Qualche sera fa, mentre come al solito cazzeggiavo a caso invece di fare le triadi al metronomo, mi sono imbattuto in un salotto televisivo dal quale un sociologo arringava la platea con un discorso forse non nuovo ma sempre ficcante, che vi riassumo così: maledetti social, e in particolare Instagram, che innescano un perverso meccanismo di frustrazione e invidia. In pratica succede che apriamo i social e, di colpo, tutti - persino i nostri amici di una vita, quelli con i quali condividiamo le gioie e le sfighe - proprio tutti quelli che stanno dall’altra parte dello schermo ci sembrano più ricchi, più belli, più fortunati, più capaci, più popolari, più attraenti di fronte all’altro sesso, più rispettati… più tutto. Ovviamente il meccanismo funziona ancora meglio (facendoci quindi stare ancora peggio) se lo trasliamo da un contesto generico a quello specifico della nostra passione per le sei corde. Instagrammer e youtuber ci sembrano suonare da paura. Del resto è pure il loro lavoro, o no?
Qui tentavo di non soccombere alla beffarda arroganza di Felix The Cat, ma purtroppo ho dovuto arrendermi: con il banjo è un fenomeno.
Sono partito dai social, "lente distorta" per eccellenza, luogo in cui ciascuno tende a postare le sue foto migliori, i suoi video più riusciti, la migliore esecuzione di un assolo, un’esperienza bella e premiante. Ma il discorso va oltre Instagram, Facebook e TikTok. Si applica anche alla realtà "live". Io quando vedo gli altri suonare - e con “gli altri” non mi riferisco per forza a John Mayer o a Marty Friedman - immediatamente sento una stilettata del tipo “io quello non lo so fare”, “quel passaggio non è alla mia portata”, “che impedito che sono, appena arrivo a casa devo ricordarmi di dar fuoco a tutte le mie chitarre”.
Per non parlare poi dei suoni. Eh sì ragazzi, non vogliamo parlare dei suoni degli altri? Nove volte su dieci mi sembrano migliori dei miei: più credibili e pieni, meno slabbrati e acidi, più convincenti. Mi capita persino con il mio compagno di band, nonostante lui stesso o gli altri componenti del gruppo mi facciano spesso i complimenti per il mio sound. Quello che penso, in definitiva, è che la questione sia in gran parte psicologica: quando siamo noi a suonare, siamo ipercritici, perché abbiamo un’attenzione diversa, persino maniacale, per i più piccoli dettagli. Siamo attenti all’effetto di quella specifica regolazione, vogliamo apprezzare la differenza tra una micro-scelta e un’altra (un pedale messo prima di un altro, loop effetti o davanti all’ampli, per non parlare delle migliaia di variabili che entrano in gioco con i sistemi digitali) e ci perdiamo l’insieme. Chi ci ascolta invece ha la mente libera, non conosce (e non gli interessa) l'arzigogolato percorso che ha portato alla costruzione di quel suono. Chi ci ascolta, ascolta e basta.
E voi, cari Accordiani, che ne pensate? Capita solo a me di dover sorbire una bella dose di frustrazione quotidiana? Anche a voi i suoni degli altri sembrano migliori dei vostri? |