Personalmente non sono mai stato modificatore seriale della mia strumentazione: se una chitarra la prendo è perché mi piace, no? E allora perché dovrei fare un salto nel buio e rischiare di snaturare uno strumento nella speranza, puramente potenziale, di apportare una miglioria? Questa è stata l'obiezione che ha sempre stroncato sul nascere ogni malsana idea di modificare la mia Gibson Flying V o una delle altre belle signore che mi fanno compagnia. Poi, però, a complicare il tutto, mi è capitata per le mani una chitarrina economica.
"Cosa potrà mai esserci di complicato in una stratocaster (con la minuscola) che a malapena supera il centone?" Vi chiederete.
Bene. Prima di tutto, il fatto - del tutto inatteso - che nell'arco di pochi mesi è diventata la chitarra che suono di più. Poi, tanto per inficiare ulteriormente la mia credibilità, il fatto che, esaminandola attentamente, non sono riuscito a trovare a livello costruttivo nessuno dei difetti tipici di strumenti così economici. O quantomeno nulla di eclatante. Niente tasti taglienti, niente torsioni del manico dopo un anno su e giù per la penisola, asse perfetto, curvatura corretta e truss-rod funzionale. Ma non basta la sufficienza e questo strumento, inaspettatamente, fa di più: mi mette tra le mani un bel manico lucido (poco meno di 22mm al primo tasto, poco più di 24mm al dodicesimo tasto, dal profilo marcatamente late-60s), che associa 21 splendenti tasti jumbo (di misura analoga ai 6100) a una tastiera dal radius di circa 13”. Un bel mix di antico e moderno che sta comodamente nel palmo e sotto le dita. Ma anche i dettagli contribuiscono a rendere piacevole lo strumento: quella classica sensazione di plastica - che chiunque abbia imbracciato o anche solo osservato una chitarra glossy ed economica conosce bene - è qui del tutto assente e se il body, per quanto bello con il suo nero intenso nobilitato da uno strato di lucido trasparente, mostra comunque una verniciatura mediamente spessa (0,3mm, calibro alla mano), come si conviene a una produzione industriale, il manico è verniciato in maniera leggera e impeccabile, quasi a far dimenticare il valore dello strumento e dar lezioni a molte Fender cinesi e messicane che mi è capitato di provare negli anni.
"Ma dov'è il problema?" incalzerete "Qual è la complicazione di questo strumento se è così bello?"
Dunque, siamo sinceri. Per quanto bella e perfetta possa essere una chitarra da 100 euro, per quanto il caso o l'azienda possano impegnarsi per dar vita a uno strumento strutturalmente dignitoso, i palesi limiti di budget impongono una componentistica che mai potrà competere con qualcosa di superiore e che diventerà, inevitabilmente, un collo di bottiglia. Ed è qui che si comprende che non è tutto oro quel che luccica. Sebbene la bontà dello strumento faccia funzionare adeguatamente anche un ponte di latta e delle meccaniche di carta stagnola, sebbene nonostante elettronica e pickup riesca a esprimere una bella voce, comunque l’infima qualità di tutte queste parti non giocherà a favore dello strumento.
Ed è qui se si insinua il tarlo che per un anno ha costruito cunicoli nel mio cervello fino a far convergere i pensieri verso un'unica conclusione: se la chitarra va già bene così, con tutta la componentistica che gli rema contro, figurarsi come potrebbe andare se alzassi un po' l'asticella su hardware ed elettronica!
Ma facciamo una pausa e proviamo a dare una prima risposta al quesito iniziale. "Modificare una chitarra economica: sì, no, forse?" Per quanto mi riguarda, decisamente "forse". O meglio: "se". Ossia, va bene a patto che ne valga la pena.
Punto primo: la chitarra ci deve piacere. Perché se uno strumento non ci convince e ci illudiamo che con qualche centone di modifiche la cosa possa cambiare, rischiamo fortemente di perdere soldi e tempo, restando soli con la nostra insoddisfazione. E lo stesso vale nel caso di problemi strutturali importanti, palesi o latenti. Per quanto mi riguarda, modificare ha senso se e solo se lo strumento ci soddisfa e ci piace nonostante i suoi palesi limiti e cioè quando, effettivamente, il limite maggiore è rappresentato dalla qualità della componentistica.
E qui viene il corollario al teorema e cioè che - salvo particolari legami sentimentali - vale la pena modificare lo strumento solo quando la spesa non supera la ragionevolezza. Ma quanto è opportuno spendere? Nel mio caso, ho pensato che valesse la pena procedere solo se il costo dell'intervento, sommato al costo dello strumento, non avesse raggiunto il costo del primo strumento di serie effettivamente "superiore" rispetto al mio. Per quanto mi riguarda, quindi, ho segnato il limite a Squier Classic Vibe / Vintage V6, chitarre che apprezzo e che portano con sé, di fabbrica, alcune caratteristiche desiderabili. Ho quindi fissato il mio tetto di spesa a 300 euro, poco più di 200, quindi, sottraendo il valore dello strumento.
La prima tentazione sarebbe quella di rivolgersi alla solita componentistica aftermarket asiatica. Ormai ce ne è per tutti i gusti e anche a portata di mano. Sicuramente, così facendo, potremmo riuscire a modificare lo strumento stando abbondantemente nel budget. Ma ne vale la pena?
