Quello delle Fender Stratocaster del 1979, a detta di molti il punto più basso toccato dalla produzione Fender CBS, è uno dei miti del nostro secolo. Guardate con scetticismo dai musicisti e con malcelato orrore dai collezionisti gourmet, si sono - talvolta con giusta ragione - aggiudicate l'infimo ruolo di Cenerentole della magica casa californiana a noi tanto cara.
Sono nel giro del collezionismo, dagli anni '80 e per Stratocaster possedute direi di essere intorno al centinaio. Non fraintendetemi, intendo comprate, suonate e rivendute per comperare altre chitarre a loro volta rivendute e scambiate al fine di mantenere un circolo virtuoso che a oggi mi ha fruttato una discreta collezione di livello medio alto in un eterno work in progress per soddisfare il mio animo, inficiando e non poco le mie finanze. Questa piccola premessa solo per sostenere di avere una discreta conoscenza della materia, costruita anno dopo anno sul campo e non sui libri o su internet, cui riconosco d'altronde un indispensabile apporto di informazioni utili a completare la conoscenza dell'argomento, ma da soli insufficienti a formare un discreto esperto.
Da bravo bluesman bolognese, bazzico i soliti negozi della zona con una certa assiduità alla perenne ricerca di oggetti che soddisfino la mia pressoché insaziabile fame di quelle chitarre che ho sentito nei dischi per anni. In questo lungo pellegrinaggio, giovedì scorso mi sono imbattuto per l'appunto nella Stratocaster che potete vedere nelle mie pessime foto.
Per la verità, la stavo osservando da qualche mese e l'avevo già più volte confrontata con una lunga serie di sorelle coetanee e anche più vecchie, financo alcuni meravigliosi prodotti del Custom Shop e almeno tre palettone vere degli anni dal '66 al '68. Se sono qui a scrivere questo articolo, ça va sans dire che il confronto l'aveva fatta uscire vincitrice su tutte.
Non è bellissima, ve lo concedo. Le forme, a cui siamo abituati ormai da qualche decennio, sono quelle sinuose delle strato anni '50 e '60, siano esse vere oppure ottimamente replicate da mamma Fender e capisco che questo taglio duro come Berlino prima della caduta del muro possa non incontrare il favore di tutti. Altresì la finitura natural non a tutti piace, anche se vi ricordo che solo le più belle avevano questa vernice. Non vi consiglio di sverniciare quelle con colori coprenti: per esperienza vi dico che potreste trovare body fino a sette pezzi di legno, incollati come capita a formare un discutibile patchwork che fa sembrare la chitarra la "weapon of choice" di Boris Karloff versione mostro di Frankenstein.
La Strat è pesante. Parliamo di 4kg e 200 grammi, non esattamente una piuma. È assolutamente molto per quelli che oggi sono i nostri canoni di bellezza e il rapporto peso-potenza. Forse sì, però che voce, tanta roba! Un suono pieno e corposo, un'anima funk e rock da paura.
Attaccata a un Fender a valvole, la signora mette tutti in riga.
"Sì, ma pesa" mi direte voi. E con ciò? Anche sister Rosetta Thorpe non era un fuscello, anche Big Mama Thorton era un donnone, ma non credo che nessuno si azzardi a dire che per questo erano inferiori a Koko Taylor o a Sugar Pie De Santo.
Mi direte voi: "Sì, ma quelle si ascoltano e non le dobbiamo portare al collo!". Vero, allora vi ricordo che sovente si trovano Les Paul, spesso Custom di quell'anno, da cinque o cinque chili e mezzo, che adesso vengono tranquillamente spacciati per vintage e venduti a cifre intorno, udite udite, 3mila eurini.
Vi lascio un attimo per riflettere... ok, attimo finito.
Ho già letto articoli su Stratocaster fine anni settanta e, leggendo i commenti, l'impressione è che i detrattori siano o troppo giovani o smemorati. Ora mi rivolgo a chi è ormai al giro di boa dei cinquanta inverni e oltre: vi ricordate negli anni settanta e ottanta, quando si diceva che per suonare piena e bene, la chitarra doveva essere pesante? Vi ricordate quando uscirono le prime Hamer? Pesavano come la Pietà di Michelangelo, sembravano di marmo, ma piacevano un sacco. Suonare con una Les Paul Custom ti faceva provare l'ebrezza di avere imbracciato una lapide del Cimitero Monumentale, e dopo un oretta al collo ti prendeva una fitta proprio in mezzo alle scapole che ti faceva capire cosa provò Giulio Cesare quando Bruto lo accoltellò alla schiena. Oggi vai nei negozi che trattano l'usato e sono osannate come se fossero opere di Andy Warhol.
La realtà è che, difetti a parte, le chitarre vanno provate e poi si dà un giudizio, sennò si fa parte di quel mondo di pecoroni che parlano per sentito dire o perché una volta hanno appoggiato due accordi su una di queste vecchie signore senza fare confronti seri e rimanendo tronfi nella propria ignoranza.
Cercando quindi di fornirvi una recensione su questo oggetto che mi sono aggiudicato grazie a un improvviso price drop che aveva portato il prezzo al millino cui vi ho ormai abituato nei miei articoli, cercherò di non cadere nelle solite banalità.
Costruttivamente è figlia del suo tempo: non siamo di fronte ad un contour body di ontano, bensì stiamo parlando di una solida ascia di frassino, e che frassino! Venature belle evidenti come sui guizzanti muscoli di un Mister Olympia, solidissima e con un manico cicciottello dal profilo a C. Tutta originale come mamma l'ha fatta, il corpo si compone di due pezzi incollati con gusto e seguendo le venature in modo omogeneo.
La vernice, stranamente non abbondantissima, è piacevolmente scurita dagli anni e porta i segni di vecchie battaglie, ma non come un vecchio incontinente da ricovero, piuttosto come un orgoglioso Capitano Achab che porta con onore e classe le cicatrici di una lunga carriera. Come lui sul mare, lei sui palchi.
I tasti sono perfetti e scorrono sotto le dita piacevolmente. Suonarla è come accarezzare il braccio a una bella signora. Vibra, urla, sussurra, senza mai perdere di fascino. I tre grey bottom fanno il loro lavoro egregiamente e, volendo proprio trovarle un difetto, il pickup al ponte è un po' troppo tagliente per i miei gusti, ma per il resto nulla da dire. Si passa con disinvoltura da un rock sudista in stile Lynyrd Skynyrd al miglior Curtis Mayfield, da un blues alla Rory Gallagher a un reggae alla Peter Tosh (ovviamente periodo Marley).
Ma vi percepisco ancora scettici sul peso, o mi sbaglio? Benissimo, allora vi do un secondo spunto di riflessione. Prendete la vostra Les Paul moderna e luccicante o anche Custom Shop, ora all'insaputa di madri e consorti trafugate la bilancia di cucina che viene utilizzata per pesare gli ingredienti dei succulenti pranzetti che le donne di casa vi preparano e provate a pesare le vostre asce. Fatto? Qual è il responso? Vi aiuto: siamo là.
E allora, finiamola.
Concludo ricordandovi che è sempre opportuno provare l'oggetto e poi commentare e non limitarsi a ripetere ciò che si è sentito dire. Con questo non vi voglio dire di investire cifre da capogiro su strumenti che, se si sono meritati una fama negativa, un motivo ci sarà. Solo vi invito a non generalizzare e, se vi capita, provate, provate, provate!