Sono semplicemente formidabili, magnifiche, uniche e indecifrabili le alchimie alla base delle grandi collaborazioni musicali, soprattutto quando, come nei sistemi complessi, il “totale musicale” prodotto dalle interazioni – casuali, estemporanee, programmate o durature – fra i singoli musicisti si rivela incommensurabile. È difficile se non forse impossibile spiegare come funzionino queste alchimie. Ma vale la pena almeno provarci.
E perciò, oggi ho il piacere puro di raccontarvi di un episodio in cui queste formidabili, magnifiche, uniche e indecifrabili alchimie si sono nuovamente avverate per dare vita a un album di grande bellezza, pregio musicale, eleganza e raffinatezza. Un album in cui si incontrano due anime complesse, estremamente sfaccettate, con trascorsi diversi, anche geograficamente, generazionalmente, nonché armonicamente e tecnicamente. Due anime, tuttavia, non disomogenee o inconciliabili, unite come sono da una passione sconfinata per il jazz.
Gli “ingredienti alchemici” di quanto sto per raccontarvi sono: un chitarrista jazz classico, con un retaggio tecnico e storico ancora più ricco e completo di quello di Jim Hall, affiancato a un altro chitarrista jazz di una generazione successiva, che ama profondamente il jazz classico ma che è più influenzato dagli effetti che su di esso hanno avuto la musica mediterranea, sia essa araba, flamenca, o napoletana. Entrambi strumentalmente e passionalmente virtuosi, differiscono forse solo in due aspetti. La prima differenza è nelle tecniche di fraseggio: se volessimo utilizzare due parametri di paragone al di fuori della pratica chitarristica, diremmo che il primo ricorda i versi di Petrarca, o i sonetti di Shakespeare, mentre il secondo ricorda le strutture narrative dell’Ulisse di Joyce. Appunto, il jazz classico e il be-bop, che del jazz classico è figlio. La seconda differenza è nella scelta dei modi musicali: il primo è più vicino alle armonie di Joe Pass e Jim Hall, il secondo più a quelle di Tal Farlow e Wes Montgomery.
Questi ingredienti in sé già basterebbero a creare una collaborazione sistema musicale di grande interesse, e a produrre infinite aspettative in ogni amante della chitarra jazz. Tuttavia, a essi va aggiunta la creatività formidabile dei due chitarristi in questione, i quali sono in grado di “rivoltare come dei calzini” tutte le possibili indicazioni che il loro retaggio musicale gli mette a disposizione.
Il risultato di questa “mescolanza”, vi assicuro, è davvero unico e irripetibile. E potete trovare tutto ciò nel nuovo album di Franco Cerri e Antonio Onorato.
Sono loro i “proprietari” di questi ingredienti alchemici. E le loro versioni di standard come “Out of Nowhere”, “Corcovado, “Take the A-Train” o “Bluesette” grondano maestria, perizia, e soprattutto originalità aggiungendo, se fosse ancora possibile, altre e infinite emozioni interpretative a brani che forse abbiamo sentito già suonare da decine di altri musicisti. E poi, troviamo l’arrangiamento delicatissimo e filologicamente perfetto del classico napoletano “Munasterio 'e Santa Chiara” e il “Neapolitan Minor Blues”, un brano composto da Antonio Onorato in cui si fondono blues, jazz-rock e armonie napoletane pure. Oppure, se volete, potete farvi cullare dalla versione live di “Body and Soul”, in cui Antonio Onorato e Franco Cerri fanno sentire alto e forte il desiderio di “comunicare” al pubblico tutte le loro emozioni e sensazioni. Gli altri splendidi interpreti di tutto ciò sono infine Simone Serafini al contrabbasso, e Luca Collussi alla batteria. Fossi in voi, stasera andrei a seguire la presentazione dell’Album, alla Feltrinelli di Piazza Piemonte, a Milano.
Ora, vorrei provare a concludere con un pensiero che riallacci il passato recente al presente. C’è una canzone di Joni Mitchell che comincia con questo verso: “When Charlie speaks of Lester, you know someone great has come.” Si tratta di “Goodbye Porkie Pie Hat”, incisa su Mingus, del giugno del 1979, un album fusion, in cui suonano musicisti come Eddie Gomez, John Guerin, Phil Woods, Gerry Mulligan, Tony Williams, John McLaughlin, Jan Hammer e Stanley Clark. Il Charlie citato è Charlie Mingus, mentre Lester è Lester Young. Quell’album di Joni Mitchell è semplicemente bellissimo, perché è in grado di fondere tante cose diverse, producendo un insieme omogeneo, molto più ricco degli ingredienti di partenza. Ecco: il CD di Antonio Onorato e Franco Cerri appartiene a questo tipo di “fusione”. È un grande album, inciso da due grandissimi musicisti, unici al mondo nel loro modo di essere. E il totale musicale prodotto è da gustare a lungo. |