Andrea adorava scrivere in posti affollati, adorava immergersi in un via vai di gente distratta e viaggiare con la fantasia scrivendo le sue storie.
Come il suo scrittore preferito Andrea Pinketts – era orgoglioso di portare lo stesso nome – cercava un bar e ci si infilava dentro armato di carta e penna. Consumava quantità industriali di caffellatte e stuzzichini e scriveva a profusione, ispirato da quell’umanità che gli danzava davanti frettolosa come fossero tante farfalle che sanno di dover vivere un solo giorno.
La fortuna degli scrittori è che la vita non va poi così veloce, o almeno non così veloce da non poterne fermare un pezzetto su un foglio di carta. Non fotografarla ma dipingerla. La fotografia è matematica, il dipinto invece è traduzione; scrivere significa raffigurare il mondo per come lo si vede, non per come è realmente.
Così Andrea se ne stava seduto a creare imbrogli per i suoi futuri lettori, progettava cieli truccati per i marinai della lettura, tentava di regalare una realtà perfetta: epurata dalla banalità quotidiana.
Ogni sua pagina era come una giornata di vita, di quelle sempre interessanti in cui ti capita per forza qualcosa, di bello o di brutto non ha importanza. L’importante è che capiti.
Andrea aveva un sogno: imitare Pinketts anche nelle esperienze.
Il grande scrittore milanese in un’intervista dichiarò che scrivendo in un pub capita spesso che qualcuno si avvicini perché incuriosito.
Quando una bella ragazza si avvicinò allo scrittore e chiese: “Che cosa stai scrivendo?”.
La risposta fulminea e geniale fu: “Sto scrivendo di te”.
Andrea sognava di vivere la stessa medesima esperienza; già si immaginava mentre era immerso nel suo lavoro e una bella donna avvicinandosi gli chiedeva con voce sensuale, ammiccante: “Che cosa stai scrivendo?”.
Nella sua fantasia quella domanda era scandita con una lentezza sublime. “Che-cosa-stai-scrivendo?”.
Poi si immaginava la sua risposta geniale, non autografa ma geniale: “Sto-scrivendo-di-te?”. Sempre lentamente, languidamente, stronzamente.
Una mattina stava scrivendo come sempre in un bar del centro; era seduto all’ultimo tavolo in fondo così poteva osservare tutta la sala tranquillamente. Sembrava un giorno come un altro, il locale era un po’ più pieno del solito e questo ad Andrea piaceva.
Ad un certo punto, alzando gli occhi dal foglio notò due ragazze in piedi che scrutavano la sala in cerca di un posto libero. I tavoli erano però tutti occupati tranne quello di Andrea che aveva proprio altri due posti liberi.
Le due lo notarono e cominciarono ad avvicinarsi; era il momento buono per sfoggiare il suo botta e risposta che da sempre sognava.
Si sedettero di fronte a lui senza dire niente; lui cercò di apparire il più concentrato possibile sul foglio.
Scriveva fitto fitto che a guardarlo veniva la curiosità di leggerne le frasi. In realtà, emozionato dall’evento, aveva preso a scrivere ripetutamente: “Che cosa stai scrivendo? Sto scrivendo di te. Che cosa stai scrivendo? Sto scrivendo di te”. A profusione come fosse un mantra, in pochi secondi aveva riempito già mezza pagina e ancora aumentava la velocità tanto che ad un certo punto il testo appariva tutto attaccato. “Checosastatiscrivendo?stoscrivendodite”.
Un'altra fortuna degli scrittori è che non sono mai distratti, o meglio, quando sembra che lo siano è proprio il momento in cui osservano di più.
Andrea guardava il volto delle sue compagne di tavolo, rubava particolari con occhiate veloci e chirurgiche.
La ragazza che stava difronte a lui era grassoccia, brufolosa con un enorme naso. Aveva però una faccia allegra e la simpatia forse era la sua unica qualità
L’altra invece era molto carina: mora, occhi scuri e occhiali da vista molto sexy. Vestiva con una tuta di quelle tipiche delle associazioni sportive, con tanti sponsor.
Andrea le osservò le mani, erano lunghe ma muscolose, pensò che molto probabilmente giocasse a volley in qualche squadra della città.
Avrebbe voluto tanto che fosse lei la ragazza della tanto desiderata domanda.
“Che cosa stai scrivendo?”.
“Sto scrivendo di te. Giochi a volley vero?”. E così avrebbe iniziato un discorso che chissà in quali dolci epiloghi sarebbe potuto finire.
Invece quella bellezza era muta, teneva la testa china su un giornale e non degnava di uno sguardo il povero scrittore.
