di Pietro Paolo Falco [user #17844] - pubblicato il 25 settembre 2020 ore 07:30
La buca - o soundhole - di uno strumento acustico è d’importanza fondamentale per la sua voce e il suo volume, e c’è un motivo preciso se la si fa a forma di effe.
Con l’avvento dell’elettricità e delle tecniche di microfonazione o elettrificazione, il modo di progettare una chitarra è cambiato rapidamente e nel profondo. Prima di allora, però, l’unico sistema per donare maggior volume a uno strumento era ottimizzare la cassa di risonanza modificandone misure, materiali, spessori e progettazione in generale. Uno degli aspetti più evidenti - letteralmente sotto gli occhi di tutti - è la buca, valvola di sfogo delle vibrazioni amplificate dalla cassa.
Ogni strumento acustico richiede un foro praticato nella cassa per consentire alle onde sonore di raggiungere l’ambiente circostante con maggior volume e il timbro migliore. Forma, dimensioni e posizionamento di tali fori sono cruciali per ottenere un risultato efficace.
Sulle chitarre classiche e acustiche, una buca tonda posizionata sotto le corde è considerata uno standard. Sulle chitarre a top bombato, jazzbox e semiacustiche in generale, sono invece di gran lunga preferite due buche a effe, posizionate ai lati delle corde. Tale disegno, col quale le archtop sono nate oltre un secolo fa, è giunto immutato fino ai giorni nostri e la sua storia non è casuale.
La chitarra archtop ha ereditato le buche a effe dagli strumenti ad arco.
Dai violini ai contrabbassi, gli strumenti acustici a tavola arcuata in ambito classico adottano infatti le buche a effe in maniera pressoché universale. Questi particolari fori lunghi e sottili - con due riccioli alle estremità e un “fiocco” in gola - devono il loro nome alla forma simile a una lettera “f” scritta in corsivo.
La strada che ha portato alla buca a effe è stata lunga e graduale, ed è partita da un semplice foro.
Fino all’alto medioevo, gli strumenti antichi come la lira avevano infatti uno o più buchi circolari sotto le corde o ai lati. Si trattava del modo più immediato per consentire alle vibrazioni di uscire dalla cassa armonica.
Dopo l’anno mille, si registrano graduali transizioni verso progetti sensibilmente differenti. Tra il 12esimo e il 13esimo secolo la buca tonda si spezza a metà, i due semicerchi si posizionano ai lati del ponte con la parte piatta rivolta verso le corde: i liutai notano che una buca oblunga, non perfettamente circolare, genera più volume.
La superficie cava continua a ridursi nel tempo, ritagliando spazio dalla parte “dritta”. Questa indietreggia fino a raggiungere una forma a C nel 13esimo secolo.
La buca riceve per la prima volta delle primordiali “grazie” alle estremità tra il 15esimo e il 16esimo secolo. Ne è una testimonianza la viola da gamba, nata nel 15esimo secolo e rimasta pressoché invariata da allora.
L’avvento del violino, nel 16esimo secolo, pone i costruttori dinnanzi a nuove scelte e possibilità. La cassa più affusolata e sottile del violino poco si adatta alla tondeggiante C dei vecchi cordofoni del periodo di transizione, nonostante la forma fosse stata già assottigliata e slanciata e avesse ricevuto un’ulteriore grazia nel mezzo.
Qui le ipotesi circa il percorso che ha portato alla rivoluzione della moderna effe sono numerose.
Secondo alcuni, i primi costruttori di violini si sarebbero limitati a sperimentare una nuova forma più aggraziata, rovesciando la porzione inferiore della C.
Secondo altri, la forma sarebbe un tributo al Duomo di Cremona, città legata a doppio filo alla storia e all’evoluzione degli strumenti musicali classici. In cima alla facciata della chiesa, infatti, è ancora oggi possibile notare due decorazioni a doppia spirale rovesciata, del tutto simili a buche a effe ma di gran lunga più antiche.
Alcuni recenti studi dimostrano però che la forma è tutt’altro che un mero vezzo estetico.
Gli artisti del Rinascimento erano letteralmente ossessionati dalla sezione aurea, sequenza geometrica derivata dalla serie matematica di Fibonacci sulla quale si basano elementi naturali come la disposizione delle foglie su un ramo o la forma del guscio di una lumaca. Studi sulla sezione aurea sono alla base di opere architettoniche, pittoriche, finanche della moderna fotografia. E anche degli strumenti musicali.
Stando ad alcune ricostruzioni, la forma della buca a effe deriverebbe dallo sviluppo di una sfera su un piano bidimensionale, come un’unica linea che ne percorre per intero la superficie con riferimenti alla sequenza di Fibonacci. Da qui la forma di due spirali contrapposte.
Secondo la leggenda, l’idea di una sfera scomposta sarebbe nata tra le mani di un liutaio intento a sbucciare una clementina in un’unica lunga striscia: una volta poggiata su un tavolo, questa prende esattamente la forma di una buca a effe. Non ci è dato sapere quanto ci sia di vero in questo racconto, ma l’esperimento è di fatto un modo facile e veloce per comprendere lo sviluppo della sequenza di Fibonacci applicata a una sfera.
Sulla base di queste osservazioni, una squadra di ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) capitanata dal prof. Nicholas Makris ha provato a ricostruire la storia delle buche negli strumenti acustici e a scoprire così i segreti della misteriosa effe.
Secondo la pubblicazione, la forma a effe è in grado di generare il doppio del volume rispetto a una buca circolare come quelle adoperate sugli antenati del violino in uso fino al decimo secolo. La ragione sarebbe legata a precisi calcoli matematici e a leggi acustiche che possono essere semplificate con: “più allungato e sottile è il foro, maggior vigore avranno le vibrazioni in uscita”.
Una dimostrazione chiara di tale teoria è illustrata in questo articolo con le ricostruzioni della propagazione delle onde basate su un codice colore. È interessante notare il comportamento acustico della elaboratissima buca di un liuto.
A oggi non è possibile stabilire se la nascita della buca a effe sia dovuta a una fortuita casualità o se sia il frutto di un attento studio sull’acustica, le forme e le proporzioni dei fenomeni naturali. La scienza ci conferma però che quel singolare ed elegante ghirigoro è di fatto uno dei mezzi più efficaci per amplificare uno strumento acustico fin dal Rinascimento. E, come si dice, squadra che vince...