E così te ne sei andato anche tu, papà, domenica 11 giugno di quest’anno, il giorno prima del Cavaliere B. che tanto avevi stimato per un certo periodo della tua vita. Te ne sei andato in sordina, con davvero troppo poco tempo per informare gli amici di un tempo rimasti e quelli che ti avevano apprezzato e stimato in vita. Tu che avevi portato tra i primi nella nostra cittadina, Jesi in provincia di Ancona, la musica americana fatta di chitarre elettriche, batterie, movenze da Rock’n’Roll e voci alla Elvis, in quei lontani anni ‘50 del secolo scorso. Gli stessi americani che tu avevi sempre visto come i migliori, dopo la liberazione del suolo italico, ma che nel caso della nostra città, fu restituita alla popolazione dalla 3° compagnia del battaglione alpini “Piemonte”, nella notte tra il 19 e il 20 luglio del 1944, quindi italiani e non americani.
Tu che avresti potuto scrivere una piccola pagina della storia degli strumenti musicali, dopo aver costruito due chitarre elettriche a corpo solido e una batteria acustica insieme a tuo fratello minore, quando avevate appena 17 e 15 anni e un contrabbasso elettrico per iniziare a suonare ciò che vi piaceva di più.
In foto: la batteria e le due solid body costruite da mio padre e suo fratello intorno al 1955.
Invece dopo aver imparato il mestiere di tornitore, fresatore e saldatore presso un’azienda dell’epoca, iniziando all’età di 14 anni, arrivasti poi ad avere una vostra azienda meccanica, che sfamava le due giovani famiglie, la nostra e quella dello sfortunato zio deceduto a soli 32 anni, oltre a quelle dei vostri dipendenti. Questa vostra attività resistette fino alla seconda metà degli anni ‘70, quando sia io, sia i miei fratelli eravamo ancora troppo giovani per poter entrare a farne parte e tu eri troppo provato per portarla avanti ancora da solo.
Dopo aver passato il tuo periodo peggiore a soli 40 anni, ma che ti ha segnato per il resto della tua vita, con tre figli quasi adolescenti, tornasti a parlarci di chitarre elettriche, di pickup che tu non avevi ancora mai costruito, ovvero di una passione che non era mai tramontata, anche per i vari acquisti fatti a quel tempo per me e mio fratello Emanuele, appena avviati ad una formazione musicale. Ricordo come fosse oggi quando avvolgesti circa 10.000 giri di rame ultrasottile a mano, forse di 0.05 mm, intorno ad un rocchetto con cinque calamite, per provare a ricreare il pickup della tua Hofner archtop e la tua sorpresa, quando, collegato all’amplificatore, ti accorgesti che funzionava.
La tua passione per il marchio Fender, ti portò all’acquisto di un Twin Reverb Silverface usato ma anche di un ampli per basso a marchio FBT, da ben 160 watt in formato testata e cassa, con tre coni da quindici pollici. Questi sarebbero serviti a sviluppare i tuoi strumenti, con le tue idee e i tuoi pickup. Iniziasti nel garage della nostra abitazione, tra i reclami degli altri condomini, fino a trovare un piccolo locale sotto delle abitazioni, cui facesti entrare un enorme tavolo da lavoro in ferro dove fissare le attrezzature, un trapano a colonna, una mola, una sega a nastro, oltre ad un compressore per verniciare e dove in un angolo del locale inseristi la tua bobinatrice, progettata insieme al sottoscritto, con un sistema di elettrocalamite per invertire la direzione del filo nei punti esterni del rocchetto e avvolgere quindi nel modo più uniforme possibile. Vi era anche una piccola stanzetta insonorizzata con poco spesa e adibita come sala prove per i nostri inizi musicali, dove si provavano anche le tue creazioni. Sempre insoddisfatto su un suono non ancora, secondo te, perfetto per gli avvolgimenti singoli, passasti tanto tempo ad avvolgere e tagliare costoso filo di rame di varie misure, fino ad utilizzare anche due sezioni diverse, all’interno dello stesso avvolgimento, per cercare di ottenere ciò che avevi in testa.
Tra le poche chitarre e bassi terminati, destinati al nostro utilizzo, ci furono una simil Stratocaster e un simil Les Paul. Entrambi erano in acero non verniciato ed avevano una smussatura concava sia sul top del corpo, sia sul retro, senza battipenna e con controlli non sempre scontati. Nel tipo Stratocaster, inserimmo un circuito attivo per replicare il comportamento di un pickup humbucker, sia come aumento di volume, sia come picco di risonanza spostato a frequenze minori, oltre ad un controllo di acuti con cui esaltare o ridurre la gamma di frequenze. Circuito che mio fratello usò con soddisfazione per diversi anni. Per i quattro corde creasti una forma a doppia spalla mancante e simmetrica, usando gli stessi legni e lo stesso tipo di smussatura delle chitarre con una paletta in stile Gibson e dotandolo di due pickup singoli, controllati da un selettore a tre posizioni, un volume e un tono e che servi al nostro debutto musicale.
