Due poeti. Due animi, anime. E la musica, la poesia. Fabrizio De Andrè, il grande cantautore genovese scomparso nel 1999, era anzitutto, prima di tutto, un poeta. Uno dei migliori e più profondi del '900 italiano. Al di là delle sicumere da sussidiari (dove magari per lui ci sarà sempre poco spazio), questa è assoluta, limpida verità. Il suo disco "Non al denaro non all'amore nè al cielo", uscito nel 1971 è uno dei dischi che più dice e racconta del Faber. L'opera infatti, davvero tra le più indicative e simboliche dell'artista, fu un chiarissimo esempio di felice contaminazione tra diverse culture, tra differenti aspetti del comporre e del sapere stesso: la poesia cantata di Fabrizio di qua, la poesia pura di Edgar Lee Masters di là. Ed ecco che uno dei migliori album degli anni '70 italiani fu proprio questo fortunatissimo e riuscito lavoro: la brillante e profonda messa in musica di alcune poesie dalla celebre "Antologia di Spoon River", appunto a firma dell'altrettanto celebre poeta statunitense. Lo sa benissimo Raffaele Montesano, autore del volume "E nemmeno un rimpianto", Edizioni Segno, dedicato proprio ad un'analisi dettagliata tra testi di De Andrè e componimenti di Lee Masters. Il libro, un vero saggio di cultura musical-letteraria, aiuta a contestualizzare i due lavori, i rapporti tra essi, gli spunti che da sempre donano al lettore e all'ascoltatore. Un po' come voler arrivare insieme a suggerire sia l'ascolto del cantautore sia la lettura del poeta. Senza però -decisivo nell'ottica di Montesano- consigliare, imporre un'unica lettura o interpretazione. Il sommo e finale gesto libero è affidato al lettore. Non mero o stretto lavoro comparativo, allora, ma approfondimento capillare delle due diverse operazioni. Pur unite, va da sè, nell'animo -magari inconsapevolmente corrispettivo e dialogante- dei grandi facitori. Non mancano densi spunti di riflessione sull'epoca in cui compone De Andrè. Siamo ad inizio '70: un decennio fortemente influenzato da quel che accadde sul finire dei '60. Rivoluzione, scandali, nuova società. Dettagliato, persino negli aspetti marcatamente politici, lo scandaglio della situazione italiana dell'epoca: dai primi esperimenti di centrosinistra fino alle esperienze innovative europee ed americane. Ovvio parlare delle nuove tendenze musicali: la beat generation, il rock'n'roll, Bob Dylan. Così come, seppur brevemente, degli aspetti biografici del Faber. Mentre, su Edgar Lee Masters, oltre a delle note sugli aspetti culturali delle sue opere, ecco approfondimenti sui tentativi italiani d'interpretazione dei suoi lavori: da Cesare Pavese ad Arnoldo Foà fino a Fernanda Pivano, traduttrice della famosa "Antologia". Ma a caratterizzare il testo sono indubbiamente le pagine dedicate alla analitica e profonda comparazione tra poesie e canzoni. Lee Masters vive -pur rivisto, cambiato, interpretato- attraverso De Andrè ed ecco: "La collina", "Un matto", "Un giudice", "Un blasfemo", "Un malato di cuore", "Un medico", "Un chimico"; "Un ottico", "Suonatore Jones". Le dolci e struggenti melodie, i riferimenti sociali e culturali, le polemiche contro gli aspetti egoistici e classisti della società. Il pensiero di De Andrè segna queste pagine. Pagine ineludibili per ogni buon conoscitore della musica italiana d'autore.
Marino Pagano
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