Anno domini 2011. Italia, Roma, Via Margherita Mazzanti Viendalmare numero 28. Ore sette e quarantacinque di mattina. Temperatura mite, sole a tratti, nebbia in Val padana calmi gli altri mari. Eliseo prese la sua voglia di vivere e la scaraventò contro il citofono del numero ventotto, anche quel giorno si era alzato presto per servire Geova. I coniugi Minghetti invece a quell’ora trascinavano il loro desiderio di dormire fuori dalle lenzuola. Anche quella mattina si erano alzati presto, con i coglioni già fracassati dal cinismo della sveglia. Marco Minghetti, il capo famiglia, andò ad aprire la porta con la suscettibilità di un gorilla con le emorroidi. Si ritrovò davanti il miglior sorriso di Eliseo. “Sai che il Signore ti ama?”. “Mi dispiace sono etero” rispose con il cinismo da serial killer che aveva sempre la mattina presto. “Il Signore è il tuo pastore!” Continuò Eliseo per niente scoraggiato. “Dica a questo signore che io non ho nessunissima voglia di farmi incaprettare”. Richiuse la porta sul muso deluso di Eliseo che ancora non afferrava il senso di quella conversazione. “Porgi l’altra guancia!” Pensò tra sé il giovane testimone di Geova; suonò di nuovo al campanello. Marco Minghetti riaprì, questa volta era arrabbiato. “Vada a cagare lei il suo signore e il pastore!” Richiuse. Eliseo prese la sua voglia di vivere, il suo sorriso deluso, il suo Signore e pastore ed andò a pascolare altrove. Le vie del Signore sono infinite, Eliseo però quella mattina prese proprio l'unica via sbagliata. Bussò alla porta del signor Rattazzi, un avanzo di galera di circa cinquant'anni, oltremodo tatuato e con il senso degli humor di un malato di dierrea isterica. “Sai che il signore ti ama?” Esordì Eliseo con la sua ritrovata speranza. Il signor Rattazzi non era un uomo di mezze misure, diede ad Eliseo un pugno che era un chiaro segno di arrivederci. Richiuse la porta sui rantoli di dolore del povero servo di Dio. Il pugno gli aveva fatto sanguinare il naso, Eliseo però non si perse d'animo, per fortuna la sua guancia non era stata intaccata così poté risuonare il campanello per porgerla al suo prossimo proprio come il Cristo aveva detto di fare. “Sai che siamo nati per rendere felici gli altri?”. Il signor Rattazzi questa volta aveva cambiato atteggiamento, Eliseo lo prese come un buon segno. “Come ha detto scusi?” “Siamo venuti al mondo per rendere felici gli altri, lo sa?” “Cioè lo scopo della mia vita è rendere felici gli altri?” “Esatto! È proprio cosi!”. “Ma allora gli altri che ci stanno a fare? Qual è lo scopo della loro vita?”. Eliseo si trovò spiazzato difronte a questa domanda, cercò di balbettare qualcosa ma le parole erano inarticolate. “Anche gli altri sono al mondo per rendere felici gli altri”. “Mi scusi, ma non sarebbe più semplice venire al mondo per rendere felici se stessi al posto di fare tutto questo casino?”. Eliseo subì il nuovo colpo con la disperata speranza di trovare poi una risposta nella sua adorata Bibbia. Il momento era grave, per la prima volta nella sua vita avrebbe preferito essere messo alla porta piuttosto che veder la sua fede messa a dura prova da uno sconosciuto. “Vada a quel paese!” Disse con tono stizzito, girò i tacchi e andò via verso “Pecorelle” meno perspicaci e più smarrite. Mentre percorreva il vialetto sentì dei passi veloci alle sue spalle, poi un dolore lancinante alla testa. Fu l'ultimo della sua vita. Il signor Rattazzi non sopportava di essere mandato a quel paese. Cioè tutto ma a fare in culo proprio no. Ammazzò quell'aspirante pastore come fosse un cane (forse un cane pastore), scaricò il corpo nel Tevere e continuò