Penso che uno dei benefici che la maturità porta sia la capacità di soffrire senza disperarsi. Da adolescente il primo amore mi bruciò anni di serenità; meditavo continuamente romantici suicidi, magari plateali, da poeta triste. Poi mi arresi alla vita, me la feci scorrere dentro come sangue fresco. Ebbi altri amori, esperienze che mi maturavano l'anima a furia di rapportarmi con l'altro sesso. L'amore fisico forse fu la cosa più importante, non per il piacere in sé, ma per quell'iniezione di fiducia in me stesso e per la conoscenza delle virtù e delle miserie dei rapporti umani che mi dava. Soffrii la nostalgia di Sofia senza scuse, senza alibi; con la consapevolezza che prima o poi il dolore sarebbe passato, o magari rimpiazzato da uno nuovo, non aveva importanza. L'estate arrivò come fosse un tentativo di anno nuovo, ricominciare la vita al caldo dei suoi mesi mi sembrava una buona cosa. Era una stagione piena di opportunità, cercavo di pettinarla a mio piacere col senso estetico ansioso di chi ha voglia di vivere. Conobbi Marta nell'unico giorno in tre mesi in cui piovve. Non era giovedì di conseguenza non poteva che essere un incontro felice. Lei era bella, morbida come il primo sogno della notte tra le coperte calde; era formosa, giunonica, quasi materna. La pioggia sui vetri del bar in cui eravamo orchestrava un adagio rilassante, luglio intiepidito dall'acqua c'accudiva in quel giorno quietamente bello: un non-giovedì che aspettavo da tanto. Entrammo subito in confidenza, ci raccontavamo le tristezze passate come fossero parentesi nel nostro conoscerci a vicenda; lei sorrideva. Capiva, forse. I primi tempi fu come inseguirci tra le giostre, altalenavamo tra i suoi umori a volte euforici a volte cauti. Io temperavo la mia spontaneità in base ai suoi momenti, volevo piacerle per cui quasi l'assecondavo, mi adattavo addosso le sue richieste e non mi pesava farlo. I nostri discorsi si contraddicevano gioiosamente: ci dicevano di stare con i piedi per terra e l'attimo dopo discutevamo su cosa avremmo potuto fare insieme l'inverno. Il nostro presente era labile, provvisorio come le giornate di sole che ci godevamo. Il sesso sembrava quasi un atto furtivo, iniziava e finiva in episodi, anche se inconsciamente ogni volta imparavamo qualcosa sui nostri reciproci piaceri, a poco a poco. Settembre ci vide arrivare insieme al fresco dei suoi tramonti, entrambe temprati da una conoscenza rovente cresciuta sotto la luce estrema di agosto. Riprendevamo a pieno regime quella vita in parte accantonata dalla routine estiva, rallentavamo. Solo allora Marta divenne davvero parte della mia vita, cominciai ad includerla nei miei progetti; il sesso iniziatico si era trasformato in amore statico, ricorsivo. Cominciavo ad essere meno smanioso dei suoi seni morbidi, delle natiche da afferrare forte e degli occhi da guardare nell'attimo del desiderio. Quindici anni prima non avrei mai creduto che tutto questo fosse possibile, non comprendevo la pacatezza degli adulti nelle faccende sessuali. Il mio futuro era un desiderio lussurioso da appagare grazie all'indipendenza dell'essere grande. Varie donne mi cambiarono l'opinione, maturai, mi conformai a quella pacatezza che finalmente mi risultava più chiara. Faceva parte del gioco dell'amore, era sia una regola che una strategia. Mi abituai a Marta come ad un sapore estraneo assaggiato giorno per giorno. La davo per scontata, ma senza trascurarla; quelle piccole attenzioni da uomo innamorato gliele negavo solo quando eravamo distanti, per telefono o tramite messaggi. Quando eravamo vicini stavo attento a farla stare bene, la trattavo con i guanti. A ripensarci adesso, lo facevo più per estrema gentilezza mia che per reale desiderio di darle affetto. Ero educato. Ma l'amore è un folletto scostumato che ti afferra cuore e coglioni per trascinarti dove gli pare. Prima di Natale mi ero già invaghito di un'altra, si chiamava Silvia, non aveva niente di speciale però mi piaceva. Forse perché non sapevo niente di lei. Il viso di Silvia era un meraviglioso pianeta da esplorare. Nell'emisfero superiore due continenti bui: occhi neri eppure pieni di luce, luce nera. Un neo appena accennato a sud-est del naso. Una bocca lieve, collinare ma per niente irta. Silvia era geograficamente bellissima. Ripensavo a Sofia, per la prima volta quasi l'avevo capita; il rancore mi si affievolì nello stomaco, la vidi finalmente umana, anche lei in balia dei sensi. Un po' la perdonai. Così feci a Marta quello che Sofia aveva fatto a me. Ne ero dispiaciuto ma non stavo davvero male, con me c'era Silvia che mi distraeva le emozioni.
Raffaele Montesano