Roberto era una persona diversa da tutte le altre. Nessuno è mai riuscito - né prima né dopo di lui - a mostrare un approccio tanto complesso e completo allo strumento musicale. Scientifico come Leo Fender, pragmatico come Paul Reed Smith, appassionato come Lloyd Loar, Roberto era un genio, capace di migliorare ciò che a tutti appariva più che perfetto. Uno Stradivari o un Ignacio Fleta della chitarra elettrica, che esplorò e mise a nudo nei più intimi segreti.
La sua vita fu un turbine di eventi, proprio come era lui. Gli studi tecnici in Toscana, il lavoro a Milano, il ritorno nella sua terra alla ricerca delle radici, la separazione dalla moglie, la decisione finale di ritirarsi nella casa di Santa Croce sull'Arno, per fare quello che gli piaceva: lavorare il legno come suo padre falegname, costruire chitarre come Leo Fender, il "liutaio non liutaio".
Già, perché - come Leo Fender - Roberto Pistolesi era un "liutaio-non-liutaio" e "chitarrista-non chitarrista". Strimpellava qualche nota degli Shadows, ma in realtà a lui suonare non piaceva tanto quanto sentire le sue chitarre in mano a musicisti capaci di trarne i suoni che lui amava. Uno su tutti, quello della chitarra di Hank Marvin (The Shadows), suo riferimento, tanto che ci perse la testa. Ne analizzò la voce in ogni dettaglio, tentò di replicarla facendo le più belle chitarre Strat-style fiesta red mai viste, mai soddisfatto fino a quando decise che in realtà quel suono veniva da una chitarra diversa, la Gretsch.
Per lui divenne un'ossessione, passò mesi a far prove armato di Revox e Neumann, addirittura ci scrisse un libro che riuscì a far infuriare Hank Marvin, Bruce Welsh e una schiera di Shadow-fan ortodossi, incapaci di arrendersi alla prova provata che condannava le loro "fiesta red" a pappagalli di una semiacustica color legno. Purtroppo a quel punto la sua vita era già agli sgoccioli, perché qualcuno nella stanza dei bottoni aveva deciso che non avrebbe salutato i 60 anni mostrando al mondo che Apache non era stato registrato con una Stratocaster rossa, ma con una Country Gentleman marrone.
Roberto manca agli amici, a chi passava le ore a fargli perder tempo quando doveva lavorare, ai suoi cari. Ma soprattutto manca al mondo dello strumento musicale italiano, per il quale lui avrebbe potuto fare molto. Tanto era burbero quando qualcosa andava storto, altrettanto sapeva rendersi simpatico a chi gli piaceva o a chi considerava importante. Riuscì a strappare sorrisi e gesti amichevoli a insospettabili icone del mondo musicale note per il pessimo carattere o l'altezzosità. Roberto non aveva paura di nessuno, non si faceva intimidire, non aveva soggezione di nessuno.
Non ne aveva neppure della malattia e della morte, che affrontò con coraggio e con il senso dell'umorismo che caratterizza ogni toscano intelligente. In un'epoca in cui tutto passa e scompare, senza lasciare traccia apparente, Roberto Pistolesi ha lasciato un'impronta indelebile di attenzione alla qualità, di rispetto per l'evidenza, di approccio scientifico alle cose. Un'eredità il cui valore supera ampiamente quello della cinquantina di meravigliose chitarre che ancora oggi sanno stupire chi ha la fortuna di suonarne una. |