Spesso verso l’Altra Stanza ci dirigiamo quando il vero si presenta a noi velato, quel tanto da metterci in moto un pensiero “creativo”. Quando si verificano le situazioni predette, siamo stimolati a inventarci un diverso quadro possibile o a completare quello sfuocato arrischiando di precisarlo dipingendolo con i nostri “potrebbe essere così”. Poco importa che i tasselli immaginati siano credibili, coerenti con il reale. Il grande è cavarne fuori una “visione” soddisfacente, anche non vera, condita del nostro compiacimento. Il bello è mettere in moto la macchina del possibile, far andare le bielle della fantasia verso un celeste più celeste del celeste, verso profondità più profonde del più profondo, verso paesaggi e orizzonti che ci sarebbero negati se fossimo schiavi dei dati del reale fornitici dai sensi. Vedere di più di quello che vedono gli occhi è la grande opportunità che abbiamo tutti. Così come possiamo “sentire” di più di quello che captano le orecchie e soffrire di più di quanto previsto nel menù del nostro cuore.
Scampoli di pensieri
Ma cosa c’azzecca tutta questa roboante, pseudo-filosofica premessa con la storia della registrazione casalinga?
Dopo più di quarant’anni di questa deliziosa pratica mi pare, sottolineo mi pare, di aver capito i tanti difetti della “perfezione” dei 24 bit, dell’editing maniacale, dei suoni iper-realistici, dell’invadenza sonora sia per livello che per frequenza. E che su tutto e su tutti aleggia un grave difetto: lo scarso utilizzo della fantasia. Direi da parte un po’ di tutti gli addetti ai lavori di musica, home recordist inclusi; quindi da chi la compone, da chi la realizza e, senza colpa, anche da chi l’ascolta. La poca sollecitazione ad andare oltre il facilmente realizzabile, il facilmente ascoltabile e il facilmente digeribile (non considerando le banali invenzioni dei suonini o delle cazzatine paganti solo i discotecari), credo sia provocato, da un lato, dal robustissimo realismo e dalla disarmante bellezza sonora di molte realizzazioni attuali; e dall’altro, dal malsano condimento delle varie opere musicali (canzoni, colonne sonore, ecc.) con tutto l’immaginario sonoro immaginabile, grazie all’uso di un’effettistica dalla precisione chirurgica ed efficacia mortale, invadente tutto il pensabile possibile e suggerente anche “il di più” possibile. Tutta questa realtà sonora, sparata ben oltre il normale livello di sazietà degli ascoltatori, crea invalicabili muri per la loro immaginazione. La diffusa elargizione di tali proposte, appaganti l’immediato ma straordinari killer del motore della fantasia, fa sì che l’immaginare sia da molti vissuto come sport stancante e inutile data la sovrabbondanza di merce gratuita. Pare proprio, per dirla con Pavese, che “immaginare stanca”.
Viviamo in un’epoca in cui le voci dei cantanti sono collocate in un “ambiente” che ora suggerisce lo spazio siderale ora il chiuso del nostro stomaco, tanto è l’effetto presenza. Nei film le porte si chiudono con fragori da cataclisma e le stanze sono abitate da una rumoristica assurda. Il suono di una cassa di batteria muove una devastante parete d’aria e quello di un violoncello ci può offrire la sensazione di ascoltarlo come fossimo posizionati all’interno del suo corpo risuonante.
In questo clima di abbuffate sonore oltre misura, di sazietà immobilizzanti, la pratica dell’home recording, pur tendente anch’essa ai vizi descritti ma trattenuta da difficoltà di budget e di gestione del complesso “circo digitale”, mi ispira pensieri di salvezza, di distorta ma comunque ancora quasi-sana vitalità.Terroristicamente e ingenuamente mi vien da pensare che non sarebbe poi male tornare in molti settori, anche in quello della registrazione casalinga, ai tempi “magri” (tecnologicamente parlando) della musica suggeritrice, che altro poi non è che la musica vera, catturata nell’urgenza della necessità espressiva, senza mille trucchi o il condimento di idiozie, funambolismi, prospettive distorte, pernacchie e bomboloni. Beate, vecchie registrazioni nelle quali se c’era un pirla che cantava stonato in una stanza vuota con riflessioni suggerenti solitudine rimaneva un pirla stonato in una stanza vuota .... eccetera eccetera, con tutto il suo bel vestito di fruscio sulla testa e le scarpe targate Ronzio. Niente AutoTune, niente rapporti Segnale/ Rumore elevatissimi da camera anecoica trasformata poi in una large hall, niente sfregolii, calorie e armoniche gratis regalate da mic o preamp valvolari! Tutto risultava vero, magari “fisicamente” piccolo ma grande nella sua ricchezza di scampolo sonoro con furto d’anima accluso.