la sua vita come se niente fosse. Anno domini 2011. Italia, Roma, Via Gaetano Grazieamammasobel numero 7. Quarantotto ore dopo l'omicidio di Eliseo. Temperatura incazzosa, nebbia agli irti colli piovigginando sale. Francesco Ricasoli iniziava con un sorriso la sua giornata. La sera prima era uscito con Irina, era da tempo che la corteggiava e finalmente era riuscito a baciarla. C'erano stati anche dei momenti in cui avrebbe potuto andare più a fondo, ebbe l'occasione di poterla spogliare discretamente e magari farci l'amore. Il problema è che il pomeriggio prima, si era fatto prendere dal troppo entusiasmo per l'appuntamento imminente, per calmare l'agitazione si era ammazzato di seghe e quindi la sera era del tutto innocuo. Questo però non lo fece minimamente demoralizzare, al prossimo appuntamento ci sarebbe andato armato di migliori intenzioni, ma fondamentalmente ci sarebbe andato “armato” e basta. Un nuovo giorno era iniziato, tra meno di un ora avrebbe iniziato il suo lavoro; Francesco Ricasoli non faceva un lavoro comune, era un autopsista. Dal cassetto del comodino prese un bel fascio di giornali visibilmente usati, erano i suoi preferiti ma bisognava far posto ai nuovi, li avrebbe utilizzati al lavoro. Quel giorno c'era da “aprire” un giovane sconosciuto trovato nel Tevere, aveva un segno di lesione sulla nuca quindi la prima cosa da fare era controllargli il cranio. Francesco Ricasoli era un esperto in quel tipo di operazioni, maneggiava gli strumenti con grande perizia; con la lama rotante realizzò un taglio netto e millimetrico intorno al cranio del morto, poi levò via la calotta e cominciò ad esaminare il cervello. Sminuzzava le varie parti di materia grigia con irreversibile determinazione, dopo quasi un'ora trovò la causa della morte: lacerazione profonda del tessuto celebrale, il sangue aveva invaso le sinapsi distruggendole. Molti non sanno che quando si esegue un'autopsia alla testa dopo non si ricuce tutto come prima. Il cervello – quel che ne rimane – viene sepolto nel ventre del cadavere; la testa viene riempita di carta e richiusa alla buona. Cosi tornarono utili i giornali che Francesco si era portato da casa, ne appallottolò molte pagine e le riposte nel cranio di quel morto senza senno. Il dottor Ricasoli salutò per l'ultima volta quelle tette patinate, quei culi dediti alla letteratura a luci rosse che tanto piacere gli avevano dato nelle serate solitarie. Riempì di giornaletti porto la desta del malcapitato. In attesa che qualcuno venisse a riconoscerlo, il cadavere fu chiuso in una cella dell'obitorio, il fresco artificiale avrebbe mantenuto i suoi tessuti più a lungo; un frigorifero per umani. Anno domini 2036. Italia, Roma (o quel che ne resta), Via vattelappesca numero 17. Orario imprecisato. Temperatura glaciale a tratti brrr! La nebbia c'è ma nessuno la vede. La razza umana si è estinta, sono bastati solo due anni di guerra atomica per uccidere tutti i sette miliardi di abitanti. Inoltre l'inverno atomico ha causato un'altra era glaciale, i pochi organismi viventi lottano contro il gelo, il ciclo evolutivo deve ricominciare da capo. Il corpo di Eliseo è ancora sepolto in quello che una volta era un obitorio. Per anni nessuno è venuto a reclamarlo, poi la guerra ha fatto definitivamente perdere memoria delle sue carni congelate. Quando il mondo finì la madre terra provvide personalmente a far continuare quel gelo che lo faceva conservare cosi tanto bene. Un giorno i cieli s'infuocarono (ma nessuno li vide, nessuno c'era). Una navicella proveniente dal pianeta di Anacrusia stava per atterrare sul suolo ghiacciato della terra. Dodici