di Mario Monteleone [user #10] - pubblicato il 28 luglio 2015 ore 13:00
Una versione live del classico fusion di Miles Davis vede un assolo spettacolare di un giovane Mike Stern, ma quei suoni non furono apprezzati da tutti. Il jazzista americano ha vissuto tutta la sua carriera in continuo movimento, ma quanto paga questa scelta?
Jean-Pierre si chiama quel pezzo. Ed è inciso su We Want Miles del 1982. I musicisti di quell’album sono ovviamente Miles Davis, e poi Bill Evans, Marcus Miller, Al Foster e Mino Cinelu. Fin qui, tutto bene. Alla chitarra invece c’è un certo Mike Stern, un ragazzone americano di 29 anni, che nella versione dal vivo, di un anno prima, fa un assolo da pelle d’oca con una Strato Olimpic White, con tanto di distorsione... un assolo indimenticabile persino per un gibsoniano convinto come me.
Jean-Pierre è un pezzo bellissimo, a mio parere. Uno di quei pezzi in cui la grande capacità di sperimentare propria di Miles Davies produce forse uno dei momenti più importanti di sempre. Perché diciamocelo francamente: quale guru del jazz in quel periodo si sarebbe mai portato dietro un chitarrista che faceva fusion suonando la stessa chitarra di Eric Clapton? La collaborazione con Mike Stern dura fino al 1983. Insieme fanno quasi il giro del mondo. Ricordo chiaramente che nel 1989 un amico parigino, tastierista, mi disse che in Francia nessuno amava più tanto Miles Davis per via di quel periodo passato a fare (un po' di) fusion. Concordate? Dissentite? Meglio il Miles classico (ma esiste un Miles classico) o quello sperimentale? E poi, meglio l’ortodossia o la contaminazione? E si può rinunciare nel caso a un musicista che si ama solo perché devia leggermente dal suo tragitto compositivo, sperimentando qualcosa di nuovo?