L’amica brutta invece sembrava molto incuriosita dal suo scrivere; lo guardava con occhi divertiti e vogliosi di attaccare bottone. Andrea se ne accorse e sperò con tutto se stesso che non gli facesse la fatidica domanda. Addirittura, preso dalla paura, pensò di alzarsi e andarsene. Ma qualcosa lo trattenne, qualcosa gli diceva di rimanere. Istinto dello scrittore.
Per precauzione comunque diminuì il ritmo delle sue vergate sul foglio, ora scriveva pacatamente cercando di sembrare un impiegato che compila noiose pratiche.
La ragazza però non abbandonò la sua voglia di sapere e si sporgeva sempre più palesemente con il collo verso i fogli di Andrea. Il suo era un discorso trattenuto che stava per traboccare, zampillava zampillava e alla fine esondò.
“Che cosa stai scrivendo?”.
Andrea alzò terrorizzato gli occhi dal foglio, guardò il suo viso carnoso senza finezza e quasi spaesato disse: “Co-come scusa?”.
“Che cosa stai scrivendo?” Ripeté lei per niente rinunciataria.
E qui Andrea dimostrò di essere un buon discepolo del mitico Pinketts, con la prontezza di pensiero tipica delle persone creative ribatté a quell’indesiderato: “Che cosa stai scrivendo?” Con un arguto: “Sto scrivendo di lei”. Mentre lo diceva indicava con la penna la ragazza carina di fianco.
Sul viso della ragazza brutta passò un velo di risentimento subito celato dal riso, doveva essere un animo semplice per dimenticare così velocemente una preferenza che la penalizzava.
Per Andrea invece fu una chiave per accedere alle attenzioni della sua preferita. Lei per la prima volta alzò lo sguardo e gli sorrise, era imbarazzata ma piacevolmente sorpresa.
“Davvero stai scrivendo di me?”.
“Certo! È un romanzo sulla bellezza”.
Seconda risposta geniale e questa volta non aveva avuto nemmeno bisogno di ricorrere a citazioni pinkettsiane.
“Come fai a scrivere di me se nemmeno ci conosciamo?”.
“È vero, però io so molte cose di te. Ad esempio che giochi a volley”.
La ragazza celava lo stupore; per Andrea le cose si mettevano più che bene, ora andava alla ricerca forsennata di particolari per continuare quel suo gioco d’astuzia.
Notò che sul polso destro aveva una striscia di pelle leggermente più bianca del resto, tentò il tutto per tutto azzardando un’ipotesi.
“L’hai rotto giocando?”.
“Cosa?!” Rispose lei al massimo della curiosità.
“Il bracciale”.
“Come fai a sapere del bracciale?”.
“Te l’ho detto, so molte cose di te”.
“Si è rotto qualche giorno fa. Peccato ci tenevo molto”.
“Immagino. Per fortuna potrai farlo riparare”
“Si. Ma tu come fai a sapere queste cose? Sei uno di quelli che spiano le persone?”.
“No. Sono uno scrittore. Io osservo”.
Un’altra fortuna degli scrittori è che se qualcuno non ti conosce e non ha mai letto niente di te hai la sua massima ammirazione gratuitamente, fino a quando non legge qualcosa di tuo. All’inizio l’apparenza è tutto, dopo ti tocca andare avanti col talento.
Con le parole Andrea ci sapeva fare, il bello è che non ingannava più di tanto, molte delle cose erano vere.
Emanuela – così si chiamava la sua bella – lo ascoltava curiosa, contenta di aver fatto quella piacevole conoscenza. A poco a poco le loro vite si compenetravano, ad ogni parola nasceva un discorso nuovo da approfondire, magari in altre occasioni. Progettavano piccolezze da fare insieme sfruttando le passioni comuni e quelle diverse. Andrea, che di sportivo aveva solo un vecchio giubbotto, volle che Emanuela gli insegnasse qualche movimento della pallavolo. Lei, dal canto suo, avrebbe voluto leggere qualcosa scritta da Andrea. In tutto questo Silvia – l'amica brutta – era una presenza labile, era quasi una scusa per non saltarsi subito addosso.
Un'altra fortuna dell'essere scrittore è che, bene o male, conosci un po' di cose su qualsiasi argomento. Lo scrittore è una sorta di emporio della cultura; dentro ci trovi di tutto da Platone a Bud Spencer, da Seneca a Emerson, Lake e Palmer (non sapete chi sono eh? Non rammaricatevi, semplicemente vuol dire che non siete scrittori).
Emanuela si lasciava abbracciare da quelle conoscenze enciclopediche mentre Andrea avrebbe tanto voluta stringerla in senso fisico.
Era bello vederli discutere e alternarsi nella goffaggine quando si cimentavano nella abilità altrui.
