di Denis Buratto [user #16167] - pubblicato il 12 dicembre 2014 ore 07:30
Nelle dimensioni ridotte del Mooer Skyverb si trova un intero mondo, tutto lo spazio necessario per uno slapback quanto per sperimentazioni astrali e tre riverberi in uno che abbiamo testato con Michele Quaini nel suo OUT Side studio.
Nelle dimensioni ridotte del Mooer Skyverb si trova un intero mondo, tutto lo spazio necessario per uno slapback quanto per sperimentazioni astrali e tre riverberi in uno che abbiamo testato con Michele Quaini nel suo OUT Side studio.
In soli 170 grammi troviamo tutto quello di cui un riverbero ha bisogno. Uno switch e tre manopole permettono di controllare la maggior parte dei parametri. Quella bianca, più grossa è destinata al decay, ovvero la lunghezza dell’effetto, in soldoni la dimensione della stanza con cui si vuole lavorare. Con i due micro controlli invece si possono gestire tone e mix. Il secondo è un controllo fondamentale per un riverbero e permette di miscelare il suono wet e quello dry dello strumento in modo da scegliere la quantità di effetto sul risultato finale dopo aver settato il decay. Il tone è uno parametro spesso sottovalutato. Poter schiarire o scurire il segnale effettato può diventare un’arma in più per forgiare il proprio sound. Ultimo, non certo per importanza, è il mini switch per selezionare la tipologia di riverbero. Con un semplice click è possibile passare attraverso tre modalità completamente diverse: Plate, Church e Studio.
Lo Studio è uno small indoor reverb che lavora quindi con una stanza relativamente piccola. Il Church è l’esatto opposto: spazialità enorme e suono più vuoto con riflessioni chiare, quasi una eco. Il terzo infine è una simulazione di uno dei riverberi più usati in studio: il plate appunto. Si tratta di una lamina di metallo messa in movimento da un drive, sostanzialmente uno speaker, le cui vibrazioni vengono poi captate da un pickup e miscelate al suono originale per un effetto più complesso rispetto a quello di un riverbero a molla, ma non identico a quello di una stanza (vera o simulata).
Non resta che premere lo switch true bypass ed entrare nel vivo della prova vera e propria. Lo abbiamo collegato all’ormai fido Super Reverb, chiudendo il riverbero interno.
Abbiamo tra le mani un effetto digitale, dalle dimensioni tanto compatte che quasi si rischia di perderlo come un plettro e con la possibilità di scegliere tre delle tipologie più usate sia live sia in studio.
In generale la conversione in binario non fa sentire il suo peso, anzi. Tutte e tre le modalità hanno dimostrato una buona naturalezza.
Lo Studio offre una riverberazione calda, si basa su stanze abbastanza piccole ed è ottimo per aggiungere spazialità al suono di una chitarra senza snaturarlo, senza essere invasivo.
Con il Church la situazione cambia, ed è quello che forse ci è piaciuto di meno. Qui i bit dello Skyverb un po’ si fanno sentire. Sicuramente non è il preset più usato in pedaliera, quindi poco male, avere però a disposizione anche decay così lunghi può tornare utile per sonorità più eteree.
Con ogni probabilità, il Plate reverb avrà più successo nelle pedalboard in cui il Mooer andrà a finire. La simulazione messa in gioco dal piccolo scatolotto azzurro è soddisfacente, credibile. Con il tono in posizione flat forse il segnale riverberato è leggermente chiaro, ma il controllo è stato messo lì appositamente. Solo con il decay a palla esce un po’ di plasticosità, ma settaggi così estremi non sono all’ordine del giorno.
Lo Skyverb è un riverbero fatto per i chitarristi, studiato appositamente per essere infilato anche negli spazi più angusti. È utile da inserire in pedaliera ora che i mini amplificatori son più utilizzati che mai e la gran parte di loro non sono dotati di riverbero interno. Il prezzo non è super mini come il pedale, si aggira intorno agli 80 euro ma è allineato alla concorrenza con cui lo Skyverb se la gioca grazie ai numerosi controlli e alle tre tipologie di riverbero diverse.