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Lap Dog Blues
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Essere liberi come un buco nella testa… La canzone in questione è di James Taylor, si intitola "Hey Mister that’s me upon the Juke Box", ed è stata incisa su uno dei capolavori del menestrello di Boston, ovvero, Mud, Slide, Slim & the Blue Horizon.
Hey mister, that's me up on the jukebox. I'm the one that's singing this sad song.
Well, I'll cry every time that you slip in one more dime,
and let the boy sing the sad song one, one more time.
Southern California, that's as blue as the boy can be,
blue as the deep blue sea, won't you listen to me now.
I need your golden gated cities like a hole in the head,
just like a hole in the head, I'm free.
L’ultimo verso è importante: "… just like a hole in the head, I’m free."
Essere liberi come un buco nella testa… La canzone in questione è di James Taylor, si intitola "Hey Mister that’s me upon the Juke Box", ed è stata incisa su uno dei capolavori del menestrello di Boston, ovvero, Mud, Slide, Slim & the Blue Horizon. Al di là dell’aneddotica e della bellezza del brano (che è enorme), i versi mi sono tornati in mente qualche ora fa, mentre divagavo sul concetto (non credo tutto mio) del Lap Dog Blues. Ovvero: del Blues del Cane da Salotto. E come sempre, ora vengo e mi spiego.
A mio parere, un Cane da Salotto non è un cane, e non è nemmeno un salotto. È l’emblema di una frustrazione. L’emblema di chi non ha autonomia decisionale. Un Cane da Salotto sta lì per gli altri, non per se stesso. Si fa accarezzare, prendere in braccio, cicciottare, si fa addirittura tirare le orecchie… ma non fa il suo dovere, ovvero non fa il cane. Non abbaia, non mugola, non guaisce, non piscia negli angoli alzando la zampa, e soprattutto prova a non deludere nessuno. È un cane che non dà fastidio, ovvero un cane senza personalità. Ora passo al nocciolo duro della questione. Il salto è notevole, ma ho fiducia in voi, perché so come siete. E perciò dico: io mi annoio a suonare i brani altrui.
Per Accordo alcuni li ho trascritti e arrangiati (e se avessi tempo, lo farei di nuovo). Ma Accordo è come la Mamma: la porti sempre nel cuore, e fai di tutto per renderla felice. Tuttavia, mi tocca confessare ora che salvo rarissime eccezioni, suonare le cose degli altri mi annoia. Che sia "La canzone del Sole" o "L’Aria sulla Quarta Corda", mi annoio uguale. Perché non sono (non mi sento) un chitarrista da salotto: voglio sempre dire la mia, parlare a modo mio, cioè essere un cane vero, o un salotto vero. Ma non voglio essere un ibrido.
Ora scatta la domanda cruciale: quanti di noi spesse volte si sono visti invitare a delle feste (raduni? assemblee?) attraverso la frase “Porta la chitarra”? Perché è proprio questa frase che fa scattare l’illusione di esistere. Si è portati a pensare (e so che siete d’accordo) che ci chiedano di suonare, di esprimerci, di produrre comunicazione. Invece no. Prima ti allettano dicendo “porta la chitarra”, poi pensano al juke-box, alla monetina che possono infilare e alla richiesta cui hanno diritto. O anche, ad aver noleggiato un chitarrista da salotto, che suona a comando. Per cui si sentono autorizzati a chiederti "Montagne Verdi", "Piccolo Grande Amore", "Alba Chiara", e roba simile. Qualsiasi cosa li faccia cantare. Mentre tu stai lì a sbavare per esprimerti nel modo che tu pensi sia per te migliore. Morale della favola: io non porto mai la chitarra quando me lo chiedono, e se la porto suono “a braccio”, come mi viene, senza fare canzoni di altri. Da Bach a scendere. E se qualcuno mi dice: “Da te non me lo aspettavo”, io rispondo: pazienza. Io suono per comunicare quando voglio comunicare. Altrimenti sto zitto. Tanty Graffy a Tutty PS: ma per voi, è meglio essere un Cane da Salotto o un rompipalle come me?
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