Nel disegno: ricostruzione grafica delle prime chitarre e bassi elettrici costruiti da mio padre ed effettivamente terminati.
Qualcosa di più originale fu la costruzione di due bassi a corpo ridotto, sempre in acero e tutt’uno con il manico e paletta, ma dotati di un tubo in alluminio fissato alla base del corpo e alle due estremità, da due blocchi sempre in acero, incollati alla piccola cassa. Il tipo Fretted fu lasciato in legno naturale e dotato di due pickup singoli simili al precedente, ma con un circuito passivo leggermente più complesso, mentre il tipo Fretless con tastiera in palissandro, fu verniciato di nero e dotato di due nuovi pickup humbucker, molto potenti, con una circuitazione che permetteva anche sonorità nasali in controfase. Con lo stesso principio di questi due bassi, avevi anche progettato una forma per una possibile chitarra elettrica, mai terminata.
Al tempo andammo a trovare anche Alfredo Bugari che stava per lanciare il suo marchio Stonehenge, aveva già sentito parlare di un basso col tubo, costruito a Jesi, usato da un giovane bassista. Da quell’incontro comunque non nacque nulla. Qualche piccola soddisfazione te la prendetti comunque. Come quella volta che portasti, insieme a me ed Emanuele, la simil Stratocaster e il simil Les Paul in una discoteca, dove stava suonando un gruppo per farla provare al chitarrista e questo scelse la prima, usandola tutta la sera al posto della sua vera Fender. Ci accompagnasti anche per farci esibire con i tuoi strumenti, in un altro locale dove stava suonando un’orchestra da ballo, che ci concesse il palco per un paio di brani, o quella volta che vincemmo una gara canora in un festa di paese e poi ci portasti a festeggiare davanti ad una pizza e una birra, con tanto di coppa ricordo. Per alcuni anni utilizzammo i tuoi strumenti.
Un’altra elettrica un tempo completata, fu un prototipo con corpo asimmetrico che in seguito servì per testare i tuoi pickup. Questa fu realizzata con un unica tavola di faggio, dal corpo alla paletta e non fu dotata di tendimanico, ma di due barre in acciaio inserite sotto la tastiera in palissandro. Oltre a questa particolarità quasi unica a livello mondiale, aveva la tua solita smussatura sul corpo, a cui avevi anche applicato un bordino in palissandro, incassato nella cassa sia sul davanti, sia sul retro. I tre scassi per testare i pickup humbucker e il nastro di carta utilizzato per fissare momentaneamente i tuoi pickup sono ancora li, insieme ai vari fori per l’elettronica.
In foto: prototipo di chitarra in faggio realizzata da un'unica tavola di legno, senza parti incollate.
Emanuele si ricorda anche di aver suonato per diversi anni con una tua chitarra, dalla forma originale e di colore avorio, con tre pickup singoli e copripickup in palissandro. Con lo stesso legno avevi realizzato anche un’altra chitarra poi finita chissà dove.
Chi aveva modo di provare le poche realizzazioni completate, ne rimaneva entusiasta, ma tu non ti accontentavi mai. Ricordo anche i tanti bozzetti disegnati, per cercare d’inserire i tasti in filo di vetro circolare, che avresti voluto utilizzare al posto di quelli tradizionali e il disegno per le dime dei corpi e delle palette, che dovevano essere assolutamente originali. Anche il sistema d’accordatura doveva essere diverso dalle solite meccaniche, con un sistema simile a quello poi adottato da marchi come Steinberger, ma applicato alla paletta. Tutte cose che richiedevano tempo e denaro che non c’era, fino ad abbandonare tutto per rilevare una vecchia fabbrica di piattelli per tiro al volo, tenuta in piedi per un solo anno e poi vederti partire per Gedda in Arabia Saudita, con un tuo amico, per l’installazione di condizionatori in un ospedale, trasferta conclusa dopo una rovinosa caduta di alcuni metri. Al tuo ritorno, dopo un’esperienza come custode di un circolo, andasti in pensione ancora giovane, con i fatidici 40 anni di contributi e continuasti a parlare con noi ancora di possibili progetti, mentre venivi ad ascoltarci nelle nostre serate di piano-bar.
Non hai voluto o non te ne fregava niente di fotografare le tue creazioni, che in seguito hai distrutto per non lasciarne traccia, ma hai ripreso in seguito ad avvolgere altri pickup, alla ricerca del sacro Graal che però non hai mai trovato, fino a quando la tua vista te lo ha concesso. Rimarrai comunque per me e i miei fratelli un inguaribile appassionato di musica, di strumenti musicali e di pesca sportiva a mosca, tra i primi a praticarla in Italia. Ciao papà. |