Nonnomatteo: un disco solista ed una cover di Joe Satriani
di Nonnomatteo [user #49529] - pubblicato il 03 settembre 2020 ore 19:37
A poche settimane dall'uscita di "Guitarists like me" ho avuto il piacere di fare due chiacchiere con Matteo Totaro Moretti. Ecco cosa ci siimo detti.
1. Anche nei musicisti che solitamente compongono i brani in una band in cui suonano prima o poi nasce il desiderio di “uscire dal gruppo” e scrivere un disco solista… Se non viene dalla necessita di affermare le proprie idee da dove pensi che scaturisca questa esigenza?
Suonare in una band è una faccenda assai complicata: quando i tuoi musicisti sono persone pagate da te il problema non si pone; è un accordo commerciale, e chi paga (il cliente) ha sempre ragione. La figlia del dottore è un’altra storia; abbiamo iniziato come tre amici con la voglia di suonare insieme e dopo 10 anni siamo ancora noi tre con tanta voglia di suonare insieme. Anche se mi capita di scrivere la maggior parte del materiale questo non mi da nessun titolo per imporre le mie idee; ogni canzone nasce scontrandosi con la personalità di Pino e Davide: ci capita di spendere due ore in accese discussioni solo per decidere un rivolto o una risoluzione di un accordo.
Il desiderio di scrivere e registrare un disco da solo (si tratta di un EP in realtà) è stato più un “opportunità” legata al periodo di quarantena che abbiamo vissuto tra Marzo ed Aprile: non ho mai avuto così tanto tempo libero dai tempi del liceo, così ho iniziato a buttare giù delle idee, a ripescarne qualcuna che non avevo cancellato del tutto.
2. In che modo quest’album solista ha cambiato il tuo approccio alla scrittura e il tuo rapporto con la sala di registrazione?
crivere, registrare e mixare un disco da solo comporta molti vantaggi, ma anche molte insidie. Da un lato riesci ad essere totalmente libero senza dover cedere a nessun compromesso (“Guitarists like me” potrebbe sembrare un insieme di canzoni di generi differenti per quanto sono eterogenee); d’altro canto si rischia di cadere nel compiacersi, autocelebrarsi ed accontentarsi del proprio lavoro … anche se mediocre. Più che cambiare il mio approccio questo album mi ha reso ancora più convinto che le opere “corali”, quelle in cui ci mettono le mani molte persone hanno una marcia in più! Le idee hanno bisogno di essere coltivate, confrontate e discusse; devono affrontare la tempesta ed il mare in burrasca. Solo dopo un duro confronto con gli altri (musicisti o non) se riescono a stare in piedi sono delle buone idee! E soprattutto bisogna fidarsi degli altri, dell’orecchio o dei gusti degli altri. Essendo in quarantena continuavo a mandare i provini in giro ad amici e parenti… soprattutto quelli che ti dicono senza peli sulla lingua quello che pensano.
https://www.youtube.com/watch?v=NmD7xq8RyNc 3. Vedo che hai anticipato la mia domanda: “Guitarists like me” è un disco molto eterogeneo dal punto di vista compositivo e per quanto riguarda i generi musicali coinvolti. L’unico denominatore comune sembra essere la ricerca sonora sulla chitarra. Sei d’accordo con questa lettura?
Assolutamente! La chiave di volta è il suono della chitarra! Avevo un’idea molto chiara sul suono che volevo per la chitarra, e probabilmente sono riuscito ad avvicinarmi molto a questa idea.
Diceva Pasquale Bona: “La musica è l’arte dei suoni”! “Non delle note”, aggiungo io. Per questo i miei studi sulla chitarra sono molto orientati alla ricerca del suono più che allo studio di scale ed arpeggi.
4. Nel disco si sente l’influenza di alcuni chitarristi di riferimento; ho individuato su tutti Adriano Viterbini e, ovviamente, Joe Satriani. Se potessi “rubare” loro qualcosa cosa ruberesti?
Cosa avranno mai in comune Satriani e Viterbini?! Sono due musicisti stilisticamente molto lontani, eppure quando li ho ascoltati per la prima volta (uno a distanza di 30 anni dall’altro) ho provato esattamente la stessa cosa: la meraviglia per un suono della chitarra mai sentito prima!
Come sai bene noi musicisti rubiamo sempre qualcosa agli altri! Di Satriani adoro il songwriting: scrive delle melodie che potresti tranquillamente canticchiare sotto la doccia (o urlare in un’arena concerto); di Viterbini adoro la componente ritmica e la capacità di rendere tutto molto frizzante.
