fusion, non lo so. Non credo conoscesse una scala che era una, ma suonava tutto intonato. Niente plettro solo il pollice della sinistra. Io mi concentravo sui miei accordi stringendo i denti sui barrè e sbavavo dietro la sua ibanez. Volumi da stadio. Batterista in delirio, perso anche a lui. Quante ore a suonare insieme. Il sabato pomeriggio. Le serate fino a tardi. Per me era solo Tonino e a quel punto era troppo tardi per chiedergli anche il cognome.
Poi le cose cambiano. Le amicizie cambiano e non basta improvvisare tutta la sera. Si deve andare avanti. Altro gruppo. Altre storie.
So per certo che era divorziato e credo anche avesse una figlia.
Quando l’altro giorno mi hanno detto che un certo Antonio Rossi, uno che abitava “su in paese”, non c’era più, non mi sono preoccupato.
Non conosco nessun Antonio Rossi.
La musica unisce.
Nota: il cognome è inventato. Tutto il resto è vero
|