Concentrandoci sull’hardware, credo ci siano da fare molte puntualizzazioni. Prima di tutto: vale la pena modificare solo se, effettivamente, si porta sulla chitarra qualcosa di nettamente superiore rispetto a quello che già monta, altrimenti i benefici - che già di per sé sono sottili - saranno talmente marginali da non valere la spesa. E quindi andiamo a scartare tutti i ponti tremolo e le meccaniche simil Kluson che si possono trovare su Amazon o corrispettivi asiatici al di sotto dei 20-30 euro.
Un’idea, sul ponte, l’avevo chiara sin dall’inizio: dovendo cambiare, bisognava cambiare per il meglio, e il meglio su una Stratocaster, è l’acciaio. E qui sorgono i primi problemi. Le chitarre asiatiche montano ponti con spaziatura da 52.5mm circa. Ponti aftermarket, in acciaio, di buona qualità, di questa dimensione non ce ne sono. I Wilkinson hanno spaziatura minima di 54mm e mettersi a forare lo strumento senza un trapano a colonna è un azzardo che potrebbe portare più problemi che benefici. Aumsen e altri cinesi di qualità, oltre a tutte le incognite della spedizione, non hanno un look vintage, che per il mio caso era una prerogativa fondamentale. I ponti Fender Mexico (aka Ping) hanno quasi tutti sellette e blocco in lega di zinco. I Callaham superano, da soli, la spesa preventivata per tutte le modifiche. Che fare? La mia soluzione è stata quella di modificare il ponte esistente, visto che funzionava bene, rivolgendomi a un artigiano che ha realizzato il blocco del ponte in acciaio laminato a freddo, su misura per la mia piastra, e acquistando delle sellette anche loro in acciaio. Per quanto riguarda le meccaniche, invece, sto temporeggiando: le sue tengono bene l’accordatura e, sebbene non piacevolissime al tatto, andranno bene finché non troverò delle SD-91 al giusto prezzo.
Nuova parola chiave: "finché". E sì, perché credo che uno degli elementi fondamentali per la buona riuscita dell’operazione sia il tempo: la ricerca delle parti per modificare una chitarra così economica richiede pazienza e oculatezza, dove la prima serve a risparmiare qualcosa (che messo insieme al resto può diventare una cifra significativa) e la seconda serve a non farsi guidare dalla pancia ma dal cervello. E oculatezza serve anche nella scelta dei pickup.
Qui la pazienza, più che a trovare l’offerta giusta, serve a studiare. Tanto, tantissimo. Perché se non si studia abbastanza si finisce per farsi guidare dal miucuggino che è in ognuno di noi. E di solito finisce male o con un bel paraocchi, in base al carattere di ognuno. E invece la scelta va fatta considerato attentamente quale sia il punto di partenza e in base a quello che si vuole ottenere.
Nel mio caso volevo posizioni intermedie brillanti, attacco e twang. Così, sapendo esattamente cosa cercassi, ho commissionato a un bravo artigiano croato un set di pickup che rispecchiasse - grossomodo - le caratteristiche elettromagnetiche dei pickup di metà anni ’50: output moderato e bassa capacità. Peculiarità che si traducono, nel mio caso, in un tris di black bobbin tutti sostanzialmente uguali - senza centrale RWRP, quindi - con poli staggered in AlNiCo V, avvolgimento randomico con filo Heavy Formvar e ceratura “giusta”. Ma qui è veramente questione di gusti e - per fortuna - oggi ce ne è davvero per tutti, nel mercato.
E l’elettronica? Vi dirò. Avrei potuto mantenere la sua, che era perfettamente funzionale e aveva i valori giusti per la tipologia di strumento ma, per puro piacere personale, ho optato per uno switch spring-action nipponico (che bella sensazione sotto le dita), dei potenziometri coreani di buona qualità da 24mm dal mucchio che uso per i pedali e qualche centimetro di filo cerato. Insomma, una mano sul cuore, una sul portafoglio.
Cos’altro serve? Beh, attenzione a dettagli spesso sottovalutati come abbassacorde, capotasto e lubrificazione, per esempio, ma, soprattutto, un po’ di manualità. Sì, perché il lavoro va giustamente retribuito e se ci va di mezzo un liutaio non vale più la pena di modificare uno strumento così economico. Bisogna saper fare da sé. E allora ci vuole ancora pazienza perché, specialmente se non si è avvezzi a queste operazioni, la cosa richiederà, in ordine, tempo, studio, strumentazione, tentativi, errori e, probabilmente, una certa frustrazione iniziale.
Concludendo. Modificare una chitarra economica: si, no, forse?
"Forse", dicevo. O meglio "se".
Modificare una chitarra economica vale la pena se si ha il tempo e la pazienza di capire se lo strumento faccia o meno al caso nostro, se si ha la pazienza e la dedizione per trovare le soluzioni giuste al giusto prezzo, se si hanno le conoscenze e la capacità di apportare le modifiche desiderate e se, soprattutto, si accetta il rischio di una delusione. Ma quest’ultima possibilità, se si è risposto positivamente a tutti gli altri "se", è abbastanza remota. In compenso, ci si potrà scoprire particolarmente soddisfatti, consapevoli di aver restituito - with my own two hands, direbbe Ben Harper - dignità a uno strumento che lo meritava. Rinato e non snaturato. Perché, non dimentichiamolo, il presupposto di tutto il discorso è che lo strumento ci piaccia e, a quel punto, non dovremo che capire come accentuarne il carattere che già apprezziamo e meravigliarci di come, qualche volta, una chitarra economica possa dare grandi soddisfazioni. |