Ogni volta che se ne va una persona cara, non posso fare a meno di pensare alla mia cara nonna Teresa.
Mi raccontava sempre che da piccola era così povera che doveva spartire la merenda con il suo gattino.
Un giorno una vicina di casa la vide seduta sul gradino dell'uscio di casa e le chiese:
"Cot mange Teresin?" (Cosa mangi Teresina, detto in dialetto astigiano).
Le rispose:
"... eh! Pan e cutel ..." (Pane e coltello).
Questo significa che in casa non avevano né formaggio né salame da mettere nel panino. Lei si doveva pertanto accontentare di affettare il pane, piano piano, un pezzettino alla volta, per assaporare fino all'ultima briciola quella scarsa ed essenziale porzione di cibo che le aveva dato la sua mamma.
Quando era in punto di morte, invece di lamentarsi per i dolori della tremenda malattia che l'affliggeva, mi disse:
"Ti faccio i miei migliori auguri per il tuo nuovo lavoro"!
Quasi subito dopo rientrò nel delirio dell'agonia. Il forte cinguettio serale degli uccellini, appollaiati sugli alberi del giardino dell'ospedale, arrivava fino alla sua stanza.
La nonna si risvegliò per un attimo dal suo torpore e domandò a mia madre:
"Perché a piuru sti' ciit?" (perché piangono questi bambini?).
Mia madre non ebbe il coraggio di dirle che aveva confuso il canto dei passerotti con le voci dei propri nipoti che forse credeva fossero ritornati bambini.
Quella santa donna non si curava minimamente della propria vita che piano piano si stava spegnendo: quello che invece le importava era il benessere dei suoi tre adorati nipoti che sono stati la sua unica reale ragione di vita.
Ho già raccontato in passato qualcosa a proposito della mia nonna nel mio diario. In particolare, era un mio personalissimo e modesto commento al brano del B.M.S.
"E' così buono Giovanni, ma ..." (Dall'Album Come in un'ultima cena):
"Stendo / la mia voglia di luna / sopra le tue spalle / e sarò io
a darti il miele / per le tue labbra.
Ma non lasciare entrare il vento / a sciupare la tua fronte / sopra i miei campi di rose / forse puoi dormire.
Raccoglierò le tue paure / per portarle lontano /
e sarò io l'anfora / dove tu / poserai le tue chiare lacrime /
ma di più / io...
Scusami nonna se anche oggi continuo ancora a chiamarti Giovanni.