di Don Diego [user #4093] - pubblicato il 11 febbraio 2016 ore 08:00
Gemelle nell'estetica ma invecchiate in modi diversi, le due Paisley in prova differiscono per pochi dettagli tra cui la finitura del manico nitro contro poliuretanica. Il modo in cui veniva realizzata la finitura unica delle due Telecaster del 1968 lascia a bocca aperta, e così anche il suono.
Se con l'articolo sulla nascita della Telecaster Paisley ho stuzzicato la vostra curiosità tenetevi forte, perché la storia della sua realizzazione è veramente curiosa e ricca di sfumature. Per farlo mi sono avvalso del contributo del preziosissimo Francesco Balossino, alias Cesco's Corner, collezionista, restauratore e assoluto esperto del mondo Fender. È lui che mi ha messo in mano i due esemplari di cui vi parlerò tra poco, ed è anche lui che ci racconta la curiosa storia dietro questa finitura.
Queste le parole di Francesco: "Fender nel 1968 decise di produrre una serie di Telecaster e di Precision Bass tagliando e applicando sul fronte e sul retro dei due strumenti (entrambi con la caratteristica di body piatti, senza contour di nessun genere) della carta da parati auto adesiva sui corpi verniciati del trasparente poliestere già usato come fondo per le chitarre Fender a partire dal 1967. Di fatto i corpi di queste chitarre apparivano, nelle fasi precedenti l’incollaggio della carta, con la finitura che oggi chiamiamo Natural, ma che in Fender non fu introdotta prima del 1972, anche se i primi esperimenti di Telecaster e Stratocaster con verniciature solo trasparenti si trovano nel 1968 con le chitarre in "all rosewood" e i prototipi in Zebrawood. Sono anni di ricerca e sperimentazione.
Dopo aver incollato la carta sui body natural veniva spruzzata una tinta argento sui bordi, che andava a richiamare l’argento della trama della carta Paisley, che veniva poi seguita da una mano di rosa intenso, quasi viola, trasparente (con la stessa tecnica con cui si ottiene il Candy Apple Red), per creare così un effetto tipo sunburst e nascondere l’assenza della carta Paisley sui bordi e l'incollaggio della stessa lungo il perimetro.
Al termine di tutto questo, l’intero body veniva verniciato con il trasparente nitro, che negli anni ingiallisce, trasformando l’aspetto della carta argento in oro, con un gradevole gioco di colori. L’inconveniente maggiore di queste finiture, ben noto agli appassionati, è che con gli anni la carta autoadesiva si può sollevare e il trasparente nitro non è sufficientemente rigido per poter bloccare questo processo. Anzi, crepandosi come gli accade naturalmente, arriva a far distaccare completamente la preziosa e rara finitura. Per questo motivo, trovare chitarre dell’epoca ben conservate è il sogno dei collezionisti perché si è di fronte a qualcosa di veramente unico.
L’effetto voluto da Fender era quello di uno strumento che sembrasse dipinto a mano, uno per uno. Ma le chitarre, seppur ben sponsorizzate nelle brochure dell’epoca, non riscossero il successo sperato e furono subito dismesse dopo appena due anni di produzione, che furono il 1968 e il 1969.
Fender vide l’esperimento come un flop commerciale, e invece le chitarre vennero riscoperte una ventina di anni dopo, grazie anche alle belle reissue costruite in Giappone a partire dal 1984. Le nuove reissue hanno eliminato il problema della carta adesiva utilizzando dei vinili adesivi che vengono stampati con già il motivo desiderato, perdendo però la caratteristica trama 3D che ha la carta originale, che veniva realizzata proprio su due layer differenti."
Le due chitarre sono da considerarsi due sorelle quasi gemelle. Entrambe sono uscite dalla fabbrica nel '68, una il primo semestre, l’altra il secondo. Differiscono solo di pochissimi dettagli.
La vecchia (chiamerò così quella del primo semestre) ha una finitura alla nitro sul manico quasi svanita o drasticamente assottigliata dall’utilizzo, cosa che non è assolutamente un dettaglio in negativo, anzi è il famigerato “feeling da manico suonato” che il 99% dei chitarristi cerca quando ha tra le mani uno strumento vintage o relicato (per me il motivo principale dietro alla ricerca di uno strumento relic quando salgo sul palco).
La giovincella (l’altra, anche se solo di sei mesi più giovane) ha una diversa finitura sul manico (poliuretanica) che la rende più plasticosa ma sicuramente più accattivante, se parliamo di estetica accoppiata alla finitura del body.
Parlando di suoni, le due chitarre sono mostruosamente simili e rispettose dei suoni del tempo in cui furono concepite. Quindi twang e brillantezza scoppiettante ci sono tutti, con manici veloci e super comodi. La vecchia ha semplicemente un leggerissimo sbilanciamento tra i due pickup, nel senso che quello al ponte esce leggermente di più dal mix generale, cosa che la giovane non ha, risultando più bilanciata e omogenea. Ma la pasta sonora è veramente simile e, credetemi, è una prerogativa molto difficile da trovare tra due strumenti, anche quando questi escono dallo stesso processo interamente meccanizzato (cosa che comunque non è avvenuta nel 1968 in quel di Corona).
Ascoltatevi i suoni e le sfumature nel video e credete alle mie parole: entrambe sono facilissime da suonare.
Prima di lasciarvi con i dettagli della registrazione, è doveroso ringraziare Francesco per la disponibilità e la competenza e Luca Chiappara (il contrabbassista che vedete e sentite nel video) per avermi aiutato a rendere meno sterile il test in questione. Le chitarre entrano tutte e due in un Fender Blues Junior con tutti i controlli a metà e un filo di riverbero. Per la ripresa audio ho preferito posizionare un condensatore nel punto dove un ipotetico ascoltatore si sarebbe messo per ascoltarne i suoni. Per il resto abbiamo pensato a suonare e a divertirci imbracciando due pezzi di storia tra le mani.
Buon divertimento... io mi sono già divertito!