Mi piacerebbe parlare dell’incredibile evoluzione artistica avvenuta tra "Flex-Able" e "Passion And Warfare". Un’evoluzione che si avverte, per esempio, nella macroscopica differenza di suono tra i due dischi.
L’evoluzione del mio sound da a "Passion And Warfare" era un deciso riflesso della profonda evoluzione che stavo vivendo io, su molti livelli. Mi stavo aprendo verso una consapevolezza artistica maggiore, ero maturato: stavo esplorando la mia immaginazione e realizzando la mia libertà. Stavo selezionando, con decisioni attente, le cose uniche delle quali mi sarei servito per creare il mio lavoro. L’evoluzione del mio suono, sia che si parli della produzione del disco, sia del semplice suono della chitarra, non erano che una proiezione della profonda espansione dei miei desideri creativi.
Però le tue capacità come fonico, ingegnere del suono su “Passion And Warfare” erano decisamente migliorate.
Sì, la mia capacità di lavorare in studio di registrazione, la mia abilità come fonico stavano evolvendo e questo, conseguentemente, ha influito molto sul suono del di “Passion And Warfare”. Quando ho inciso “Flex-Able” avevo una strumentazione scarsa: pochi microfoni e una stanza di ripresa che suonava morta. Da lì, benché l’evoluzione che ha portato poi al suono di “Passion and Warfare” sia passata anche attraverso tanti esperimenti con chitarre de pick-up diversi, il vero cambiamento è maturato però con una mia nuova acquisita capacità di usare i microfoni, compressori, delay, riverberi, sovrapporre e poi combinare tra loro il suono di più amplificatori...
E dal punto di vista chitarristico?
Ovviamente, su "Passion and Warfare" il suono è cambiato perché, nel frattempo, era anche cambiata la mia maniera di suonare la chitarra. Appena dopo "Flex-Able", proprio nel periodo nel quale entrai negli , rivoluzionai totalmente la mia tecnica di pennata e questa cosa, cambiò il mio suono più di ogni altro aspetto.
Tra "Flex-Able" e "Passion And Warfare" avesti la possibilità di lavorare in studio di registrazione con tre grandi produttori e fonici: , Ted Templaman in con David Lee Roth e Bill Laswell per
Certo e tutti sono stati fonte d’ispirazione per me, in svariate maniere.
Bill Laswell è fantastico nella sua capacità di catturare una visione e di creare qualcosa che suona unico, prendendo e mescolando tra loro elementi improbabili. Bill inoltre è capace di infondere un sacco di fiducia negli artisti con i quali collabora. Ted Templeman è uno che la sa davvero lunga. Ha il talento di guardare dentro l’artista con il quale lavora e di catturarne gli aspetti più estremi, viscerali. Ma, io credo che quello dal quale ho imparato di più sia Eddie Kramer. E’ un estremista. Capace di spremere qualunque cosa fino a che non ha ottenuto esattamente quello che desidera. Le sue competenze come fonico sono classiche. Lui mi ha insegnato come microfonare correttamente un cabinet per chitarra e ancora oggi quella è la tecnica che uso.
“Passion and Warfare” è l’apogeo di una certa maniera di suonare la chitarra degli anni ’80. Forse anche il vero canto del cigno di un certo tipo di chitarrismo. Quasi in contemporanea alla sua pubblicazione uscirono i primi dischi di Pearl Jam e Nirvana. Tutto stava cambiando. Quanto ne eri consapevole?
Ero consapevole che le tendenze musicali stavano cambiando. Ma, allo stesso tempo, sapevo bene che le mode cambiano di continuo.
Non sono mai stato uno che ha assecondato le mode, per me significherebbe agire in maniera non autentica. E’ meraviglioso, assolutamente verace quando ci sono artisti come Mozart, Beethoven, The Beatles, Hendrix, Zeppelin, Van Halen, Nirvana che letteralmente creano un trend, una moda, uno stile di musica. Ma io, veramente, non mi sono mai visto come qualcuno che crea o indirizza un trend musicale. Per me c’era semplicemente uno stile di musica che sentivo nella mia testa, che coltivavo da molti anni e che a un certo punto ho sentito l’urgenza di fare uscire, senza preoccuparmi di quello che nel contempo stava accadendo nella scena musicale. Non avevo alcuna aspettativa per “Passion and Warfare”; non pensavo che avrebbe potuto raggiungere grossi consensi, arrivare al grande pubblico proprio perché, semplicemente non era trendy. E invece, è stata una grande sorpresa!
Ascoltandolo, assaporando la cura maniacale di suoni, editing, suonato, arrangiamenti colpisce che sia stato tutto registrato in analogico. Non pensi che le eccessive agevolazioni che la registrazione digitale consente possano rendere più pigri gli artisti?
Non necessariamente, perché penso che per molti artisti le nuove tecnologie schiudano la possibilità di esplorare nuovi tipi di opere e lavori rilevanti. Noi cerchiamo sempre di spingerci oltre i nostri limiti indipendentemente da quello che in un determinato periodo storico la tecnologia offre. E la gente continuerà a compiere questo slancio in avanti in tutto quello che fa, in ogni campo. Ogni tanto, ogni cinquanta o cento anni, pare esserci un cambio di paradigma, un momento nel quale l’umanità eleva il suo potenziale creativo, alzando lo standard di quello che fa. Ma siamo in piedi, sulle spalle delle generazioni che ci anno preceduto e continuiamo a spingere, tutti con la stessa fatica, per migliorare e innovare, per fare qualcosa di unico e creativo. Per alzare ogni volta l’asticella. Questo è quello che abbiamo sempre fatto e continueremo a fare.