alieni scesero per prelevare dei campioni da analizzare. Per un caso fortuito uno di loro scovò la celletta con il corpo di Eliseo, Quella poteva essere la scoperta del secolo! Lo caricarono sulla navicella e ripartirono. Gli Anacrusiani erano esseri che come gli umani respiravano aria, avevano un naso piccolissimo ma molto efficiente, una bocca veloce e muscolosa; la faccia si limitava al binomio bocca-naso, non avevano guance, zigomi ecc. Gli occhi erano posti sulle spalle e avevano due culi. Eliseo venne disteso su un lettino, gradualmente gli alieni lo liberarono dal ghiaccio, volevano fargli un'autopsia intergalattica. Mentre il chirurgo capo dava le direttive, due assistenti cominciarono a tagliuzzargli la pancia. “Dottore stiamo per aprire lo stomaco”. “Bene procedete con cautela”. “Dottore ci siamo! Stiamo per estrarne il contenuto”. I tre esimi dottori alieni si lanciarono occhiate (spallate) di stupore. “Dottore è incredibile, quest'essere nello stomaco aveva materia celebrale!”. “Ma non è possibile controlli meglio”. “Ne siamo sicuri, il computer ci ha appena dato la conferma, per di più il soggetto in questione era anche in una fase digestiva avanzata”. “Stava per cagare il cervello!” esclamò il chirurgo capo perdendo la sua naturale compostezza. “Apriamogli la testa a vediamo cosa hanno!” propose il secondo aiutante che voleva vederci chiaro. Così per la seconda volta in meno di cinquant'anni la testa di Eliseo venne nuovamente violata. Per il ghiaccio e la mancanza d'aria i fogli che conteneva si erano conservati in ottimo stato. I tre alieni videro quella sfacciata pornografia (aliena, dal loro punto di vista) e inorridivano. “Che razza di esseri immondi sono stati questi umani! Hanno il cervello nello stomaco e la testa piena di materiale pornografico! Ci credo che si sono estinti!”. Il secondo assistente, che ormai era in preda all'impeto del desiderio di conoscenza, propose: “Riportiamolo in vita con il raggio rivitalizzante e vediamo come si comporta”. Dopo un breve consulto i tre esimi dottori alieni acconsentirono all'operazione. Cosi Eliseo fu sottoposto al trattamento laser per resuscitare le cellule, l'operazione durò circa sei ore ed ebbe esito positivo. Dopo anni di morte la sua vita tornò in vita, era resuscitato come il Dio che aveva sempre amato. Le sue prime parole furono: “Sapete che il signore vi ama?” Ma i tre esimi dottori alieni spaventati dal suono emanato dalla sua bocca lo colpirono con un pugno al viso. Eliseo cadde sul lettino ma come sempre (come un tempo) non si perse d'animo (visto che l'anima l'aveva appena riavuta). “Colpitemi ancora fratelli perché il nostro Dio ci disse di porgere sempre l'altra guancia”. “Ma noi non abbiamo le guance!” risposero stupiti gli esimi dottori alieni. “ah! ...emm... ma c'è qualcosa di doppio nel vostro corpo?” chiese Eliseo speranzoso. “Si, abbiamo due culi!” affermò orgoglioso il chirurgo capo. “ah benissimo! Allora dovete porgere l'altro sfintere” affermò Eliseo esultante. Cosi ebbe inizio l'indottrinamento degli alieni da parte dell'ultimo degli umani – per di più testimone di Geova. Da quel giorno in poi l'universo si affollò di navicelle spaziali, tutti gli Anacrusiani andavano bussando di porta in porta, di galassia in galassia, di pianeta in pianeta per portare la parola di Geova. Quando un alieno permaloso li colpiva, loro non si perdevano d'animo, come gli insegnò un tempo il Gran Maestro Eliseo, porgevano sempre l'altro sfintere e riempivano di merda la faccia della pecorella smarrita e scortese. Il successo di una religione è anche una questione di culo.
Raffaele Montesano