Andrea aveva nei confronti dello sport una sorta di timore reverenziale misto a voglia di riuscire dovuta ad un latente orgoglio maschile. Lo sport nei confronti di Andrea nutriva sentimenti di repulsione misti ad un desiderio di materializzarsi fisicamente per prenderlo a calci in culo.
Emanuela rideva di gusto alle esilaranti movenze dell'impacciato sportivo, le faceva tenerezza; era bello sapere che anche lui era normale e che aveva dei difetti. Maternamente lo correggeva nei suoi delitti sportivi consapevole che in lei qualcosa stava nascendo, forse l'amore.
Quando leggeva i suoi scritti provava una strana sensazione; le piacevano senza sapere bene perché, intuiva la qualità ma non sapeva spiegarsela. Alla fine non si tormentava più di tanto, era una sportiva.
La loro era una conoscenza nata in un bar, una conoscenza da bar. Come tale aveva il suo “solito” da ordinare ogni giorno e ci si aspettava che il partner\barista capisse a cosa ci si riferiva.
Entrare in un bar, ordinare “il solito” e non essere capiti è umiliante. Entrare in un amore e dover specificare ogni volta cosa si desidera è stancante. Nel bar della vita dovrebbero esserci dei sicuri “il solito” ma anche una bella dose di altri liquori esposti in modo tale che all'evenienza un tentativo di cambiamento si possa fare senza problemi.
Andrea ed Emanuela dopo essersi alcolizzati i primi giorni con ogni sorta di carinerie reciproche sentirono il bisogno di qualcosa di ricorsivo, di rassicurante poiché ripetitivo. A questo punto il loro stare insieme divenne un cercare conferme. Un amore nato in circostante straordinarie stava trasformandosi in qualcosa di ordinario, come i talenti affogati nei bar.
Si amavano in modo sbagliato, erano un miscuglio di sentimenti entropici, impetuosi nel loro raziocinio.
Emanuela cominciò ad allenarsi sempre più raramente mentre Andrea quasi non scriveva più o quantomeno smise di farlo in pubblico perché temeva che un nuovo episodio banalizzasse quello già vissuto.
Così un'ex pallavolista e un ex scrittore iniziarono a vivere la loro vita in comune presi dalle loro abitudini da dover perdere, posti da dover evitare, progetti da realizzare.
Però poi, come nei romanzi, arrivò il colpo di scena; come nel volley, in un attimo di distrazione arrivò una pallonata.
La pallonata si chiamava Curiosità. Il colpo di scena era un'ipotesi che fantasticava nella mente di entrambi quando vedevano qualcuno di interessante. Nel cielo del loro amore, passato il colpo di fulmine, era tornato il sereno. Il cielo sereno, senza nuvole, è piatto come un soffitto. Al primo aeroplano Andrea s'invaghì della scia bianca. La scia bianca si chiamava Marta, era mora come Emanuela ma non era Emanuela. Erano tutte e due belle allo stesso modo ma Marta aveva qualcosa in più: era sconosciuta.
La sfortuna di essere un ex scrittore è che prima o poi la nostalgia ti torna. Prima o poi senti la mancanza di quelle storie che ancora non esistono ma che comunque sono lì: tra il tuo pollice e il tuo indice.
Così Andrea prese a scrivere di Marta, le romanzò una vita che lei nemmeno immaginava. Quando ebbe finito capì di essersi innamorato. Sapeva che non era un amore per una persona reale; amava la Marta scritta nei suoi fogli pregni d'inchiostro. Amava l'immagine che si era fatto di lei. Amava come amano tutti: ingannandosi.
Un'altra sfortuna dell'essere scrittore e che se sei insoddisfatto rischi di lasciare miriadi di romanzi incompiuti.
Andrea di incompiuto aveva un vecchio romanzo sulla bellezza. Emanuela lamentava antiche attenzioni ormai perse, piccolezze che solo chi ama concede. Quando un amore finisce lo si capisce dai dettagli, dalle sfumature.
Così Emanuela lasciò Andrea e per la prima volta nella storia della letteratura fu il romanzo a concludere l'autore.
Ora lui lo potete trovare come sempre in un locale affollato, ad ingozzarsi di gente, situazioni e caffellatte. Anche lei è tornata alle sue abitudini di prima; è felice, è più forte a volley ma anche nella vita.
Ora il loro cielo è un alternarsi di pioggia e di sole, di notti e di giorni. Ogni tanto un aeroplano passa e la scia ricorda ad entrambi qualcosa. Che sia un ricordo bello o brutto non si sa; lo sanno soltanto loro, o nemmeno.
Raffaele Montesano