Di “Flex-Able” invece colpisce la varietà. In quel disco ci sono canzoni che sembrerebbe impossibile appartengano allo stesso album. Penso per esempio a “The Boy/Girl Song” e “The Attitude Song”…
Io amo la varietà. Mi piace la varietà nelle culture, nel cibo, nel tempo, nei vestiti, nell’arte in ogni sorta di cose. Quindi è naturale che mi sia piaciuta – e tutt’ora mi piaccia - anche la varietà nella musica. La mia passione per la varietà credo sia anche la ragione di perché mi piace così tanto la gente.
Quindi, quando variavo con brani così diversi, semplicemente stavo facendo, in totale libertà, qualcosa che mi sembrava eccitante.
E non eri preoccupato di confezionare un disco che, forse, avrebbe rischiato di essere difficilmente inquadrabile?
Credo che la cosa fondamentale che vivevo mentre registravo quel disco - e che tengo viva anche ora - era il fatto di non avere aspettative. Non riuscivo a capire perché le persone registravano dischi nei quali tutte le canzoni suonano alla stessa maniera. Nel tempo mi resi conto che questo succedeva perché gran parte dei dischi sono fatti così e allora gli artisti si allineano a quello che va: la gente fatica a uscire dagli schemi in maniera così disinibita.
Ognuno potrebbe fare qualcosa di unico, ma la maniera convenzionale di fare i dischi allora e forse nel corso della storia e persino oggi è catturare un genere o un tipo di sound e consolidarlo in un disco.
Però, proprio perché io invece non avevo alcuna aspettativa, mi sentì libero di fare quello che volevo. Perché non mi interessava se il disco avrebbe venduto o meno; non mi preoccupavo di come sarebbe stato accolto dalla critica. Sinceramente nemmeno pensavo che nessuno avrebbe mai voluto ascoltarlo e mentre lo registravo neanche mi preoccupavo se poi l’avrei pubblicato. L’intera idea di realizzare un disco per poi andare in tour e venderlo non era nei miei piani. Ma questa attitudine mi mise nella condizione di fare davvero quel che volevo.
Io adoro “” è un capolavoro. Che storia c’è dietro quel pezzo?
Grazie per l’apprezzamento. “Call It Sleep” è una canzone molto importante per me, alla quale sono davvero affezionato. La scrissi durante le scuole superiori: La dedicai alla memoria di una ragazza a scuola con me che era mancata. Quella melodia, quella progressione di accordi poi mi ha sempre seguito perché ho costantemente proposto “Call It Sleep” anche con le varie band con le quali suonavo durante il College. Amo gli spazi che ci sono in quella canzone, l’atmosfera suggerita dall’armonia.
Sei in un momento della tua carriera in cui tra “Modern Primitive” e il tour di “Passion And Warfare” stai mettendo le mani al tuo passato musicale, riproponendolo. Con la sensibilità di oggi, come vedi le fatte molti anni fa? Quali sono i cambiamenti più grandi che rilevi?
Dal punto di vista tecnico sono cambiate moltissime cose: considera solo quanto meno offriva la strumentazione di trent’anni fa rispetto a oggi. Di allora, nel disco restano unicamente le gran casse e alcune chitarre ritmiche , registrate quella volta e che sono finite su circa sei delle tracce che ora sono sul disco. Però sono rimasto sorpreso per quanto ancora suonassero in maniera efficace.
Poi, dal punto di vista compositivo e chitarristico, oggi vedo il ventenne Steve Vai che scriveva quelle cose come molto avventuroso, senza paura e motivato a divertirsi con tutte le possibilità e tecniche con le quali poteva sperimentare,che era in grado di eseguire.
Ma questo, direi che non è variato molto, anche se il tempo ha la tendenza a modificare la nostra prospettiva del mondo. Io sono fortunato perché il mio punto di vista sulle cose, mi pare cambiato per il meglio. Nel mio lavoro attuale una certa maturità mentre ascoltando la musica di allora, forse, ci sento più innocenza, ingenuità.
E non ci sono delle cose che, a fronte di questa maggiore maturità, oggi faresti in maniera differente?
Certo, ci sono delle cose oggi che io avrei potuto scrivere e suonare in maniera differente ed è esattamente quello ora che sto facendo rifacendo quel materiale.
Noi possiamo fare unicamente quello che in un determinato momento siamo messi nelle condizioni di fare. L’idea di cambiare o rifare qualcosa che abbiamo fatto in passato ha un che di sbagliato, di malsano. Noi abbiamo fatto una data cosa, perché frutto di una determinata decisione, decisione a sua volta generata delle decisioni prese in precedenza. E possiamo ogni volta, prendere una sola unica decisione, che sarà quella giusta perché è lì che eravamo quando l’abbiamo presa: in quel dato preciso momento, in quelle determinate condizioni. E non ha senso, poi guardando indietro, dire “avrei potuto fare diversamente” perché, semplicemente, non è possibile. Quindi, per quanto riguarda la mia percezione sui miei lavori passati, di sicuro in futuro metterò le mani sui dischi che sto facendo oggi e apprezzerò e onorerò la musica che il 56enne Steve Vai sta facendo; ne più ne meno di come oggi onoro e apprezzo la musica che faceva il 20enne Steve Vai quando ascolto i dischi di allora.