5. In almeno un paio di brani si ascolta una marcata influenza jazz; in altrettanti un evidente rimando al metal. Sembra proprio che questo disco sia un omaggio un po’ nostalgico alle tue radici ma si configuri anche come una sorta di bisogno di rilettura e rielaborazione del patrimonio personale acquisito in tanti anni di musica...
Normalmente tutte le opere giovanili hanno una dose di immaturità artistica. Più che approccio nostalgico direi che il motivo è che non ho ancora definito esattamente il mio percorso artistico. Ho sempre spaziato sin da piccolo tra tutti i generi i musicali con molta curiosità e questo ha reso il mio modo di suonare molto versatile.
6. Come pensi di gestire nei prossimi mesi questo progetto solista rispetto agli impegni musicali con “La figlia del dottore”?
Questo disco è figlio della vanità! O se vogliamo essere più clementi del bisogno di confortare il mio animo. In questo momento sto già lavorando al prossimo singolo della band che resta il mio principale obiettivo; se ci sarà un nuovo disco solista mi piacerebbe incidere dei brani jazz che ascoltavo da ragazzo, penso a canzoni come Tutu, Liberty city, So what.
7. Parlaci un po’ della strumentazione utilizzata per registrare? Il tuo parco chitarre, i pedali... Sei anche tu affetto da G.A.S.?
- Rido – andiamo in ordine con le tue domande.
Per le parti soliste del disco ho usato quasi esclusivamente una telecaster che mi sono divertito ad assemblare; tranne che per “you should hug your brother” dove ho usato una Eastman Joe Pisano.
Per le parti ritmiche ho usato una Gibson Les Paul del 2015, una stratocaster american standard dell’ 88 ed una Squier SQ del ’83. Non amo molto le chitarre acustiche o classiche, anche se ne possiedo un paio non ne ho usate.
La mia pedaliera è abbastanza semplice:
Super comp MXR;
OD 808 Maxon;
Plasma Pedal della Gamecharger ;
Mark Sampson Revolver J. Rockett;
Analog delay Tone rider;
Electro Harmonix Holier Grail;
Solid Studio Nux;
il tutto pilotato da un Octobus Samson ed alimentato con Vinteck Lovepowersupply II.
Come Amply ho trovato la pace con un Orange Tiny Terror.
8. Anche in questo album solista, come nel progetto “La figlia del dottore”, non sei riuscito a resistere alla “lusinga della cover”. Qual è la tua idea sulla riproposizione di un brano non originale? Sei un purista o preferisci stravolgere e rielaborare le canzoni altrui?
Credo che ascoltando “Surfing with the alien” la risposta si chiara! Adoro rivestire le canzoni e farle suonare molto diversamente sia nei suoni che nelle intenzioni.
Non ho mai amato suonare un brano in modo “identico” all’ originale, anche quando studiavo da piccolo; credo che questo sia dovuto alla mia pigrizia: per rifarlo identico, un brano, devi studiare molto di più; ed io non ho mai amato studiare, mi sono sempre preoccupato di capire l’intenzione di un brano, di intuirne gli elementi; ancora adesso suono dei classici con delle posizioni “sbagliate”.
9. Musicalmente parlando, quali sono gli obiettivi che ti eri promesso di raggiungere 10 anni fa, quali pensi di aver raggiunto e per quali credi di dover ancora lavorare molto?
Dieci anni fa, volevo fare dei dischi, fare dei concerti ed avrei venduto l’anima al diavolo per la fama, per essere conosciuto (ed ovviamente apprezzato).
Col tempo ho scoperto che il mio amore per la musica è qualcosa di molto intimo e personale. Avvolte passo interi pomeriggi facendo girare pochi accordi, solo per il piacere di sentir vibrare la chitarra tra le mie mani. Credo che potremmo inserire i concerti ed i dischi tra i traguardi raggiunti.
Tra le cose che non ho ancora realizzato metto al primo posto la lettura e la scrittura della musica, o se vogliamo una conoscenza organica della teoria musicale. Tutto quello che ho imparato l’ho buttato giù ad orecchio ascoltando le cassette che registravo o i dischi che compravo; tutto quello che conosco l’ho “scoperto” esercitandomi da ragazzo, quando ancora non esistevano i tutorial su youtube e passavo ore a passeggiare sulla tastiera della chitarra… scoprendo di volta in volta canzoni che conoscevo o cose che mi piacevano.
10. Siamo al termine dell’intervista; ci lasciamo con una domanda un po’ provocatoria: sei costretto a vivere il resto della tua vita su un’isola deserta e puoi prendere con te solo una chitarra, un pedale, tre dischi; cosa scegli di portare?
Fender stratocaster.
Niente pedali.
“Inferno” di Keith Emerson
“Into the pandemonium” dei Celtic Frost
“Kind of blue” di Miles Davis.